Una fine senza inizio
Una fine senza inizio
L’agonia di un partito mai partito
Il Partito Democratico, sin dalla sua fondazione, ha vissuto una continua tensione tra identità e compromesso, tra radici ideologiche e necessità di governo, tra europeismo e ancoraggi nazionali. Ma oggi, più che mai, il nodo delle contraddizioni è giunto al pettine. Il PD si trova di fronte a un redde rationem che non è più rimandabile, un’implosione politica annunciata da anni di incertezze, di giravolte strategiche, di leadership deboli e fratture insanabili.
I segnali della tempesta si erano già addensati da tempo: risultati elettorali altalenanti, il progressivo distacco della base, il rifiuto di riconoscere una linea chiara e condivisa. Ma ora, con la spaccatura sul riarmo europeo e la crisi finanziaria delle sedi territoriali, la compagine democratica sembra avviata verso una lenta e inesorabile dissoluzione. Una fine senza inizio. Un partito mai partito davvero, che si è sempre dibattuto tra posizionamenti di facciata e giochetti di interesse, senza mai radicarsi nel cuore dell’elettorato.
Notte dei lunghi coltelli
Lo scontro interno è feroce. Da una parte la segretaria Elly Schlein, appoggiata da una base che sogna un PD alternativo, pacifista, capace di una nuova narrazione sociale ed ecologista. Dall’altra, la minoranza riformista, che non vuole mollare la presa e si richiama all’europeismo pragmatico di Romano Prodi e alle istanze atlantiste di Sergio Mattarella. La frattura è esplosa sul tema del riarmo UE, ma è solo il detonatore di una guerra intestina che covava da anni.
Chi comanda davvero nel PD? Quale linea guida orienta il partito? Le domande rimbalzano come pallottole tra i corridoi del Nazareno, dove si consuma una “notte dei lunghi coltelli” politica, con accuse trasversali, ricatti velati e minacce di scissione. L’illusione di un’unità costruita a tavolino si sgretola sotto i colpi delle rivalità personali, delle ambizioni mai sopite, delle faide interne che rendono il partito un campo di battaglia più che una casa comune.

PUBBLICITA’
Il refugium peccatorum di politicanti senza speranza
Un partito incapace di catturare il consenso popolare. Incapace di interpretare il proprio tempo. Incapace di staccarsi dalla logica della rendita politica e proporre un progetto credibile. Un refugium peccatorum di politicanti senza speranza, di parolai senza programmi concreti, di opportunisti sempre pronti a cambiare casacca in base ai venti che soffiano da Bruxelles o dal Quirinale.
L’elettorato si è accorto da tempo di questa inconsistenza e ha smesso di fidarsi. Il PD è diventato lo zimbello della politica italiana, incapace di prendere decisioni coraggiose, di imporsi con una leadership forte, di smarcarsi dalla logica del compromesso ad ogni costo. Gli elefanti nel negozio di cristalleria della politica italiana si muovono goffi, spaesati, inadeguati. Lucertole immobili al sole dell’attesa, sperando che il tempo risolva le loro contraddizioni.
Dilapidazione di un’eredità morale
Mentre il partito si lacera, gli storici padri fondatori si rivoltano nei sepolcri. Cosa resta dell’eredità morale della sinistra italiana? Nulla, se non un partito ridotto a un organismo scomposto, disarticolato, privo di direzione. L’idea di un PD che fosse il grande contenitore del progressismo italiano è naufragata negli anni tra personalismi, scelte miopi e alleanze mutevoli. Un giorno con i 5 Stelle, il giorno dopo con Calenda. Oggi contro il riarmo, domani a favore. Un partito in balìa degli eventi, senza spina dorsale, senza una rotta.
La questione delle sedi è emblematica. Un tempo, i circoli erano il cuore pulsante del partito, oggi sono un peso economico, un fastidio da gestire. La decisione di stanziare 2 milioni di euro per salvarne alcune non è altro che una pezza su una falla che continua ad allargarsi. Il declino non si misura solo nei conti in rosso, ma nell’incapacità di trasformare le sedi in luoghi di vera partecipazione e aggregazione politica.
Una bomba esplosa
La crisi del PD non è un incidente di percorso. È il risultato di anni di scelte sbagliate, di rinvii, di ambiguità. È una bomba che è esplosa dopo essere stata innescata da decenni di contraddizioni irrisolte. La guerra intestina che oggi dilania il partito non è altro che la resa dei conti di un progetto mai veramente decollato.
Il destino del PD sembra segnato. O si trasforma in qualcosa di radicalmente nuovo, o si avvia verso la definitiva irrilevanza. L’agonia potrebbe durare ancora qualche anno, tra scossoni elettorali, congressi laceranti, leader che salgono e cadono senza lasciare traccia. Ma il verdetto della storia è già scritto: questo partito, così com’è, non ha futuro.
Una fine senza inizio. Perché il PD, forse, non è mai esistito davvero.