Tra globalizzazione e sovranismo

TRA GLOBALIZZAZIONE E SOVRANISMO

 

TRA GLOBALIZZAZIONE E SOVRANISMO

 Due sono gli avvenimenti recenti, che in qualche modo si ricollegano con il fenomeno della globalizzazione; la pandemia Covid 19 e il Trumpismo. 

Il mondo occidentale si è svegliato con un incubo, dopo che si è accorto che uno dei motori della globalizzazione è cioè la esternalizzazione, soprattutto in Cina, di molte lavorazioni di ampi settori, come in particolare quella dei presidi sanitari (maschere respiratori), aveva prodotto una situazione di dipendenza e di incertezza. Vero è che questa non era che una delle tante conseguenze che la scelta della globalizzazione aveva offerto a investitori e produttori occidentali, e cioè quella di reperire in loco maestranze a basso costo di lavoro e di ampliare i consumi anche in quei mercati orientali.


 

Questa strategia, soprattutto delle multinazionali americane, ha finito però, di provocare una diminuzione della occupazione e relativa caduta del potere d’acquisto della classe medio e medio bassa americana e in genere di tutto il mondo occidentale. Il concomitante innesco di crisi del mondo della finanza ha finito per generare una violenta risposta popolare che, mentre in Europa, trovava, nei distretti più deboli come la Grecia e in genere dei paesi mediterranei, una crisi governativa combattuta tra la sottomissione ai diktat della UE e delle Organizzazioni sovranazionali (Banca Mondiale e Fondo Monetario) e le agitazioni di piazza, negli USA veniva incanalata nella risposta della opposizione repubblicana guidata da Donald Trump alla gestione democratica ritenuta complice di potentati finanziari e delle multinazionali. 

 


 

Proprio dalla politica di Trump si è assistito ad uno stop della fase globalista, stop concretizzato a seguito di una martellante guerra doganale verso la Cina, che oltre all’ aspetto commerciale, ne aveva uno ben più rilevante, quello di costituire una manovra di strategia militare e industriale, quella di impedire che la Cina si impossessasse di tecnologie, soprattutto in campo informatico e di telecomunicazioni come il 5G. Questo repentino cambio di rotta nella globalizzazione è stato presto accolto proprio da quelle forze che ne erano state il propulsore, e cioè le grandi banche di investimenti come HSBC o Bank of America, che solo in parte hanno rinunciato ad esternalizzare, evitando si la Cina per ovvi motivi di sicurezza nazionale, ma ripiegando su mercati limitrofi orientali ma di area politica americana come Taiwan e Corea del Sud. 

Questa premessa sul comportamento di quelle che sono additate, soprattutto dai Sovranisti, come le responsabili insieme alle Organizzazioni sovranazionali e alla UE, dei danni del globalismo, serve a far capire le vere origini e la vera consistenza delle forze che ne hanno dato origine, e questo è importante perché si possa trovarne il vero antidoto.

Andiamo dunque ad una breve storia del globalismo e delle sue caratteristiche. 

 


 

L’attuale scenario geopolitico mondiale è caratterizzato dagli eventi che si sono susseguiti al domani della caduta del muro di Berlino. Quella fu la fine di un equilibrio di scontro tra mondo occidentale e quello comunista, equilibrio che a sua volta si traduceva in un altro equilibrio all’interno degli stati occidentali. Quando nell’89 cadde il muro di Berlino, per i commentatori occidentali, la tentazione di lasciarsi andare al trionfalismo fu irresistibile, quello che era successo, dissero, segnava la fine della storia (F. Fukuyama). Si confuse quello che era stato l’esito di una strategia tecnico – militare (Scudo Spaziale di Reagan) con l’esaltazione di un primato di un principio economico, la supremazia del neoliberismo, la cui ricetta esportata in tutto il mondo era: deregulation, privatizzazioni, taglio delle tasse. Questa era la ricetta della Scuola di Chicago, che aveva avuto gli esordi nel Teacherismo e nel Reaganismo. Ricetta che si rivelò velenosa per gli Stati europei che per anni avevano potuto sopravvivere grazie a politiche di Welfare; mentre il successo della democrazia nel dopoguerra poggiava sull’equilibrio fra produzione e redistribuzione regolamentata dallo Stato, con l’avvento del neoliberismo e della globalizzazione questo equilibrio si è rotto, I capitali sono diventati mobili, la produzione si è trasferita oltre i confini nazionali sottraendo si alla redistribuzione pubblica.

 


 

La crescita veniva contrapposta alla redistribuzione, il circolo virtuoso veniva mutato in circolo vizioso. La crescente egemonia della Grande Finanza e del potere tecnico-scientifico collegato alle grandi multinazionali nei settori dell’energia, dell’informatica, dell’industria aero-spaziale, ha progressivamente condizionato governi e vita pubblica in tutti i continenti. Si è assistito, così, all’indebolimento degli Stati nazionali, privando le istituzioni di quest‘ultimi di vere e proprie capacità decisionali. Se, poi si tiene conto che negli anni 70, a seguito di due fatti tra loro collegati, e cioè la disdetta degli accordi di Bretton Wood, e la crisi energetica, si era dato inizio ad una serie di  burrasche monetarie, che costringeva gli stati europei, per resistere alla tirannia di dollaro e petrol-dollaro, a dotarsi di una moneta unica, l’euro con tutte le conseguenze positive e negative, si capisce come la marea del neoliberismo trovò impreparate le classi dirigenti politiche ed economiche degli Stati Europei.

Prima di vedere quali e come hanno reagito le classi politiche europee al globalismo, bisogna evidenziare quali che sono state le responsabilità degli USA relativamente alle capacità di reazione e assorbimento delle conseguenze del globalismo. Fino alla caduta del muro e quindi fino ai primi degli anni 90, la necessità di tenere stabili le nazioni europee in funzione antisovietica, ha fatto sì che gli ambienti politici e finanziari americani, avessero, per così dire la mano leggera, rispetto agli Stati europei, senza scatenare la deregulation neoliberista e le privatizzazioni, poi con un tempismo un po’ sospetto e in coincidenza con tutta l’iter istitutivo dell’euro, tutte le politiche degli Stati Europei furono improntate al neoliberismo, sia che fossero di centro destra che di cento sinistra, come vedremo specificatamente, cosa non irrilevante per giudicare poi, le attuali posizioni dei nostri partiti di centrodestra e centrosinistra. Partiamo dai due paesi emblematici del panorama europeo l’Inghilterra e la Germania.

 


 

Quanto all’Inghilterra, storica quinta colonna USA, a si da per scontato l’appoggio al neoliberismo e al globalismo da parte dei conservatori di centrodestra dalla Thatcher a Mayor, appare significativa, invece, la “svolta neoliberista” del laburista Blair. L’ambizione era quella di elaborare una nuova sintesi tra la Stato nazionale e il mercato mondiale cercando, ad esempio, di concretizzare questa ambizione attraverso due cambiamenti programmatici ;in primo luogo nella forma di una riconcettualizzazione dei concetti come comunità, nazione, cittadinanza in un mondo globalizzato, dall’altro nel tentativo di promuovere l’internalizzazione dello Stato nazionale e la, sua integrazione nei contesti dell’economia mondiale e nelle organizzazioni sovranazionali (FMI, Banca Mondiale), cercando di adattare la socialdemocrazia alla nuova situazione. Era la “terza via” tra globalizzazione neoliberista e il socialismo, tra privatizzazioni e mantenimento dello welfare. Purtroppo la crisi economica è finanziaria globale degli anni 2000, non poteva essere fronteggiata

 con successo da un solo governo nazionale. 

 


 

Stessa sorte subirono i governi Tedesco e italiano, al di là che fossero di centrodestra o centrosinistra; la Germania nella insolita versione mista centrodestra +centrosinistra (Grosse koalition),dove nella tradizione teutonica dell’ordoliberismo, si cercava il bilanciamento tra mercato e piena occupazione, in Italia, più in vista di un consenso solo elettorale, sia il centrosinistra (Prodi), che il centrodestra (Berlusconi più AN e Lega) ripetevano gli errori di Blair per il centrosinistra, e quelli dei governi liberisti nel centrodestra. 

Se poi si considera che agli errori degli Stati nazionali venivano assommata una politica economica non in sintonia con gli accadimenti mondiali come quella della UE, ma vincolata ad una ristretta visione rigorista che finiva per stressare del tutto le economie più esposte quali quelle dei paesi mediterranei (i famosi PIGS), si capisce come la risposta antiglobalizzazione e anti UE, prese le sembianze del populismo e sovranismo. 

 

 

Che la risposta sovranista è populista sia logicamente comprensibile, non ne consegue che sia stata quella giusta in funzione di un contrasto alla globalizzazione e al ripristino di equilibri socio-economici. Come abbiamo visto tutti i governi nazionali sia di centrodestra che di centrosinistra hanno fallito proprio perché a livello nazionale non è una questione di diverse formule politico-economiche ma del fatto che l’attacco globalista è un attacco al ruolo stesso dello Stato e per esso é del tutto indifferente se la resistenza venga fatta da un governo di destra che si opponga frontalmente o da un governo di centrosinistra che cerchi di attenuarne i colpi, i risultati sono stati altrettanto negativi per ogni tipo di governo, con una differenza  che i governi di centrodestra, accomunando la UE al globalismo, di fatto si privano della possibilità di riformare la UE come strumento di contrasto alla globalizzazione, mentre i governi di centrosinistra, per una oggettiva incapacità di gestire le dinamiche economiche – finanziarie, restano in una posizione di passività rispetto alle logiche UE. 

In Italia, specialmente, la confusione della azione antiglobalizzazione è più evidente. 

L’azione dell’ex centrodestra si è ridotta a ricalcare posizioni di estremo radicalismo di destra, tipica della tradizione statalista anti liberista, che dal MSI è trapassata in AN e poi, un po’ più edulcorata in Fratelli d’Italia oggi, in questo parzialmente spalleggiata dalla Lega, che in parte pare abbia momentaneamente abbandonata l’altra forte componente leghista che è quella federalista, che come tale ha radici profonde nel liberalismo.

 


 

Il richiamo alla soluzione federalista non è casuale, poiché è costituzionalmente garantita nel federalismo l’espressione delle libertà individuali, territoriali identitarie ed economiche che sono nell’abc del liberalismo. Quindi non nazionalismo in senso statalista, che se mai è il vecchio vizio di imperialismo e conseguente globalismo, ma libera federazione di popoli, territori, culture e tradizioni civiche, in una nuova Europa, dove lo Stato Federale non sia lì compromesso di vecchi statalismi nazionali, ma un vero governo unitario con vere priorità in ordine a difesa, unità bancaria e fiscale, banca centrale che batta moneta e nello stesso tempo la più ampia libertà economico e decisionale per le comunità europee pur mantenendo le forme storiche in cui si sono strutturate(Stati). Questo è il vero antidoto al globalismo, che è inutile nasconderlo, oggi ha due responsabili, per altro non in accordo ma in contrasto, ma ambedue deleteri per le economie e le libertà degli stati europei, e che sono chiaramente gli USA e la Cina. Che questo sia più che evidente è data dal fatto che, a breve si assisterà ad una nuova guerra monetaria tra Dollaro e Yuan, che complice la tecnologia della cyber coin finirà per rendere residuale l’economia basata sull’euro, pseudo moneta, figuriamoci poi se si dovesse dare ascolto da economisti da barzelletta che vorrebbero tornare alla lira. 

Concludendo, dando personalmente la preferenza per una risposta federalista che poggi sui valori del centro politico che si rifanno al liberalismo, auspico che anche dal centrosinistra si compiano quei passi necessari per contribuire anche da parte progressista alla costituzione di una nuova realtà europea.  

 GIORGIO CALABRIA 

 

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