Un’ indagine filosofica sul mondo attuale (prima parte)

UN’ INDAGINE FILOSOFICA
SUL MONDO ATTUALE  
(Prima parte)

UN’ INDAGINE FILOSOFICA SUL MONDO ATTUALE
(Prima parte)

 Che cosa caratterizza il mondo in cui viviamo? Quali “paradigmi” condizionano il nostro modo di interpretare la realtà in cui siamo immersi? Su quali valori fondiamo la nostra vita individuale e sociale? In che cosa crediamo (ancora) o non crediamo (più)? E’ possibile vivere in pace in un mondo perennemente in guerra? Non sarà che noi occidentali, cristiani o atei, basiamo la nostra (relativa) pace sulla potenzialità distruttiva dei nostri armamenti convenzionali e non convenzionali, sulle guerre combattute da altri, purché lontani dai nostri confini?  Come mai siamo considerati dai fondamentalisti islamici una massa di infedeli materialisti ed edonisti da convertire o da eliminare? Qual è il nesso tra monoteismo identitario e guerra? Perché le cosiddette “religioni del Libro” sono state più foriere di conflitti che di pace e di fratellanza tra i popoli? Chi possiede la giusta chiave interpretativa dei sacri testi? Non sarà che le masse, occidentali e orientali, acculturate o arretrate che siano, non sappiano andare oltre la lettera dei loro libri sacri? E non ci sarà un nesso tra il letteralismo religioso delle masse e il terrorismo? E tra le guerre,  le diseguaglianze, la miseria e le migrazioni che tanto ci allarmano? Basterà erigere muri e blindare le frontiere a salvaguardare la nostra sicurezza e a tutelare la nostra economia? E sarà mai possibile una via di uscita dall’ “invaso” epocale nichilistico, consumistico, massmediatico  e ipertecnologico di questo nostro mondo in cui l’apparenza vale più della realtà, l’immagine più della persona o della “cosa in sé”, l’avere più del dare, i diritti più dei doveri e dove gli unici valori che contano sono quelli quotati in borsa e l’immanenza ha sostituito la trascendenza e la fisica la metafisica?


Di questi e di altri interrogativi su chi siamo, da dove veniamo e verso dove stiamo andando, magari senza nemmeno rendercene conto, tratta l’ultimo libro del filosofo Giorgio Girard: Letteralismo religioso delle masse, terrorismo e migrazioni, Mimesis, 2017. Nella prefazione l’autore traccia le linee portanti del suo saggio: “Da tempo la filosofia s’interroga su cosa sia realtà.  Ciò che, semplicemente vivendo, appare scontato, in questo libro viene interrogato”. Ad esempio: siamo sicuri di saper leggere? Eh sì, perché un conto è saper leggere il giornale (ma, anche qui, non è detto che siamo tutti buoni  lettori dei quotidiani, ricordo su questo argomento il bel manuale di Paolo Murialdi intitolato Come si legge un giornale, Laterza, 1975; e, siccome ormai per l’uomo-massa contemporaneo la preghiera del mattino non è più, come diceva Hegel, il giornale ma il telegiornale, è opportuna almeno – sempre che non si scelga di non guardare più la tv –  la lettura di Come si vede il telegiornale di Omar Calabrese e Ugo Volli. Laterza, 1987) un altro saper leggere la Torah, o il Nuovo Testamento o, tema attualissimo, il Corano.

Ebbene, prosegue Girard, “Un aspetto possibile di questo domandarci passa per la differenza tra ciò che è letterale e ciò che è allegorico”. Non è una questione solo accademica o esegetica se crediamo a quello che ha scritto san Paolo in 2Corinzi 3, 6: “Littera enim occidit, Spiritus autem vivificat”, ma addirittura di vita e di morte, salvezza o perdizione; non per niente così nella tradizione talmudica  come in quella cristiana si insegna il modo corretto di leggere “la parola di Dio”: oltre a quello immediato, letterale e, per così dire, di superficie,  ci sono altri tre livelli di significato: l’allegorico-simbolico, il metaforico-morale  e quello nascosto, mistico-esoterico. Anche i versetti coranici, oltre al significato letterale, sono portatori di significati simbolici (su questo aspetto ha insistito lo studioso egiziano contemporaneo Abu Zayd) ma i fondamentalisti islamici – d’altronde anche quelli cristiani rispetto al Vangelo —  si fermano al livello letterale,  considerato dalla scuola coranica più ortodossa  immutabile e intoccabile in quanto coeterno ad Allah, che ha voluto dettare al Profeta, tramite l’arcangelo Gabriele, il Corano nella lingua  araba del VII secolo e in nessun’altra.  


Girard attribuisce questo fermarsi alla superficie letterale dei testi sacri a quella che Jung chiama “ragione unilaterale”, vale a dire a quel meccanismo psichico difensivo che “per non soccombere all’insicurezza, si allinea risolutamente alle prime ‘ragionevoli apparenze’ della realtà rifuggendo dall’approfondimento”. Che cosa significa infatti “approfondire” se non rimettere in discussione le nostre certezze, le idee ricevute, i giudizi e i pregiudizi acquisiti passivamente e acriticamente? Nondimeno, se non vogliamo accontentarci del “si dice”, del senso comune e di quello che appare,  dobbiamo tener presente che “l’ ‘oltre’ della realtà immediata configura nuovi significati ed anche contribuisce alla costruzione di personalità diverse, rispetto a chi sa o meno recepire il simbolico, cioè quella rete di significati che, pur apparentemente reconditi, contribuiscono potentemente a strutturare ciò che percepiamo, ciò che sentiamo e viviamo.  Potremmo dire che, in effetti, viviamo di simboli, ma che l’immediatezza che non fruisca di ‘domande’ ce li nasconde”. Ecco quindi la necessità di qualcuno che ci risvegli dal nostro “sonno dogmatico”; come non pensare che questo qualcuno sia lo schiavo autoliberatosi di cui parla l’allegoria platonica della caverna?


Senonché “Il riferimento principale di questo libro – avverte  Girard – va a quanto è scritto nelle religioni dette ‘del libro’, Bibbia e Corano, dunque ad alveo monoteistico. Il suo titolo vuole richiamare la forza ‘letterale’ delle parole, o meglio di alcune parole particolari dei libri sacri, a caratterizzare l’azione. La parola ‘guerra’ non poteva allora che essere parola cardine per un libro che accentra la sua attenzione su uno dei più macroscopici problemi dell’epoca che stiamo vivendo, il terrorismo internazionale”. Noto di passaggio che il tema della guerra, in greco  pòlemos, è presente  nel pensiero occidentale fin dalla sue origini: per Eraclito di Efeso “Pòlemos è di tutte  le cose padre, di tutte re, e gli uni rivela dei e gli altri uomini, gli uni rende schiavi e gli altri liberi”. Per l’aristocratico Eraclito, grazie alla guerra si forma una società gerarchicamente ordinata e giusta dal momento che,  essendo la guerra comune a tutte le cose “anche la giustizia è contesa e tutto nasce per contrasto e necessità”. Quindi la guerra di cui parla Eraclito è necessaria alla vita del cosmo e alla legge dell’armonia universale  che scaturisce dalla tensione tra gli opposti. E’ questa la prima teorizzazione della coincidentia oppositorum che verrà ripresa dalla scuola neoplatonica,  che la trasmetterà  alla tradizione mistica cristiana, soprattutto tedesca (Meister Eckhart), e alla teologia negativa del Cusano, oltre che al panteismo di Giordano Bruno e a quello di Baruch Spinoza e, per suo tramite,  agli idealisti tedeschi. Tutti questi autori hanno una visione del mondo che potremmo definire “monista” in quanto riconducono la pluralità degli enti a un unico principio (il Logos, l’Uno, la Sostanza,  lo Spirito assoluto, Dio, la Volontà, la Natura…), anche Giorgio Girard, come spiega nel suo precedente libro, è un filosofo del Monos (cfr. Monos: liberare la morte dalla paure. Viaggio ai dintorni del nichilismo e dell’eterno, Rubbettino, 2015) e quindi sa bene che oltre al paradigma dicotomico dell’ aut aut oggi dominante ci possono essere, sia pure marginali,  altri paradigmi: “Ma vediamo ora il paradigma destabilizzante che si sta aprendo con le nuove impervie avventure conoscitive che io tenderei dunque a veder accentuate, se non propriamente introdotte, dal terrorismo internazionale”.


Ma in che senso il terrorismo di matrice islamista può in qualche modo accentuare “le nuove impervie avventure conoscitive”? Potrà mai il fanatismo omicida e suicida dei kamikaze avere, per una sorta di eterogenesi dei fini, anche una qualche funzione euristica? Vediamo: “Pochi, anzi pochissimi (al Baghdadi, Boko Haram), sono riusciti ad accaparrarsi l’attenzione ed il timore assoluto del mondo, contrapponendosi alle sue massime tradizionali ‘potenze’ (USA, Russia, Cina, Europa). Una posizione sconvolgente che ha saputo esprimere un contropotere enorme chiamando a raccolta i ‘relativamente tanti’ disseminati un po’ ovunque disponibili ad attuare il terrore a costo della loro stessa vita. Immaginiamo che questo ‘miracolo’ cresciuto in pochi anni sia stato reso possibile da ‘nuovi paradigmi’ che la Storia ha improvvisamente messo lì ad intralciare il nostro classico ed ordinato pensare”. Già, ma che cosa intende Girard con l’espressione “il nostro classico e ordinato pensare”? Intende quello basato sul principio di sostanza  e di non contraddizione, “riferimento cardine nel quale siamo vissuti finora, prima, per almeno 1500 anni, ’cristiano’, poi, progressivamente, laico”.


Giorgio Girard

Bene, Girard ci sta dicendo che il terrorismo internazionale “destabilizza” questo paradigma così rassicurante: “Tendo a scorgere come espressione paradigmatica di questo sconvolgimento la smentita della modalità binaria e duale attraverso cui passarono, oltre l’assetto ‘civile’ ordinato e accettato del mondo, anche indicibili orrori della storia: la smentita della tradizionale precisa identificazione del nemico, islamici per i crociati, fedeli per gli infedeli, o  viceversa, e così via per tutte le innumerevoli serie di controversie duali, chiaramente contraddistinte”. Insomma, il paradigma politico  duale di Carl Schmitt ‘amico-nemico’ non regge più, dal momento che il nemico non è più identificabile, in quanto “Passeggiando per strada e, soprattutto nei grandi raduni e concorsi di folla, ogni vicino potenziale amico può essere un nemico e non c’è nessuna ‘dichiarazione di guerra’ che possa rassicurare nel senso di consentire una difesa, anzi l’imprevisto coincide con la fonte di ogni potenzialità di terrore”. Questo significa anche che viene meno la distinzione tra tempo di pace e tempo di guerra: ormai la guerra, come il nemico, può essere tra noi e scoppiare quando meno te lo aspetti. 

 

     FULVIO SGUERSO 

 

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