Un medioevo tutto da ridere

Un medioevo tutto da ridere
Saliceto è un piccolo paese, il primo piemontese della Valle del Bormida verso Cortemilia

Un medioevo tutto da ridere

Saliceto è un piccolo paese, il primo piemontese della Valle del Bormida verso Cortemilia. Ha un suo bel centro storico ed alcuni monumenti che val la pena conoscere. Cito rapidissimamente la parrocchiale di San Lorenzo, dalla bella facciata; San Martino a Lignera, il castello dei marchesi del Carretto.

Recentemente Saliceto è balzato all’attenzione delle cronache perché diventato un centro di interesse per diverse classi di storici, soprattutto coloro che studiano i simboli, i culti precristiani, le questioni più profonde e inesplicabili che ci hanno lasciato gli antichi.

Saltano fuori, inevitabilmente, i templari. Ci sono simboli alchemici ed esoterici. Si risveglia, in qualche modo, l’interesse e la curiosità di persone appassionate a questi temi. Per finire, addirittura un regista ha deciso di utilizzare Saliceto come location per alcune riprese di un film oggi in produzione e che si chiamerà: “The broken key”, con torme di attori famosi e successo assicurato.

Tutte buone notizie, insomma.

Speriamo che questa fama improvvisa si possa gestire senza danno, perché gli appassionati e i curiosi di esoterismo e di oscuro medioevo (sto generalizzando, attenzione!) talvolta, per eccesso di entusiasmo, possono pure far danno.

In effetti segni e simboli a Saliceto ce ne sono molti. La cosa ha sempre colpito anche la mia fantasia di bambino, quando frequentavo la chiesa, e la domenica ci si soffermava sul sagrato per scoprire ogni volta un nuovo volto, una nuova pianta, un arma, una maschera, un’iscrizione. Se n’era accorto il buon Maestro Augusto, lo storico locale, la memoria locale, il latore di ricordi, tracce, testimonianze, ipotesi, che per primo a descritto minuziosamente la facciata.


E poi, non so perché, ma il medioevo ha un fascino particolare. E scoprire che la propria “piccola patria” porta chiari i segni di questo periodo storico ci fa sentire parte di un qualcosa di più importante, di bello. Partecipare alla bellezza ci rende belli.

In verità, noi siamo figli di quella bellezza, ma non abbiamo meriti: anzi! Dovremmo dimostrare ogni giorno di meritarci i nostri paesaggi, il Davide di Michelangelo, l’Ultima Cena o la Cappella Sistina. E così come valbormidesi (e qui si apre un’altra questione, sulla identità e su un territorio non mai identificato) dobbiamo meritarci i monumenti e i paesaggi che abbiamo. E forse non sempre ne siamo degni, o consapevoli.

In ogni caso mi vorrei soffermare un qualche brano degli affreschi che si trovano nella chiesa di San Martino a Lignera, la frazione che si trova dopo il paese di Saliceto, verso Monesiglio.

Non parlerò della sua storia, nel del suo mirabile campanile romanico. C’è il web, ognuno si documenti, se vuole.

C’è un ciclo di affreschi in questa chiesa, io credo tardo medievali. Sono bellissimi, coloratissimi. Di più non dico, perché potrei dire qualche stupida eresia. Altri ne hanno scritto, e anche qui, val la pena documentarsi.


Quel che mi stupisce è l’ironia che si trova in questi dipinti. Quasi il comico, verrebbe da dire. I cavalli (sia che partecipino al torneo, sia che reggano in sella un santo) ridono vistosamente. Verrebbe da dire che Jacovitti, prima di disegnare i suoi cavalli, abbia visto questi, e ne abbia tratto spunto. E non è una cosa isolata: anche il chierichetto, o il servo che sia, il quale assiste alla guarigione miracolosa di due personaggi ridotti a letto, si scompiscia dalle risate. Par proprio di vederlo un monellaccio alla “Amarcord” che non può trattenere risa e sberleffi proprio nel momento di più grande raccoglimento e silenzio. Ma il colpo da maestro, l’ignoto autore degli affreschi, lo spende con San Sebastiano. Il santo è, tradizionalmente, legato a un sostegno, con le mani dietro la schiena, e fatto bersaglio di numerose frecce che se ne restano orribilmente conficcate nel suo corpo sofferente. Gli arcieri (nel riquadro se ne vedono due) sono rappresentati brutti, perché cattivi. Uno dei due ha addirittura il gozzo. Ebbene, proprio quello del gozzo, ha una freccia conficcata di traverso nella gola, ed una espressione inebetita, sorpresa. Ho riso io stesso, immaginando il messaggio del pittore: questi sono brutti, ma sono anche stupidi, talmente incapaci che le frecce se le tirano tra di lodo. Manco buoni a uccidere uno nudo legato a un palo. Proprio brutti e stupidi.

Ed ho pensato che è proprio bello sapere che quel tale artista di cui non esiste neppure più la polvere, ancora ci fa sorridere e parlare, dopo cinque, sei secoli, cosi come facevano i bambini di allora, a messa, redarguiti magari dal prete, che chiedeva silenzio. E loro giù a ridere e indicarsi vicendevolmente il cavallo ridente, o un arciere tanto stupido da infilzarsi con la sua stessa freccia.

Magari il medioevo non era così tetro, così misterioso, così deprimente come a volte ce lo rappresentano. Magari si rideva anche allora, e si rideva per cose da poco, e si partecipava veramente alla bellezza del creato e dell’edificato, più di quanto non riusciamo a fare noi oggi.

Aggiungo a mo’ di nota, che devo la conoscenza di queste immagini ad una conferenza di Guido Araldo, che ha raccontato i mesi e i simboli con passione e curiosità in un suo recente libro.

Alessandro Marenco

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