Un secolo dopo è il fascismo che torna?

Un secolo dopo è il fascismo che torna?
Non è il fascismo che si è risvegliato ma è la voce dei popoli che torna a farsi sentire

 Un secolo dopo è il fascismo che torna?

 Non è il fascismo che si è risvegliato ma è la voce dei popoli che torna a farsi sentire

I vecchi politici, anche i più scafati come D’Alema e lo stesso Berlusconi, hanno perso completamente la bussola.  Farneticano di un governo a trazione leghista per sabotare l’alleanza – in realtà la simbiosi gialloverde (o verdeblu) è perfetta nonostante i maldestri tentativi di usare come guastatore quel Fico messo alla Camera per non disturbare – e lo accusano di portare l’Italia all’isolamento internazionale  quando è vero esattamente il contrario. Non solo, infatti, la Nuova Italia gode dell’appoggio esplicito o implicito di Stati Uniti e Russia ma è in grado di contagiare tutta l’Europa ed è realistico ipotizzare che di qui a pochi anni questa Unione europea cederà il posto ad una diversa entità sovranazionale basata sui popoli e non sulle banche. Semmai a rischiare l’isolamento è proprio la Francia mentre la Germania, con la Merkel barcollante, non si sa che strada prenderà ma sicuramente il quarto Reich sta già facendo la fine del terzo. 


Vecchi politici che, come la sinistra tutta, sono al servizio diretto del potere finanziario globale e della sua sgangherata sovrastruttura mediatica e intellettuale, le élites che farebbero rabbrividire Vilfredo Pareto. Chiusi nel loro mondo di grandi e piccoli privilegi, si sono addormentati con la rassicurante convinzione che dans le tourbillon de la viesi rimescola sempre l’acqua dello stesso stagno, che niente può veramente cambiare, e al risveglio, per dirla con la loro canzoncina, “hanno trovato l’invasor” e si sono accorti che il loro mondo non c’è più.

Non è la prima volta che soffia il vento del populismo. Quando nella Germania ridotta alla fame e incoraggiata dall’esempio italiano ne furono investiti i lacchè del potere finanziario globale, quest’ultimo poté spuntarla perché si presentava come il paladino della democrazia contro la dittatura, spinta da quel vento per contrastare la sinistra, che, ieri come oggi, di quel potere era al sevizio; il socialismo nazionale tedesco e, a modo loro, il franchismo e il fascismo, erano stati infettati dal loro avversario  ed erano diventati una cattiva miscela di aspirazioni popolari, nostalgie autoritarie, militarismo ottuso e pulsioni illiberali giustificati dallo spauracchio bolscevico. Ma ora quel potere e le lobby che gli fanno corona si trovano di fronte il popolo non più diviso e ingannato, senza le sirene di mitologie fuorvianti o interessate sovrapposizioni e liberato dalla quinta colonna rossa, mentre la democrazia di cui quello stesso potere è stato paladino è ormai un simulacro rotto, che lo costringe a mostrare la sua vera faccia e i suoi artigli. Il postino della storia bussa sempre due volte e se le pulsioni nazionalpopolari dello scorso secolo vennero, non certo per volontà del Duce, deviate e intrappolate, quelle stesse pulsioni ora si ripresentano e ancora una volta se ne fa portatrice l’Italia. 

Un populismo libero dalle scorie del passato


Le forze interne che muovono la storia sono espressione di una necessità fisica ma la direzione che essa assume dipende dalle scelte che effettuano gruppi e singoli individui. Abbiamo sentito Salvini volare alto: giusta e realistica una visione strategica che vada oltre i confini nazionali; bene la prospettiva di una Lega delle Leghe e un fronte comune per un’Europa dei popoli. Ma che non si parli nella destra francese o in quella tedesca di caccia allo straniero, di razza o di valori da imporre e non si vedano in giro vessilli e tenute paramilitari. Alla larga: l’Europa ha già dato.  C’è una linea di demarcazione precisa fra l’entusiasmo di un popolo che si esprime nel clima festoso di Pontida e le adunate spersonalizzanti di folle inebetite inquadrate in geometrie che rispecchiano una razionalità perversa. Questa volta la retorica lasciamola tutta ai servi del potere, insieme agli slogan, alle frasi fatte, alle parole che coprono e ingannano. Che sia questo il populismo che Salvini rivendica orgogliosamente: lo straripare dell’anima del popolo, del suo slancio creativo, della sua positività, che sia la vittoria della ragionevolezza, del buonsenso, delle parole che svelano e illuminano. Questa volta non vogliamo simboli, non abbiamo bisogno di esaltazione collettiva; vogliamo fatti e normalità, una normalità che mentre ridà senso alla politeia– la cittadinanza – mette all’angolo e ridimensiona la politica e con essa i partiti, il cui protagonismo ha contrassegnato la stagione più buia della nostra storia.


È perfettamente legittimo mettere a confronto il bisogno di cambiamento di oggi con quello che seguì la fine della Grande Guerra, il populismo e il sentimento nazionale di ieri con quello di oggi; lo dico senza infingimenti: il fascismo e il leghismo (o il grillo leghismo). Ma è stupido, non dico illegittimo perché non si può impedire agli stupidi di esprimere la loro essenza, accusare la Lega di fascismo o di essere una riedizione del fascismo. È stupido indipendentemente dal giudizio che ognuno può dare del fascismo. È vero che oggi torna a soffiare impetuoso il vento del populismo, come nell’Italia degli anni Venti del Novecento. Ma allora quel vento si incanalò lungo due direzioni contrarie: il miraggio della giustizia sociale, del riscatto degli oppressi, della liberazione dal giogo della Chiesa, dei “padroni”, di uno  Stato duro e lontano, si riproponeva in contesti sociali e culturali diversi, indirizzava verso traguardi contrapposti e proprio questa contrapposizione finì per dissolverlo e trasformare  le pulsioni positive in odio, cieca violenza, paura e bisogno di sicurezza e per approdare ad un regime autoritario. Oggi quel vento soffia verso un’unica direzione, il grande tradimento della sinistra e del comunismo è stato svelato, il Pd, nuovo nome del Pci, caduta la maschera si è mostrato per quello che è: il partito della peggiore borghesia, un partito ferocemente di classe, come ha sempre detto di essere, ma non della classe operaia. Estirpato dal ventre del popolo il cancro del comunismo, che per reazione aveva determinato l’involuzione autoritaria e conservatrice del fascismo e gli aveva fatto assumere specularmente il medesimo impianto scenografico e sovrastrutturale, anche la Chiesa, alla quale il fascismo contendeva il primato nell’educazione, ha ora perso tutta la sua presa sulle coscienze e non ha più senso contrapporre chiesa a chiesa, indottrinamento a indottrinamento. Insomma: il fascismo è frutto della contrapposizione al bolscevismo, della rivalità con il clericalismo, del bisogno di ritrovare un’unità nazionale perduta e mai pienamente realizzata, del compromesso fra passatismo e futurismo ed è saldamente impiantato nel suo contesto storico. Suggerire che la Lega di Salvini evochi e dia corpo alle ombre della censura, della polizia politica, delle norme liberticide e delle parate di regime è solo segno di stupidità, crassa ignoranza o malafede. 

Salvini e Mussolini


A Pontida si è sentito risuonare il grido: “Nostro Capitano!”, meno eufonico e incisivo del suo sinonimo latino e anche solo per questo destinato – per fortuna – a non attecchire nelle piazze. Ma il sentimento collettivo destinato a diffondersi in tutto il Paese è quello. Si può allora concludere che Qualcuno ha raccolto la preghiera “Aridatece er Puzzone!”?  L’ho già scritto: l’analogia col Duce finisce qui, col consenso popolare. Per il resto Salvini e Mussolini sono due figure antitetiche e il loro ruolo e la loro funzione storica non sono paragonabili. Salvini dà voce al popolo, ha un rapporto empatico con le persone, trasmette un grande senso di concretezza, è un uomo leale e affidabile, il che non significa che non sappia muoversi nei meandri e nelle insidie della politica. Più colto di quanto non dia a divedere, pragmatico, intelligente e lungimirante, è però soprattutto un uomo qualunque, una persona comune. Mussolini era, al contrario, una persona fuori del comune, aveva una personalità magnetica, capace di soggiogare tanto le folle quanto i suoi diretti interlocutori. Caso raro di uomo di studi rigorosi ma praticamente autodidatta, brillante giornalista, ineguagliabile oratore, con un’esperienza di vita intensa e una vita privata spregiudicata, è stato oggetto di una venerazione persino imbarazzante, rovesciatasi nel suo contrario durante lo sconcio di piazzale Loreto. 

L’Italia non ha bisogno di personalità fuori del comune, che non solo fanno spesso una brutta fine, da Cesare a Napoleone, ma qualche volta la fanno fare anche al loro Paese e ai loro seguaci; ha bisogno di cuore ma non di passione al limite dell’erotismo; ha bisogno di fermezza ma non di temerità ed ha soprattutto bisogno di una leadership che mantenga aperto il circuito di retro comunicazione con i cittadini, non con le folle.

 Pier Franco Lisorini

   Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.