Tutela dell’ambiente e qualità della vita

Tutela dell’ambiente e qualità della vita
Quello che, purtroppo, è assolutamente mancato quale supporto della crescita delle grandi città italiane specie durante gli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi anni dell’attuale, è stata, ed è tuttora, la cultura del rispetto ambientale

Tutela dell’ambiente e qualità della vita

Quello che, purtroppo, è assolutamente mancato quale supporto della crescita delle grandi città italiane specie durante gli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi anni dell’attuale, è stata, ed è tuttora, la cultura del rispetto ambientale

 

 

Una cultura del rispetto ambientale è tale se s’intende volta al rispetto dell’unicità di un contesto, della sua storia e della conseguente esigenza di armonizzare l’esistente con il nuovo.

Certo era difficile pensare di riuscire a mantenere seriamente e rigidamente tutelati tutti i centri storici al pari di quanto avvenuto, ad esempio, a Siena, a Perugia, a Viterbo.

Piccoli centri con piccoli problemi, risponderà qualcuno…

Ma l’approccio, l’impostazione, l’indirizzo doveva essere quello.

E non lo è stato.

Senza, il più delle volte, neanche tendere a privilegiare il funzionale, caso Parigi, ma solo ed esclusivamente l’immediato interesse di gruppi o di persone che investivano in edilizia con la stessa spregiudicatezza con la quale avrebbero operato nel commercio di organi umani, di armi, di cibi avariati da rivendere ai paesi del terzo mondo, nello sfruttamento parossistico delle foreste amazzoniche.

E, in parallelo, poco o nulla è stato fatto dalle cosiddette autorità preposte (si fa per dire…), affinché gli interventi di controllo pubblico fossero non episodici e disordinati ma segmenti di un progetto organico che avesse preventivamente valutato le conseguenze dell’insieme delle iniziative, evitando i disastri che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Sarebbe monotono e ripetitivo rielencare la sfilza di quartieri dormitorio edificati, spesso con operazioni sui piani regolatori al limite del banditesco, con assoluto disprezzo di ogni più elementare regola di insediamento civile e di cui la comunità ha, per di più, dovuto farsi carico degli oneri per la realizzazione di servizi e di infrastrutture.

 


Questo nel nuovo. Mentre nel vecchio o nell’ antico abbiamo assistito a sventramenti di pezzi di storia rapinati alle tipologie per le quali erano state edificati.

Troppo spesso ciò è avvenuto in contrasto con le norme che regolano la materia e che, nel tempo, sono state adeguate ai mutati parametri di sicurezza cui sono, comunque, stati assoggettati anche gli stabili di precedente e antica costruzione (uscite di emergenza, carico massimo per mq., impianti elettrici, ascensori, montacarichi, prevenzione incendi, etc.).

Va qui ricordato che la maggior parte dei palazzi nei centri storici italiani, quasi tutti costruiti anche diversi secoli fa, furono progettati per abitazione di famiglie nobili o di ricchi mercanti. Palazzi il cui più intenso utilizzo era collegato al “ricevere” in occasione di feste o concerti e che per modificarne la destinazione d’uso andavano richieste specifiche autorizzazioni e deroghe difficilmente concedibili per ovvi motivi non ultimi quelli della sicurezza e della tutela ambientale.

 


Quartiere dormitorio

 

Col passare del tempo, tali palazzi, anche quelli meno ricchi o importanti, sono stati sottoposti ad un progressivo assedio teso a trasformarli, prevalentemente, in uffici, studi professionali, negozi di lusso, snaturando da un lato le strutture originali degli edifici e da un altro compromettendo il contesto urbano complessivo di interi quartieri e di interi centri storici.

Infatti, se un palazzo in origine era “vissuto” da una trentina di persone, oggi, pur nel quasi mai rispettato limite massimo di persone per mq, è “frequentato” da non meno di un centinaio di persone oltre, ovviamente, dai clienti, dai visitatori, dagli addetti delle imprese di pulizia, etc.

Ciò ha comportato una serie di effetti che sintetizzati nella formula “impatto ambientale ad alto rischio”, hanno provocato, e continuano a provocare, danni gravissimi al patrimonio storico-edilizio ed alla collettività.

Il traffico è un’altra immediata e visibile conseguenza di questo fenomeno.

 


Un centro storico

 

Strade progettate per carrozze a cavalli… non a vapore hanno subito, e subiscono, l’assalto di quel centinaio di persone che, moltiplicato per il numero dei palazzi “snaturati”, si recano al lavoro non certo a piedi. Da qui le scene selvagge alle quali assistiamo di vie intasate all’ inverosimile, di auto in sosta sui marciapiedi e in terza fila, di vetture, bus e tram accodati e shakerati che devono anche servire un indotto a sua volta sempre più presente ed aggressivo: ristoranti, fast-food, bar, imprese di pulimento e di sorveglianza, banche, servi postali e di recapito ovvero di altri mille tipi che saturano ogni centimetro cubo disponibile e… indisponibile.

Parallelamente l’inquinamento da gas di scarico e acustico che, oltre ai danni al patrimonio architettonico (muri e facciate anneriti, marmi sgretolati etc.) penetrano nelle orecchie e nei polmoni sfondando tutti i limiti di tollerabilità espressi sia in decibel che in qualsiasi altra unità di rilevazione. Tutto questo, pur se tardivamente, viene oggi considerato anche dai più distratti, come l’ulteriore aggressione subita dall’ambiente e dalla qualità della vita dei cittadini e della loro salute

È finalmente caduta la falsa verità, smerciata ad arte da interessati imbonitori, che l’ambiente da tutelare era solo quello marino o montano, le campagne, i fiumi e basta così…

Tutela dell’ambiente è rispetto degli equilibri, sia nei deserti che nelle foreste amazzoniche, sia nei piccoli centri che nelle folli megalopoli città-stato.

 


Città ideale di Pier della Francesca

 

New York, Seoul, Pechino, Città del Messico, Londra condizionano, in negativo, il territorio cento volte più della loro espansione effettiva.

E, fatte le debite proporzioni, questo concetto vale anche per Roma, Milano, Napoli, Palermo e via elencando…

Credere che un ecosistema possa garantire condizioni di vita accettabili per l’umanità solo mettendo in vetrina, o in gabbia, un bosco, una riserva faunistica o marina è assolutamente ridicolo.

Paradossalmente, ma poi mica tanto, siamo convinti che almeno la metà degli interventi per tentare di limitare i danni già prodotti e non crearne di nuovi irrimediabili, debbano essere proprio indirizzati nei confronti delle grandi città per renderle se non ideali almeno non letali.

E a proposito di “Città Ideale” il pensiero non può che correre all’ omonimo quadro della fine XV secolo nel quale un pittore rimasto anonimo, ma che molti riconducono alla scuola di Piero della Francesca, aveva iniziato a tratteggiare un percorso che, poi, purtroppo, è stato interrotto da chi ha come solo “ideale” quello del proprio tornaconto e del proprio interesse.

E qui non possiamo non richiamare la grande piccola Greta e le associazioni ambientaliste che non invocano il ritorno ai trasporti con i galeoni, che accettano, realisticamente le petroliere ma che si inquietano se le cisterne vengono lavate in mare aperto.

Tutti noi, allora, dobbiamo impegnarci per contribuire a raddrizzare il piano pericolosamente inclinato che progressivamente porta allo sfacelo, figlio della più squallida speculazione esercitata anche grazie al silenzio o alla complicità di chi avrebbe dovuto controllare e intervenire o, peggio, di chi tenta di vanificare gli Accordi di Parigi per coprire interessi certamente di pochi e, quindi, non della collettività ovvero contro la stessa.

Tempo non ce ne è più molto.

Il Word Watch Institute valuta in 25/30 anni il periodo oltre il quale si arriverà al punto di non ritorno.

Intorno al 2050 non sarà più, infatti, possibile attuare alcun intervento valido essendo, a quella data, ormai irrimediabilmente compromesso l’intero sistema di equilibri che aveva retto per milioni di anni il nostro pianeta.

Il tempo è poco. È maledettamente poco, ma noi vogliamo anzi dobbiamo provarci.

ENRICO MATTEO PONTI  da FONDAZIONE NENNI  

 

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