Un reddito per l’inclusione, quella degli italiani
Un reddito per l’inclusione,
quella degli italiani
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Un reddito per l’inclusione, quella degli italiani Quanti hanno avuto modo di visitare o di soggiornare nella vecchia Unione sovietica concordano nel fornire il quadro di un Paese triste, grigio, asfittico nonostante l’ampiezza degli orizzonti fisici. Ma concordano anche nel riconoscere che sacche di povertà assoluta e di marginalità non ce n’erano, che nella generale mediocrità nessuno veniva abbandonato a sé stesso; assistenza sanitaria, sussistenza, scolarizzazione erano veramente e non a parole garantite a tutti. Questo è anche il motivo per cui nella Russia attuale ipercapitalista tanti, soprattutto anziani, rimpiangono un passato per molti aspetti deprecabile. Tanto per dire che la dittatura comunista qualche merito l’aveva pure avuto, che, almeno in parte, la giustificava. A noi, in questa povera Italia in mano al partito unico, ai comunisti riveduti e scorretti, questa consolazione non è data. Nel Paese con la “Costituzione più bella del mondo”, nella patria dello Stato assistenziale, con la Chiesa degli ultimi e il partito del proletariato, chi rimane indietro, chi perde il lavoro o la salute o tutte e due le cose, chi vive troppo a lungo, chi perde il sostegno familiare e da solo non ce la fa si può solo affidare al padreterno perché per lui questa è la patria del cinismo ultraliberale, ognuno per sé e Dio per tutti e chi rimane indietro peggio per lui. I preti hanno altro a cui pensare, le dame di carità sono un ricordo del passato, gli enti comunali di assistenza non esistono più, le risorse dei comuni sono risucchiate dai clandestini, lo Stato non fa niente per identificare e soccorrere quella quota di popolazione in sofferenza e si limita a quantificarla all’ingrosso per giustificare una spesa che prende tutte le direzioni tranne quella per la quale era destinata. Le ideologie, i programmi e le promesse dei partiti – ormai del partito –, la dialettica destra-sinistra o progressisti-conservatori non hanno funzionato. Con la sinistra quel po’ di welfare che c’era non c’è più, il divario fra ricchi e poveri è diventato abissale, la curva della distribuzione della ricchezza si è impennata a destra con un aumento impressionante della deviazione standard, vale a dire della distanza fra la minoranza dei ricchi e il resto della popolazione. L’indice di Gini, che è una misura più intuitiva della deviazione standard, colloca l’Italia all’ultimo posto fra i Paesi europei, dopo la Germania, dopo la Francia, dopo la Spagna, con un valore di 0.37 nel 2015 a fronte di una media europea di 0.27. Ricordo che il coefficiente introdotto da Gini è una misura della disuguaglianza sociale con un campo di variabilità da 0, quando all’interno di una popolazione tutti hanno lo stesso reddito, a 1, quando tutto il reddito disponibile è nelle mani di una sola persona. L’indice su abbassa nei Paesi, come il Belgio, in cui c’è maggiore equità sociale e si alza un quelli, come gli Stati Uniti, in cui ce n’è di meno, per raggiungere il massimo, oltre lo 0,50 in alcuni Paesi africani, gli stessi che spediscono i loro ragazzi a farsi mantenere da noi. Sono indici della disuguaglianza sociale, che un ingenuo si sarebbe aspettato che dovesse decrescere con l’ingresso ufficiale dei comunisti al governo del Paese. E invece il 60% della ricchezza è finito nelle mani dei vecchi e dei nuovi ricchi, il partito dei lavoratori, degli operai, dei disoccupati, dei diseredati si è adoperato per alimentare una nomenklatura di parassiti, ha distrutto il ceto medio – Bersani qualche tempo fa ebbe l’impudenza di chiamare ceto medio i percettori di un reddito superiore ai 100.000 euro – e grazie alle sue “lotte” e a quelle della sua espressione sindacale, la Cgil, ha creato isole di privilegio, assurde disparità fra lavoratori che fanno le stese cose in contesti differenti, ha inventato un esercito di dirigenti pubblici irresponsabili e incapaci ai quali ha consentito di triplicare gli stipendi tabellari fra premi e retribuzione di posizione, ha consentito che col denaro pubblico si pagassero vertici militari e super burocrati fino a 10, 15, 20 volte più della media delle retribuzioni nel pubblico impiego. Se i dati statistici sofisticati non fanno abbastanza impressione si può ricorrere a un semplice dato percentuale: più del 90% dei lavoratori dipendenti guadagna da 20.000 a 40.000 euro (lordi) l’anno e deve tirare la cinghia per arrivare in fondo al mese anche quando in famiglia sono due a lavorare ma ci sono anche un milione e mezzo di dipendenti con stipendi superiori a 90.000 euro. Fra questi un esercito di 200.000 dirigenti di enti locali e municipalizzate che si mettono in tasca da 100 a 200 mila euro, tutta gente che sarebbe miracolata da una flat tax senza correttivi, come quella non per niente vagheggiata dalla casta di tutti i colori. Una cosa sconcia che non ha uguali nei Paesi civili. Perché è bene essere chiari: quando si tratta di privati valgono le leggi del mercato e non ci si deve scandalizzare se qualcuno abile e fortunato riesce a guadagnare una fortuna. I milioni di euro di un calciatore mi lasciano indifferente: basta che non sia io a contribuire a darglieli. Lo stesso vale per un pittore, un cantante o un industriale; basta che paghino le tasse e per il resto complimentiamoci con loro. Ma il mercato, senza l’interferenza della politica, in un’economia avanzata è galantuomo e se è vero che consente ad alcuni di accumulare grandi ricchezze alimenta anche il benessere collettivo e non produce quel tipo di disuguaglianza che è frutto delle rendite parassitarie e di posizioni di potere artificiale. Personalmente non ho il culto del denaro, ho una mentalità da chierico, e per quello che mi riguarda i simboli e gli stili di vita della ricchezza e della sua esibizione mi sono indifferenti. Ma diffido di quelli che sragionano sui signori perché ne invidiano le abitudini, che scambiano le vacanze in Brasile o la Ferrari per beni primari, perché sono gli stessi che hanno consentito l’affermarsi di una classe politica che ha devastato il Paese facendosi forte dell’invidia sociale. Se a causa della crisi fra il 2002 e il 2011 la percentuale delle famiglie in sofferenza, costretta ad attingere ai risparmi o a contrarre debiti era salita dal 5 al 20%, con i governi di sinistra è arrivata al 30%. Con i governi di sinistra la platea della povertà assoluta si è allargata. Ma se i poveri assoluti dormono per strada, in macchina, sui treni, frugano nella spazzatura, rischiano che gli assistenti sociali invece di soccorrerli si adoperino per togliere loro i figli, com’è successo qualche anno fa a un bidello, se quelli che erano i ceti medi o la piccola borghesia rischiano a loro volta di essere risucchiati nell’indigenza, quali sono, secondo il partito della sinistra le domande che salgono dal Paese? Ce lo dice l’esponente della sinistra della sinistra, Cuperlo, che dichiara: “Occorre rimettere in asse il Partito democratico per rispondere agli interessi di questo Paese”. E quali sono gli interessi di questo Paese secondo Cuperlo? Cito testualmente: “Una legge sui minori non accompagnati e una legge troppo a lungo attesa sullo ius soli”. E su questo si vada a vedere il titolone di prima pagina sull’Unità di oggi, venerdì 17 febbraio. Proprio così. Il nostro Paese, ridotto allo stremo, con una disoccupazione giovanile devastante - perché se una persona non lavora non cresce, non matura, perde il senso del dovere e della responsabilità personale, guarda in modo distorto alla realtà, non acquisisce una corretta scala di valori -, un Paese che è ormai la Cenerentola fra i grandi Paesi dell’Occidente, zavorrato da un debito pubblico che continua a crescere anche se stipendi e pensioni sono fermi da anni e continuano a perdere potere di acquisto, un Paese così secondo gli esponenti del Pd agogna ad una sistemazione definitiva per i minori non accompagnati arrivati coi barconi e la concessione della cittadinanza a prescindere a qualche milione di stranieri, ottimo serbatoio di voti. Questa è gente che gongola perché è riuscita a imporre le unioni civili e ora che con Pannella è scomparso anche il partito radicale ne ha preso il testimone per portare a termine le altre “grandi battaglie di civiltà”: la dolce morte che liberi posti letto negli ospedali e la libera vendita di hashish e marijuana che porti a compimento l’istupidimento di massa non ancora conseguito appieno con i media. Il Pci, la sinistra, a cominciare dal Psi della Milano da bere, sono stati una truffa, un raggiro, hanno usato la miseria vera di molti, l’invidia sociale di alcuni, la complicità occhiuta di altri per imbavagliare la protesta sociale, per togliere voce e possibilità di contare al popolo che fingeva di rappresentare. I fratelli Mattei pagarono il prezzo di aver cercato di entrare in un territorio in cui la sinistra non vuole intrusi. Il Pci (Pds, Ds, Pd) ha costantemente tradito il popolo e il proprio elettorato. Pretende di essere e di non essere la stessa cosa, abbandona la bandiera rossa ma la tiene sempre a portata di mano, ora difende i correntisti truffati ma sta dalla parte dei banchieri truffatori, si presenta come il partito dei diritti ma scambia per diritti di tutti i privilegi di pochi, è il partito della legalità ma sguinzaglia le canaglie dei centri sociali e aizza sedicenti studenti con idee surreali sulla funzione delle biblioteche universitarie. Per mantenere il potere non punta più sul consenso, che non avrebbe mai, ma sull’astensione ed ha perciò bisogno di convincere gli italiani che non c’è alternativa possibile. Così il suo obiettivo principale è quello di screditare gli avversari o, meglio, la concorrenza, non sono più i signori o i padroni e i loro lacchè ma quanti cercano di entrare nel terreno, quello delle rivendicazioni sociali, che loro hanno abusivamente occupato. Di fatto, quindi, considerato che a sinistra del Pd ci sono solo le sue appendici, l’Italia si trova nella situazione paradossale di assenza assoluta dalla scena politica di qualcuno che rappresenti le istanze dei milioni di persone abbandonate a se stesse; non c’è nelle forme arcaiche della carità privata, non c’è in quella moderna e paternalistica dello Stato assistenziale, non c’è nella versione del welfare state, non c’è in quella liberaldemocratica della rappresentanza ma ci dovrà pur essere chi eserciti il mundio per chi non ha neppure la forza di ricorrere alla violenza per imporre il rispetto dei propri diritti. Perché è bene che i compagni sappiano che più fondamentale della costituzione, prima delle leggi scritte, prima dell’umana pietà o della solidarietà c’è un assioma che sta alla base del patto sociale sul quale si fonda lo Stato: nessun cittadino deve essere abbandonato a se stesso. Quelli stessi che hanno spalancato le porte all’invasione dall’Africa, che senza pudore straparlano di evento epocale per quella che è semplicemente la conseguenza di fattori contingenti assai poco epocali, a cominciare dall’attrattiva che esercita sui giovani africani la prospettiva di essere mantenuti a spese nostre, senza parlare della furbizia degli emirati che distolgono da sé la pressione migratoria per indirizzarla verso l’Europa, della strategia del califfato che ci riempie di suoi potenziali soldati, del marciume cresciuto intorno all’accoglienza, quelli stessi che si indignano se appena si accenna al costo che grava sul contribuente italiano per ogni clandestino o profugo che sia alloggiato nel nostro Paese, di fronte agli anziani malati che non hanno mezzi per curarsi, ai padri e alle madri disperati per aver perso il lavoro, agli sfrattati che dormono in macchina non fanno una piega. I nostri emarginati devono seguire tutte le trafile, entrare negli ingranaggi della burocrazia, piatire presso gli assessori, fare domande per avere un tetto, aspettare e magari morire prima che arrivi il proprio turno. E a chi denuncia questo sconcio i compagni, ma non solo loro, ribattono che sta fomentando una “guerra fra poveri”, dimenticando che all’interno di una comunità, all’interno dello Stato, vige il dovere, l’obbligo, di provvedere ai propri poveri, non ai poveri altrui. Capisco che per molti può essere più accattivante provvedere al benessere di giovani spesso aitanti piuttosto che frequentare l’odore della miseria vera, della decadenza fisica, della malattia. Lo capisco come si può capire tutto ciò che c’è di viscido nell’animo umano. Nel vuoto di rappresentanza che si è creato nel nostro Paese la proposta grillina del reddito di cittadinanza ha aperto uno spiraglio ma si è rivelata assolutamente carente nel merito e nel metodo, tant’è che nelle amministrazioni locali in cui è stata sperimentata si è ridotta ad una replica dei bonus renziani, pura demagogia. Ma in sé il reddito di cittadinanza risponde a quell’assioma fondamentale: nessuno deve essere abbandonato. Gli risponde purché su traduca in provvedimenti strutturali, analoghi a quelli adottati in altri Paesi europei, come la Germania. Che provvedimenti così escano dalla sinistra e dal Pd, considerati i precedenti, è inimmaginabile, proprio per un limite culturale e politico che non consente loro di superare l’assistenzialismo clientelare e il principio della mancia elettorale, Qui, infatti, non si tratta di bonus ma di uno strumento permanente che insieme orienti verso la formazione e il lavoro, prevenga l’emarginazione, sostenga le famiglie, incoraggi la natalità, restituisca ai cittadini fiducia nelle istituzioni e speranza per il futuro. Il movimento Cinque stelle, anche nel caso che ottenga la maggioranza per governare, non è attrezzato per realizzare da solo politiche di ampio respiro come questa, politiche che richiedono convergenza e collaborazione fra tutte le forze estranee al regime. A questo proposito ho letto con piacere il contributo di Mario Giordano sulla Verità di sabato scorso e lo considero un segnale importante della sensibilità che si è maturata a destra per l’emergenza sociale. Del Pd ho già detto: in quel che resta di ciò che era il partito della Rifondazione comunista, messe a tacere le poche voci sensate, si sentono solo farneticazioni alla Robin Hood. Non rimane altro che augurarsi che il vigoroso populismo di Grillo e Salvini, che è altra cosa rispetto alla demagogia renziana, faccia causa comune con la parte sana del centrodestra per mettere in campo un progetto realistico anche sotto il profilo della compatibilità finanziaria. E, comunque, in un Paese che si permette di dilapidare risorse per il Quirinale più costoso della Casa Bianca e di Buckingham Palace messi insieme, per i rappresentanti del popolo, si fa per dire, più pagati del mondo e per una miriade di parassiti di Stato nonché, last but not least, per mantenere centinaia di migliaia di giovani africani che, da qualunque cosa fuggano lasciano nelle peste donne, anziani e bambini, bisognerà che si trovino quei 10, 15 o fossero pure 20 miliardi necessari per metterlo in pratica. Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione |