Tutti liberali… davvero?…

TUTTI LIBERALI… DAVVERO?

ALLA RICERCA DEL CENTRO PERDUTO

 

TUTTI LIBERALI… DAVVERO?

ALLA RICERCA DEL CENTRO PERDUTO

 “Cerco un centro di gravità permanente”, cantava Battiato, qualche anno fa; ecco sembra che la stessa invocazione del celebre cantautore risuoni nelle sedi di partito e negli articoli di commentatori politici. Lunga è la lista dei partiti che sono alla ricerca di una nuova identità, di un nuovo spazio politico sia a destra che a sinistra, dal PD alla Lega. Certo diverse sono le motivazioni e la consapevolezza di cosa si voglia cercare, ma uguale è il disagio che questa voglia di cambiare nasconde, e cioè la presa di coscienza di tutta la classe politica che si sia di fronte ad un fatto puramente strutturale, che esula dalle proprie profonde convinzioni ideologiche, semplicemente per il fatto che, complici leggi elettorali squilibrate, non si riesca più ad ottenere una vera maggioranza autosufficiente cavalcando posizioni estreme di pura destra o sinistra. 

 


 

Dopo il fallimento del bipolarismo trasformatosi in coalizioni di partiti non omogenei che, ai primi segnali di crisi, hanno fatto saltare alleanze che sembravano monolitiche; così per il centrosinistra ai tempi di Prodi, così come per il centrodestra ai tempi di Berlusconi e Fini, è iniziata tutta una diaspora che, nella sinistra si articolava dai nostalgici del PCI ai terzaforzisti bleariani tra liberalsocialimo e cattocomunismo, e nella destra tra democratici liberali e destra sociale statalista. Il quadro poi, sotto il profilo degli esiti elettorali, veniva ulteriormente sconquassato con l’avvento della terza forza, i 5stelle, che faceva saltare del tutto la possibilità di formare governi unitari. I governi Frankenstein gialli verde e giallo rossi sono un esempio eclatante di questa situazione, solo la crisi prima economica poi epidemiologica fa si che non siano ancora stati gettati a mare insieme ad una legge elettorale improponibile, come improponibile sembra quella nuova di tipo proporzionale che si vorrebbe presentare, che è un classico esempio di aborto di architettura costituzionale – elettorale, dove si cerca di adattare la legge alle realtà frammentarie dei partiti, come se una casa si costruisse prima dal tetto. 

 


 

Ma torniamo al tema di fondo; la politica coniugata sul solo asse orizzontale, da sinistra a destra: che tale asse non fosse rappresentativo oggettivamente della realtà sociale e non solo ideologica come quella del binomio sinistra-destra, è evidenziato dal fatto che sia stato necessario introdurre un topos del tutto avulso dalla dicotomia sinistra destra di matrice politico-ideologica, e cioè quello del CENTRO, e questo nel tentativo di cercare una soluzione alle sconfitte storiche, sul piano mondiale, della sinistra  con il fallimento del comunismo dell’URSS e con la sconfitta della destra nella tragedia Hitleriana. Più modestamente, a livello della politica nazionale, non a caso nel dopoguerra la DC fu la consacrazione di questa opzione centrista, che reggendo fino alla caduta del muro di Berlino, coincidenza non casuale di un fenomeno di ricomposizione dei potentati mondiali, fu disarcionata a seguito di una campagna scandalistica Mani Pulite della cui vera natura e scaturigine non si é ancora fatto chiarezza. Da allora ci sono stati saltuariamente tentativi di riproporre un nuovo centro che vada a rappresentare quel bisogno di mediazione e moderazione che è rappresentativa della maggioranza dell’elettorato italiano come ai tempi della DC. 

Ecco, allora, che ogni forza politica cerca di coniugare questa esigenza di rappresentare il centro con le proprie idee fondative originali di destra e sinistra. Ecco, allora, che una certa sinistra cerca di rifarsi a tendenze liberali, e allora ecco il riformismo liberal-democratico che cerca di mettere insieme la necessità del progressismo con le esigenze di un elettorato medio – borghese, come nei più recenti esempi di ITALIA VIVA o AZIONE di Carlo Calenda.

 


 

A destra con Forza Italia, a parte la non mai partita rivoluzione liberale annunciata da Berlusconi agli esordi, tutto si è ridotto ad un centrismo che della DC riassumeva caratteri di conservatorismo e clientelismo ben attento a non scontentare lobbies private e pubbliche. La progressiva parabola discendente di Silvio Berlusconi ha visto il graduale abbandono dell’elettorato forzista verso i lidi di Fratelli d’Italia e la Lega. 

SI è trattato però di uno spostamento di elettorato a destra del centro non tanto motivato da consapevoli scelte ideologiche programmatiche, ma di un naturale ancoraggio del ceto moderato su posizioni chiaramente antisinistra. 

Che però ci sia resi conto che un isolamento a destra non fosse sufficiente per produrre una maggioranza stabile e più comprensiva di realtà che consentano di continuare il rapporto con ceti produttivi, che per loro natura non possono esimersi di confrontarsi con la UE, ha fatto capolino in alcune dichiarazioni di esponenti di spicco della Lega come Giorgetti e financo, anche se più sfumate, dello stesso Salvini che prospetta una “rivoluzione liberale”. 

Quello della presenza nella Lega, ma soprattutto della originale Lega Nord, di una componente liberale insieme all’altra di stampo populista, oggi preminente, è cosa ampiamente testimoniata dalla storia stessa della Lega Nord dalle sue origini. 

 


Salvini e Giorgietti

 

Partiamo proprio dalla intuizione di Umberto Bossi, che fu quella di scardinare la dicotomia, allora imperante sulla scena politica, di destra e sinistra. La novità della Lega Nord, fu quella proprio di eliminare la frattura dell’elettorato lombardo tra destra e sinistra, ricomponendolo sul piano identitario-etnico lombardo-Veneto, unendo mondo dell’impresa e mondo del lavoro caratterizzato da peculiare cultura di pragmatica laboriosità. 

Si trattò allora di recuperare il più tradizionale elettorato democristiano che non si riconosceva più nella “meridionalizzazione” della DC dei Moro e De Mita, di una DC che, con la svolta del centrosinistra, aveva abbracciato la politica centralista e statalista; nel contempo la Lega rappresentò una attrazione per quella parte di sinistra meno ideologizzata e più vicina al pragmatismo di stampo socialista riformista che non si vedeva rappresentata nel PSI e tanto meno nel PCI. Il successo della Lega fu il risultato della riuscita del recupero delle due ali di destra e della sinistra con la opportunità di formare un grosso raggruppamento non tanto di centro tra destra e sinistra, ma piuttosto di un partito “al di sopra” di destra e sinistra. Probabilmente però, come testimonia la storia di questo partito, la rinuncia, in parte consapevole in parte inconsapevole alla realizzazione del Federalismo secondo il modello propugnato da Gianfranco Miglio, ne ha frenato il suo sviluppo in senso liberale.

È giusto, però, a sto punto di vedere che cosa si voglia intendere per un partito di vocazione liberale. 

 


 

Su che cosa si debba intendere per liberalismo, hanno dibattuto per anni; filosofi, pubblicisti, politici ed economisti. Precursori del liberalismo si trovano, sia nell’imperativo categorico d’ordine morale a cui debba rifarsi sia la sfera del privato che quella pubblica, come rappresentato nel pensiero di Immanuel Kant, sia nel liberismo come dottrina della complessità dei poteri, in cui la divisione dei poteri non è conflittuale ma competitiva e cooperativa, così come nella concezione politica di Montesquieu, oppure ancora e più pregnatamente nel liberalismo come costituzionalismo da Tocqueville a Madison e a tutti gli altri elaboratori del federalismo americano, fino al più recente dibattito tra esponenti del liberalismo classico, quello del principio del “rule of law” e dei suoi epigoni come Von Hayek, e quelli del liberalismo costituzionale di Rawls o del liberalismo come razionale metodo di governo le cui regole è procedure devono essere sottoposte alla prova dei fatti come nella teoria della falsicabilità di Popper. 

 


 

Che il liberalismo non possa essere ristretto in una formazione politica ma piuttosto debba essere coniugato con una riforma di tipo costituzionale, perché i suoi veri connotati hanno a più a che vedere con architetture costituzionali piuttosto che ideologiche, è provato dal relativo fallimento dei partiti autodefinentesi liberali come per esempio per stare in Italia, come il PLI. 

Ci serva, invece, da riferimento in particolare la storia della costituzione Americana, che ai valori del liberalismo è strettamente legata, è la storia della costituzione americana è la storia del federalismo che non dovrebbe essere visto come un modello statico caratterizzato da una divisione dei poteri fissati fra livelli di governo ma anche come un processo di federalizzazione di una comunità, vale a dire un processo attraverso il quale differenti classi di una comunità, aderiscono ad una serie di ordinamenti al fine di formulare soluzioni e decisioni da adottare per problemi comuni. Ne consegue che il vero liberalismo possa trovare affermazione soltanto all’interno di un sistema federale proprio per la sua caratteristica di essere nello stesso tempo superiore e unificante di posizioni divergenti, con il federalismo si esce dall’astratta topografia nata con la rivoluzione francese di una suddivisione lineare tra destra e sinistra, senza con questo arrivare all‘inserimento di un centro politico formale che è risultato il fallimento di tutti i partiti centristi. 

Solo comuni garanzie che il patto federativo di pura ispirazione liberale può ispirare a pur diverse fasce sociali è in grado di superare diffidenze, in una concezione del liberalismo fondata sull’egual status dei cittadini, compatibile con differenze di posizione e di ricchezza, dove il principio della uguaglianza di opportunità, pur non Infrangendo la meritocrazia, non si presenta come ostacolo alla realizzazione di obiettivi e conquiste sociali. 

 

 GIORGIO CALABRIA 

 

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