SV-iluppo armonico

SV-iluppo armonico
 Molte persone non vogliono sentire la parola “decrescita”, ne ricavano un’impressione negativa. Neppure l’abbinamento con l’aggettivo “felice” riesce a rassicurarli

SV-iluppo armonico
  

Molte persone non vogliono sentire la parola “decrescita”, ne ricavano un’impressione negativa. Neppure l’abbinamento con l’aggettivo “felice” riesce a rassicurarli. 

Si evoca, al massimo, la felicità dell’ingenuo, del primitivo seminudo, del buon selvaggio. Si immaginano situazioni arcaiche, di ritorno alle candele e al carretto (quanto ossessivamente usata, come slogan negativo, questa espressione, dai denigratori tutt’altro che in buona fede!), al buon tempo antico dove però si moriva giovani, di malanni o di stenti.

Ribattere sulle malattie attuali di espansione, diciamo, moderna, come il tumore, sulla scarsa qualità della vita degli anziani o su altri concetti legati al paragone con altri tempi, significa infilarsi in un cul de sac, con scarse possibilità di uscire da una discussione che si avvita su se stessa.

 

Significa fare ancor più la figura dei nostalgici e dei passatisti che si oppongono in modo velleitario e ridicolo al progresso. Un po’ una riedizione dei luddisti che distruggevano i telai meccanici per salvare il lavoro degli operai.

 

Siccome non è affatto così, siccome è più semplice cambiare i nomi mantenendo idee e concetti, che difendere un termine da chi lo attacca spesso con un bel bagaglio di pregiudizi, proviamo ad aggirare l’ostacolo.

Diciamo innanzitutto che la decrescita riguarda soprattutto gli sprechi e il profitto.

Il concetto di ridurre gli sprechi penso sia chiaro a tutti, senza bisogno di ulteriori discorsi, e mi auguro e spero che sia percepito come un bene, una cosa saggia in sé.

Almeno una base comune, che una società fondata sullo spreco programmato non sia né sana né destinata ad avere lunga vita, dovremmo avercela.

Sul profitto le cose si complicano, perché entrano in ballo barriere ideologiche. Si evocano fantasmi di lotte di classe o neo trionfi liberisti.

Diciamo che neppure l’idea di profitto, di lucro, specie se svincolata da limiti e controlli precisi e legata al puro arbitrio ed egoismo, di singoli o gruppi o nazioni, può ritenersi sana e giustificabile comunque. Finisce inevitabilmente per distruggere la pace, l’equilibrio, la convivenza civile.

 

Ecco. Si vorrebbe semplicemente fondare una nuova idea di società, più legata alle persone, ai rapporti sociali, al benessere, all’equilibrio appunto, e all’ambiente che ci sostiene.

 

Ribadisco “semplicemente”, perché per molti, troppi, questo è concetto utopico, irraggiungibile, fuori tempo, punitivo, irrealizzabile, negativo in sostanza. I disillusi, i cinici, gli scettici ad oltranza fanno il gioco di chi ci vorrebbe sempre rassegnati all’infelicità programmata.

Fanno il gioco di chi ci sfrutta e ci umilia.

 

Esattamente il contrario della realtà. Guardandoci intorno siamo pieni, e per fortuna, dico io, di esempi positivi.

Persone normali e tranquille, ma con qualche valida idea, che messe nelle condizioni di realizzarla hanno operato con normali mezzi umani e hanno ottenuto qualcosa di buono per tutti.

Nella politica, nella scienza, nella cultura, nell’assistenza, nel sociale… Buona volontà, idee chiare, energia, coraggio e speranza fanno la differenza. Spesso conditi da un pizzico di anticonformismo e fantasia.

Dietro ogni risultato che migliora la nostra vita, piccolo o grande che sia, spesso c’è una somma di fattori tutt’altro che iperbolici, a partire dall’impegno di singoli e piccoli gruppi.

 

Allora, cercando altre vie per descrivere un possibile futuro di speranza, io lo chiamerei senz’altro sviluppo. Lo chiamerei progresso.

E’ ora di riappropriarci di questi termini, e dar loro il corretto significato. Tutto ciò che migliora la qualità della vita dei singoli e delle comunità, è uno sviluppo, è un progresso, è un andare avanti.

Tutto ciò che, al contrario, immiserisce le persone nel fisico, nell’animo, e distrugge il loro stesso ambiente, è arretratezza e regresso.

Lo chiamerei benessere. Il benessere non è avere tanti soldi o tanti beni inutili a disposizione, il benessere non è lavorare più del lecito e del giusto e del necessario, il benessere non è comprare per riempire un vuoto incolmabile.

Il benessere è buona salute, possibilità di godere del mondo intorno, natura compresa, possibilità di godere di buon cibo, di una casa salutare, di tempo libero a sufficienza per dedicarsi ai propri interessi.

Il benessere è qualità di vita affettiva, relazionale, sociale. E’ una comunità integrata e che funziona.

Ecco, a questo tipo di sviluppo, progresso, benessere, bisognerebbe tendere sempre e comunque. E’ alla nostra portata, è una speranza concreta da barattare volentieri con una montagna di cinismo d’accatto.

I cinici, che si sentono più furbi, dovrebbero fare un esame di coscienza, e chiedersi se li rende anche più tranquilli e felici il loro negare ogni valore.

Per far capire meglio cosa si intende io vorrei riferirmi alla musica. Gli strumenti, di per sé, non sono positivi o negativi. Dipende da chi li suona, se sa trarne melodie aggraziate o note stridenti. E dipende anche da come si combinano fra loro. E’ sempre questione di note, certo, ma nessuno affermerà mai che un branco di scimpanzè alle prese con un’orchestra sia uguale alla nona di Beethoven.

Un violino può trapassarti i timpani o straziarti l’anima di struggimento.

Anche nell’ambiente, sia naturale sia dove è stato modificato dall’uomo, è come se i nostri sensi nascosti identificassero una musica silenziosa. Oppure un rumore disturbante, dissonante.

In realtà non siamo così sensibili da percepire questa musica, se non nel profondo dell’animo. Non potremmo descrivere con parole umane quelle sensazioni che ci turbano. Non sapremmo neppure spiegare, a volte, perché tutto a un tratto passando in un luogo ci sentiamo più o meno allegri, sereni, o cupi, malinconici, depressi, irritati.

 

Abbiamo perso il contatto con l’ambiente naturale. Abbiamo smesso di decodificare. Siamo diventati sempre più estranei e innaturali. E sordi. Ma quel contatto non ha perso noi. E si manifesta.

Ecco perché, in quell’ambiente del vecchio porto, ad esempio, dove si percepiva un tempo una musica triste, dimessa, antiquata e polverosa, che un po’ ci impauriva e ci allontanava, d’un tratto con il primo intelligente recupero la sensazione è migliorata, un senso di appartenenza e di benessere ha raggiunto le persone che, sempre più a loro agio, hanno preso a frequentare quelle vie restaurate e quegli accoglienti locali.

Con il calare del cemento, del vetro, dei freddi padiglioni, la musica si è fatta dissonante, inquieta. L’incanto si è irrimediabilmente rotto.

A volte, l’equilibrio fra uomo e natura, in ambienti modificati, ci mette del tempo a perfezionarsi. Il tempo per un’arcata, per un muro, un profilo di casa, una strada, di assumere una connotazione consueta, naturale. Se non c’è cura, manutenzione, attenzione, ecco che quell’equilibrio consolidato si rompe, comincia la decadenza.

Purtroppo, chi non coglie la musica, chi non ha rispetto né per la natura né per il vissuto lo bolla come “degrado” e non vede l’ora di portarlo crudelmente alle estreme conseguenze per seppellirlo sotto colate informi che uccidono ogni traccia di musica.

Solo chi ha il senso dell’armonia può intuire come ricuperare il vissuto, nel riportare a nuovo l’ambiente. Trovando una melodia magari nuova e diversa rispetto a quel “disco” ambientale graffiato, ma rispettosa della musica.

E questo vale per qualsiasi aspetto del vivere odierno, dei paesaggi urbani, delle zone industriali. Io credo che noi abbiamo bisogno, un bisogno estremo di questa armonia per vivere, anche quando non ce ne rendiamo conto, e che la sua mancanza o il suo turbamento ci causino disagio. Disagio di cui spesso non sappiamo l’origine e che sfoghiamo in mille malesseri, inquietudini, comportamenti negativi. Anche quando lo neghiamo disperatamente. Siamo noi stessi, insieme con l’ambiente in cui ci muoviamo, parte della “musica”. Il nostro star bene, o il nostro bene operare, contribuisce alla melodia come una sorta di eco di note, che si integrano nel pentagramma. Il nostro star male si amplifica in onde tempestose e stridenti, riflesso dall’intorno.

Di questi tempi, dal Giappone arrivano note altissime di dissonanza e allarme. Cupi suoni di natura rinnegata e violata, di totale alienazione dal pianeta che ci ospita e dal nostro stesso equilibrio di specie. Li sapremo ascoltare?

Sarebbe bello che noi potessimo cogliere la musica nascosta, con orecchio ben esercitato, e rifuggire le dissonanze. Sarebbe bello poter vivere, finalmente, uno sviluppo armonico, per noi e per il pianeta che ci ospita. Cercare di recuperare il legame fra istinto naturale, emozione e ragione, e agire di conseguenza, sarebbe già un gran passo avanti.

  

Milena Debenedetti  candidata a Sindaco di Savona per il… movimento 5 stelle 

 

leggi gli altri articoli di Milena

La Stampa censura l’Unione Cittadini e Comitati di Savona!

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.