Una lettera

Cosa potrebbe scrivere mio bisnonno a mia bisnonna se potesse vedere la nostra epoca?

Cara Virginia, io sto bene e così spero di te.
È passato più o meno un secolo, ed io ora sono qui, nel 2017, e posso farti arrivare questa mia, per raccontarti più o meno quel che vedo e quel poco che riesco a capire. Non so come sia possibile tutto questo, mettiamo che sia un gioco e lasciamo stare.
Dunque il mondo non è ancora finito. Anche la guerra è passata, e dopo la guerra, come sempre, carestia, malattie e miseria. Ma si vede che non s’era ancora abbastanza mal presi, è s’è pensato di farne un’altra, di guerra, peggio della prima, perché stavolta invece di farla nelle trincee, l’han portata in tutti i paesi, e si son sparati e ammazzati anche tra parenti e dello stesso paese. Questa ultima è durata più dell’altra, e se le son date più che hanno potuto, e son venuti da tutto il mondo, si può dire, a darsele qui, tra Italia, Francia, Spagna e Germania. In tra di là nel Giappone hanno scoppiato una bomba che da sola ha ammazzato più gente che in tutta la guerra.

 

Chi ha vinto non ho capito. Ma fa niente, che tanto quelli vivi son vivi, e i morti son morti, e schiavo.

Dalle nostre parti con la scusa della guerra han fatto le fabbriche. Carbone e dinamite. E han continuato a fare il vetro. E poi, con tutti i soldi che han fatto anche con la guerra, han messo su una fabbrica di fotografia, e di coloranti, e di concimi. Nel giro di una settantina d’anni, com’è, come non è, è andato tutto a bagasce. E, vuoi ridere, rimane ancora il vetro e il carbone, roba che han sempre fatto, dalle nostre parti. Vedi bene che è inutile inventarsi le cose nuove, se poi dai tempi che Berta filava si continua a fare vetro e carbone. Si, va ben, non è più carbone di legna e non serve più per far da mangiare in casa, ma sempre carbone è.

Il fatto è che facendo le fabbriche la gente ha mollato di lavorare la terra. E per forza: si sta meglio con un settimanale sicuro, anche poco, piuttosto che star lì ad aspettare che piova o che la vacca faccia un vitellino. E insomma che son venuti tutti signori che bisogna vederli. Stanno all’osteria tutto il giorno, sia uomini che donne, oppure corrono, per strada, ma senza andare da nessuna parte. O vanno con la bicicletta. Ma non per arrivare, vanno così, solo per andare.

A vederli sono tutti belli e sani da non credere. Di vecchi non ce n’è. Vedessi che roba: a sessant’anni hanno ancora tutti i loro denti bianchi in bocca e sono dritti come candele, vestiti che sembrano delle maschere di carnevale. Insomma, i vecchi sembrano ragazzini, e i ragazzini sembrano giovanotti. Sembrano, ma non sono. Giocano tutta la vita. Ma questo è bello, ci mancherebbe. Avrei voluto io giocare, anche te, penso. Ma noi si aveva da lavorare. Se fanno così vorrà dire che possono farlo. Vedessi le donne: non ce n’è più di quelle vecchie storte e rugose, con gli occhi gialli e i capelli arruffati. Anche loro, anche anziane, diritte e con i denti, ma ben fatte che bisogna vederle. Diresti quasi che potrebbero figliare.

Cos’hanno di strano è che guardano le scatole tutto il tempo. Abbi pazienza, adesso non so spiegarti bene perché è una cosa complicata e ho provato a farmela spiegare ma non ho capito, neanche vedendo. Ma guardano le scatole, ti dico. O uno scatolone grosso che c’è in ogni casa (più d’uno), e allora lo guardano insieme intanto che mangiano, magari. O delle scatoline piccole, che ognuno ha la sua, e ci parlano anche, e fanno i ritratti e poi li mandano. No, non le scatole, mandano solo il ritratto. Come fanno non lo so ma è così. Allora dato che guardano le scatole e si fidano solo di quelle, non vanno più in veglia, anche perché non c’è più stalle e granone da sfogliare. E le scatole ti dicono tutto: cosa ti devi mettere, che tempo fa e quanta acqua devi mettere per fare la polenta. Che anche la polenta è diventata una cosa difficile, come tutto il mangiare. Nelle scatole parlano più di tutto di quello: mangiare e fare da mangiare. Però poi non mangiano. O mangiano poco che hanno paura di ingrassare, che però sono quasi tutti grassi come i vermetti delle castagne. Una bellezza! Ma a loro non piace, ché la scatola (grossa o piccola) gli dice che non va bene. Malati gravi non ce n’è. Se proprio vieni malato ti vengono a prendere a casa, ti portano all’ospizio e in un paio di giorni ti mandano a casa che sei meglio di prima. Ma tutti eh! Ricchi e poveri! Però non sono contenti lo stesso, e allora se senti loro sono tutti malati, di malattie rare, complicate, e non possono mangiare questo e quello. Allora fanno la roba “senza”. Per dire: senza zucchero, senza caffè, senz’alcool, senza strutto o senza olio, senza farina. Ma uno farebbe prima a non mangiare! E invece no, vogliono mangiare, ma ognuno deve mangiare il suo mangime speciale, che non ce l’ha nessun altro. Forse perché siamo stati tanti e tanti anni che mangiavamo tutti polenta e castagne (e avercene…) e allora adesso vogliamo fare tutti diverso.

Ma è giusto: hanno i soldi e li spendono.

Cosa fa pena, e che è una roba che non capisco è l’abbandono dei boschi e dei campi. Se tu vedessi non ci puoi credere. Sono tutti contadini che se ne intendono di bietole e di patate, per dire. Sono anche esperti di vino: dovresti vederli a bere: un bicchiere più grosso di una scodella con dentro un ditale di vino, e lo fanno girare e annusano e guardano. Me lo hanno dato anche a me, ho cercato di farlo durare più che mi è stato possibile, ma in un attimo non ce n’era più e non ho manco sentito se era buono. Ma ti dicevo dell’abbandono: le foglie nei boschi no, che non ci sono le bestie. I rami no, che nei forni bruciano dell’altro. Le fasce e le terrazze no, neanche l’erba ci tagliano, e sono piene di boschi anche quelle. E in piano no, che lì ci han fatto dei capannoni per le fabbriche, che sovente sono vuoti. Campi di grano non ce n’è e mulini pochi, ma i panettieri lavorano uguale. Io non lo so dove prendono la farina. Solo spine e gaggie, e con tutte quelle piante selvatiche dappertutto non c’è più di acqua nei fiumi che se la bevono tutta. E piove sempre meno.

Pensare che c’è pieno di neri e di americani e ottomani che verrebbero qui.  Anzi, ci vengono, e tutti ne parlano tanto che bisognerebbe spedirli, bisognerebbe fare i muri, bisognerebbe cacciarli. Eh ma se uno ha di mestiere e c’è del lavoro da fare glielo si può anche dare: con tutta la terra selvatica e i boschi da tagliare, si potrebbero far venire un po’: gli si dà un gregge di pecore, qualche attrezzo e un po’ di seme. Se vogliono qualcosa fanno. A me sembra. Ma poi ho paura che gli uffici che ci lavorano poi non ci guadagnano più. E magari anche tanti politicanti che gridano non saprebbero più cosa dire. Insomma che è complicato, anche quando sembra facile.

 

No che non la tagliano la legna. Si, un po’, ma poca, che gli è più caro scaldarsi bruciando petrolio che viene da tron de Dio, o il gas, che anche quello non so da dove viene. Eh, ce l’hanno la legna, ma si vede che non va bene. Eh, ce l’hanno si il tempo per farsi un po’ di scorta per l’inverno, ma tanto non hanno la stufa.

E poi hanno tutti la vettura, l’automobile. Ce l’hanno tutti. E infatti i paesi e le borgate le conosci perché c’è più vetture che persone. Tutte in fila per strada, una appresso all’altra. Vanno avanti e indietro che bisogna vederli che belli. Ma dove vanno, a dirla tutta, non so. Sempre scarichi, né legna, né fieno, né grano. Cosa gireranno a fare?

Non fanno quasi più bambini. Per forza: sono loro bambini. Non hanno più vacche o pecore o maiali. Tengono magari un cane o un gatto, e gli parlano come se fosse un bambino. Gli mettono il suo cappotto e gli danno da mangiare le sue cose speciali che costano come quelle di un uomo. Per forza che non fanno più bambini: hanno il cane, cosa gli serve fare i bambini? Non hanno tempo.

Si, a messa qualcuno ci va, ma pochi. Non so perché, ma mi dà l’impressione che non ci credono più. Ma no, non sono tutti socialisti. È che non ci fanno caso. Ognuno ha la sua, di religione, come per il mangiare. Perché ognuno è unico e per essere unico deve essere diverso dagli altri, se no non è più unico. Ma tanto non sentono neanche a suonare l’avemaria, che c’è sempre rumore di vetture che passano, o di scatole che parlano. Cosa ne fai delle campane?

 

Una questione che non ho proprio capito è quella della rumenta. Ne fanno tanta, vedessi, che non sanno dove metterla. Nella rumenta c’è tanta roba da mangiare che avanza (si vede che non sono buoni a regolarsi) e tante scatole mezze rotte, ma che non marciscono mai. Dice che riciclano. Che se no inquinano. Mah. Ma facevano prima a non fare tante scatole, a me sembra. E usare sempre le stesse, che poi si lavano. E poi comprare solo quello che serve, perché se uno la roba la fa lui, con la fatica e tutto, poi diventa furbo e non ne spreca. Adesso invece hai i tuoi soldi, vai dentro botteghe grandi come cattedrali, e ce n’è di tutto, sempre e di tutte le qualità (se paghi). Sembra proprio bengodi, come se ti dicessero: butta pure via che tanto qui ce n’è. Ma la più bella di tutta la faccenda è che la rumenta, adesso, la tengono sotto chiave. Eh si: ogni bidone ha la sua serratura, oppure mettono i bidoni dentro delle gabbie chiuse, e s’arrabbiano moltissimo se qualcuno gli tocca la sua rumenta. Sono strani. Quello si, proprio strani, o matti, non so.

Non son cattivi, forse vorrebbero esserlo, ma cattivi non sono.

Alessandro Marenco

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