Un’etica strabica

La rivolta dell’uomo contro
Dio aveva infranto l’armonia
tra l’uomo e la natura
e tra l’uomo e l’uomo
(Gn 3,17-19 e Gn 4)

 Quando mi fermo ad osservare un animale, domestico o selvatico, ad esempio un cane o un gabbiano, dal vivo o raffigurati su un quadro d’epoca, constato che ogni loro mossa segue impulsi ancestrali. Un cane o un gabbiano fanno parte della natura e non della storia: per loro il tempo sembra non trascorrere. Il seguire percorsi già definiti da millenni (ontogenesi) fa sì che al singolo animale (filogenesi) non si estenda il concetto di colpa, e quindi neppure l’etica, che giudica e condanna. Sotto questo profilo, l’azione di un animale è paragonabile a quella di una pianta.

Il concetto di colpa e di peccato è dunque appannaggio esclusivo dell’uomo, in quanto può derogare sia dalle leggi di coscienza che dalle regole sociali e religiose.

 

Brügel il Vecchio (1612). Paradiso Terrestre con il Peccato Originale. Dio mostra una strana etica: peccano Adamo ed Eva; ma anche gli animali, fino ad allora in pace tra loro, vengono trascinati nella maledizione e i carnivori sono condannati, esenti dal peccato, a cibarsi degli erbivori

Questa sua peculiarità, questa sua libertà di deviare dai canoni, dà un senso alle parole “colpa”, in sede civile, e “peccato” in sede religiosa.

Sia lo Stato che la religione tendono a giudicare, e quindi a penalizzare, l’uomo che devia dai loro comandamenti, per indurlo a non reiterare le trasgressioni e a conformarsi ai precetti.

Il libero arbitrio individuale, condensato nella parola “libertà”, ha pertanto una portata ben inferiore al grado che l’uomo desidererebbe. A differenza degli animali bradi, nessun uomo è davvero libero.

Quando però passiamo dall’individuo alla collettività, l’etica subisce una radicale trasformazione. Azioni che non sono ammesse per l’individuo diventano lecite se è lo Stato che lo obbliga a compierle; ad es. è lecito uccidere in tempo di guerra; e anzi, maggiore è il danno arrecato al nemico, in termini di distruzioni, uccisioni, ferimenti, maggiore è il valore di chi ne è l’artefice, che assurge addirittura alla statura di eroe pluridecorato. Lo stesso vale nel caso di religioni contrapposte, madri di tante guerre e carneficine, fatte “in nome di Dio”, che ciascuna parte reclama come proprio.

Le contraddizioni etiche non hanno fatto che crescere con il progresso della civiltà, che ha finito per assumere i connotati di un lampante e accelerato regresso. Gli effetti collaterali di un’etica sempre più distorta non si sono fatti attendere. 

Se l’astronomia di Copernico riuscì a togliere l’uomo dal centro dell’universo, un processo inverso si verificò in contemporanea sul fronte culturale, con l’affermarsi di un umanesimo che, nel giro di un paio di secoli, si sviluppò nel progressismo illuminista, riconsegnando all’uomo lo scettro, se non del cosmo, dell’intero pianeta, considerato non più oggetto di assennata custodia, ma di dominio e di sfruttamento, al servizio dei nuovi “illuminati”: i capitalisti. 

  

Copernico detronizzò la Terra da centro del cosmo; ma il successivo spirito pionieristico in campo geografico e il progresso scientifico dei secoli successivi portarono l’uomo ad una nuova “rivolta a Dio”, svilendo la Terra a mero serbatoio di materie prime e ricettacolo dei suoi rifiuti

Per tutto l’800 e una metà del ‘900 il saccheggio proseguì senza eclatanti controindicazioni, grazie alla ridotta famiglia umana e alla vastità della Terra. L’etica capitalista, tuttavia, aveva privilegiato troppo la ristretta classe padronale, a scapito, non solo dell’ambiente, che riusciva ancora ad assorbire i guasti di un’industria predatoria, ma anche della classe lavoratrice. 

La coscienza di classe, auspicata da Marx, riuscì alla fine ad attecchire su vasta scala, strappando sempre maggiori concessioni in termini di stile di vita. Il trentennio postbellico assistette così a vistosi miglioramenti in termini di agi e comodità di gran parte della popolazione. In parallelo a questa nuova presa di coscienza, venne sviluppandosi una nuova idea di progresso, dove, in concomitanza al crescere del materialismo, scemava ogni residuo di spiritualità, parallelamente all’eclissi della religione. Una società laica, secolare, fiera dei suoi nuovi diritti, sembrava ormai procedere senza più ostacoli.

Al volgere del trentennio, negli anni ’70 del secolo scorso, alcune sporadiche frange cominciarono ad accorgersi che i progressi strappati al fronte capitalistico erano stati pagati in gran parte dall’ambiente, che cominciava a dar segni di insofferenza sia al boom della produzione che a quello delle nascite: un’accoppiata micidiale per la salute del bioma. Sul versante politico si trattava però di una consapevolezza troppo minoritaria e, soprattutto, troppo scomoda, predicando niente meno che una riduzione dei consumi e un più parco stile di vita: il contrario del mito della crescita, tanto caro ai capitalisti, ai politici e, in ultima analisi, anche alle masse. 

Quello che qui mi interessa evidenziare è il cambio radicale dell’etica che, quasi senza accorgersene, la gente finì col far propria. In estrema sintesi, era –anzi è tuttora, più imperante che mai- l’etica di una pietas di cristiana memoria totalmente strabica: attenzione quasi devota per ciò che è mio (casa, automobile, animali domestici) e totale indifferenza per ciò che consideriamo “altrui”, a cominciare dagli altri esseri viventi, in particolare quelli appartenenti alla natura selvaggia. Si riempiono di attenzioni cani e gatti propri, senza chiederci se non facciano parte anch’essi del carico che addossiamo ad altre specie, estinte o in via di estinzione

 

Felini domestici. Accuditi, coccolati, nutriti con mangimi spesso più cari del nostro stesso cibo 

Mangiamo carne a pranzo e cena, 7/7, rimuovendo il pensiero di sterminati allevamenti intensivi dove vivono in condizioni atroci quegli stessi animali che poi finiscono nel nostro piatto. Ogni prodotto viene valutato sotto l’esclusivo profilo del profitto, per cui la plastica risulta sempre più conveniente di altri materiali, escludendo dai conteggi le “diseconomie esterne” (l’inquinamento). Esprimiamo ipocrita compassione per stranieri che forzano i nostri confini, senza chiederci quali motivi li spingono verso di noi, in primis il nostro sfruttamento dei loro territori per continuare ciecamente la scellerata epoca del consumismo fine a se stesso. La nostra etica “buonista” ci ha guidato nello sterminare, con prodotti chimici tossici, i parassiti che proliferano sulle sterminate monoculture, per aumentare la produzione e nutrire un’umanità in crescita esponenziale, con ciò inquinando le falde acquifere e avvelenando uccelli e insetti, come le api, essenziali per la nostra stessa sopravvivenza. Sempre questa etica si trova di fronte a problemi continui, in corrispondenza degli avanzamenti della tecnologia, in particolare in campo medico, dove vige il comandamento “salvare tutti ad ogni costo”, contribuendo al crescere degli umani sulla Terra. 

La nuova etica è venuta affermandosi di pari passo con le risposte che la tecnologia riusciva a dare a domande un tempo senza risposta, perché a gran parte dei mali non c’era rimedio, e quindi se ne subivano le conseguenze senza sensi di colpa. Se invece un rimedio si è trovato, l’etica ci impone di utilizzarlo ogni volta che serva. Milioni di uomini sono stati strappati alla fame, alle malattie, alla morte, grazie ai prodigi in campo agricolo e sanitario. Ma a questi salvataggi non sono corrisposte minori nascite (eccezion fatta per alcune nazioni, come Italia e Giappone), portando quindi in saldo fortemente positivo il bilancio tra nascite e morti. Nessuno pensava che tante più vite umane salvate corrispondessero a pari o maggiore scomparsa di altri esseri viventi.

  

Felino selvatico. Come tutti i suoi simili, vede gli spazi di caccia ridursi anno dopo anno, finendo con lo sconfinare nei dilatati spazi urbanizzati, con lo spettro dell’estinzione sempre più prossimo 

Insomma, ci eravamo illusi, per una manciata di anni, che l’uomo –collettivamente inteso- fosse tornato ad essere re del cosmo, accompagnando la nostra grandeur col progressivo allargamento della nostra sfera di conquista persino oltre la Terra, puntando alla Luna, a Marte e chissà cos’altro, riempiendo persino lo spazio dei nostri rottami. Abbiamo perso il senso del limite, pensando che l’infinito esista davvero e sia raggiungibile dalla nostra tecnologia, mentre sul versante opposto ci affanniamo a cercare l’infinitesimo. 

Tutto questo attivismo in nome di un’etica che ha un occhio di riguardo per tutto ciò che concerne l’uomo e il suo privato, animali domestici inclusi, e l’altro occhio chiuso su tutto il resto, ha sconvolto millenari equilibri nel giro di un paio di generazioni: un battito di ciglia a livello biologico e geologico. E siamo ormai molto prossimi agli esiti che questo atteggiamento determinerà. 

L’uomo crede di essere libero, ma è invece indissolubilmente legato ai suoi parametri etici di sapore umanistico, mentre è dipendente da tutto ciò che il consumismo capitalistico continua ad offrirgli e di cui ormai non riesce a fare a meno. Lo farà solo se costretto; e il totalitarismo prossimo venturo, di cui abbiamo assaggiato i prodromi durante la pandemia, non esiterà a costringerlo.

 

  Marco Giacinto Pellifroni         30 maggio 2021

 

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