Superare i partiti per ritrovare la democrazia e ….

Superare i partiti

per ritrovare la democrazia

e non si parli di populismo

Superare i partiti per ritrovare la democrazia
e non si parli di populismo

Prendo spunto dall’editoriale di Sallusti all’indomani del voto americano perché dalla tastiera gli è scappata la parola cruciale “populismo”, come se fosse un qualunque pennivendolo di regime. Si sapeva che Berlusconi, in contrasto con la posizione ufficiale dell’area di centro destra, pur non potendo per motivi di bandiera e di sostanza parteggiare per un personaggio torbido come la Clinton, era restio a schierarsi dalla parte di Trump. E si sa anche che difficilmente Sallusti prende una posizione diversa da quella del fratello del suo editore. Devo anche aggiungere che, per come ce l’hanno raccontata, gli americani avrebbero votato turandosi comunque il naso.


Per quanto mi riguarda, con un miliardario aduso a passare da un party a un talk show, tutto risolto nella sua immagine e completamente immerso nello stesso mondo artificiale dei suoi avversari non ho alcuna empatia anche se mi guardo bene dal confondere ruolo pubblico e vita privata, aspetto fisico e statura intellettuale. Grandi personaggi dell’arte, della scienza, della politica spiati dal buco della serratura perdono parecchio del loro carisma ed è fin troppo facile rovesciare la prospettiva quando fa comodo screditarli. Detto questo, è evidente che gli americani  non hanno solo dato una gran tranvata all’establishment supponente, raffinato, progressista, illuminato ma hanno prima di tutto voluto riappropriarsi della loro democrazia, dei loro problemi, dei loro obiettivi dopo essere stati costretti per anni a trascurare se stessi in nome dei diritti di gay, transessuali, clandestini e a preoccuparsi per il riscaldamento globale, lo spostamento dei poli o l’andamento delle macchie solari. Il mutuo da pagare, le rate della macchina, la lavatrice che si guasta, il figlio che vorrebbe iscriversi all’università e non ci sono soldi, sono miserie di gentuccia, un fastidioso sottofondo che turba il pensare alto di chi abita ai piani alti dei grattacieli newyorkesi.


Bene, quel popolino, quella gentaccia, quelle persone qualunque hanno voluto dimostrare che la vita vera abita con loro, che sono loro i veri protagonisti della storia, sono loro il sale della terra. Quegli altri sono l’effimero, platinato, glamour, costantemente impegnato in riti di autocelebrazione, falso e vuoto epifenomeno di un potere fine a se stesso, scollato dalla società, abbrutito per la mancanza di valori e ideali autentici, capace di scatenare guerre per il tornaconto di poche famiglie o di assassinare uno della propria cerchia per influenzare l’opinione pubblica. Da un giornalista che pretende di interpretare gli umori e il sentire della destra italiana ci si poteva aspettare tutto fuorché un improvvido richiamo al “populismo” sulla scia di tutta la stampa che una volta si sarebbe chiamata borghese, quella europea e di casa nostra. Le parole sono pietre, anche quando, per contrappasso, il loro contenuto è aria fritta; sono pietre perché seppelliscono sotto il peso del ridicolo, dell’ipocrisia, della malafede. Populismo, infatti, non significa nulla; è una di quelle parole care alla politica nelle quali al valore connotativo, emotivo, allusivo non corrisponde alcun senso reale, alcuna denotazione. Chi si riferisce al populismo, con la variante “deriva populista”, semplicemente dimostra paura e disprezzo nei confronti della gente comune, di chi manda avanti tutta la baracca e col suo lavoro mantiene lautamente anche i direttori dei giornaloni, e non solo quelli di sinistra. Chi parla di populismo teme come la peste il voto popolare, fa di tutto per orientarlo, controllarlo, imbrigliarlo e quando non vi riesce sente nascere in sé un’irrefrenabile voglia di sopprimerlo. Se il venditore di pentole fiorentino esprime fastidio per la rete, il presidente emerito va oltre e maledice il suffragio universale. Forse pensa che, voto per voto, ci potrebbero bastare le primarie del Pd. Ma vengo al punto. Se le cancellerie europee, la commissione europea, il nostro governo, la sinistra tutta, che non si sono ancora ripresi dalla Brexit, evocano l’ondata, anzi, la minaccia, populista, lo possiamo considerare normale perché tutti costoro non rappresentano chi dovrebbero rappresentare, hanno in comune l’abbarbicamento a un potere che sta sfuggendo loro di mano; ma il fatto che lo stesso timore serpeggi anche fra quelli che dovrebbero osteggiarli è la dimostrazione che fanno tutti parte del medesimo sistema, che vogliono giocare in famiglia la loro partita, purché le populace, ohibò, rimanga fuori dell’uscio. Le prime avvisaglie c’erano state con Grillo, il cui movimento ha immesso sulla scena politica tanta miseria umana, improvvisazione, spaesamento, dabbenaggine, compagni infiltrati e qualche furbacchione ma ha il merito incontestabile di non essersi piegato a compromessi, di aver resistito alle sirene del regime e alle pressioni degli infiltrati.


I Cinque Stelle non hanno una linea, non hanno il coraggio di prendere una posizione sull’invasione dall’Africa, non riescono a mediare fra le loro diverse anime ma sono un corpo estraneo nella finta democrazia in cui gli stessi interpretano due, tre, quattro parti in commedia. Vengono chiamati, appunto, populisti, antisistema, ridotti ad espressione irrazionale di protesta, di frustrazione, a sfogo di sfigati, ma i loro elettori sono  il popolo vero che si sottrae alla seduzione del potere, alle lusinghe di una casta  al cui interno tutte le ideologie si dissolvono, i dissidi più aspri si ricompongono, ci si serve tutti dallo stesso sarto e si mangia al medesimo ristorante. Bene, Grillo era solo un’avvisaglia. I nostri editorialisti non se ne sono accorti, non se ne vogliono accorgere, ma la novità vera è che i partiti che ingabbiano la volontà popolare, in Italia come in America, hanno le ore contate. Trump ha cominciato a vincere proprio quando il partito repubblicano lo ha abbandonato, quando è stato chiaro che Bush era l’altra faccia di Obama, che la dialettica politica è solo una faccenda fra famiglie rivali pronte a scannarsi o a mettersi d’accordo secondo la convenienza del momento, che però non è mai quella della società civile; ha cominciato a vincere quando è stato chiaro che lui non era parte di quella dialettica ma la sua negazione, il suo superamento. La società civile può esprimersi liberamente se si libera dalla gabbia dei partiti e di quella truffa linguistica che sono le ideologie, i peggiori idòla fori del nostro tempo; bisogna che scompaia dalla mente e dal cuore della gente la ridicola contrapposizione destra-sinistra. Non credo che nel passato a destra ci fossero i benestanti cattivi e conservatori e a sinistra gli sfruttati buoni e progressisti, la storia è più complicata delle semplificazioni degli storici.


Ma almeno c’era gente che aveva delle idee e degli ideali, sbagliati, ingenui o utopici quanto si vuole ma degni di rispetto. Ora non più, non c’è la minima traccia di idee e di ideali, che sono pur sempre modi di intendere la realtà e orientare i comportamenti.  Ora c’è il mondo fumoso, verboso, arido dei politici per mestiere, sacerdoti senza più fede, una nuova borghesia che ha costruito il proprio benessere attraverso la scorciatoia del partito o del sindacato. E le persone che lavorano, negli uffici, nelle fabbriche, nelle botteghe, nelle scuole, negli ospedali, gli operai, i professionisti, i ricercatori non si lascino più abbindolare: loro sono fuori di quel sistema, sono il Paese reale, non hanno niente da spartire con la casta che vive alle loro spalle. I partiti si sono impadroniti della politica, si sono identificati con la politeia, si sono autoproclamati il frutto, lo strumento e l’espressione della democrazia. Niente di più falso. I partiti, e in Italia bisognerebbe dire “il” partito, sono organizzazioni che hanno soffocato la democrazia, ne hanno succhiato la linfa vitale, l’hanno ridotta a un simulacro. Restaurare la democrazia significa ripristinare circuiti di retroazione che la partitocrazia si è sistematicamente impegnata a demolire. Su questa strada si sono mossi gli elettori del movimento di Grillo, su questa strada si sono mossi gli americani; altro che populismo o movimento di protesta, questa è la strada attraverso la quale i cittadini riprendono possesso di sé, delle proprie istituzioni, del loro destino e della loro dignità di nazione. Lo sanno bene nella sedicente destra e nella sedicente sinistra e faranno di tutto per ritardare il momento in cui dovranno andare tutti a casa. Dopo le reazioni isteriche alla elezione di Trump l’Europa si dovrà rassegnare a ridimensionarsi se vorrà sopravvivere, e non è detto che debba sopravvivere; in Italia si proverà a usare l’arma spuntata dell’antifascismo, che però contro i Cinque Stelle non funziona, poi si andrà verso un pateracchio, al quale mi auguro che Lega, Fratelli d’Italia e quel poco di sano che resta in Forza Italia si sottraggano per unirsi in un movimento unitario antisistema, che sarà possibile quando i Cinque Stelle riusciranno a neutralizzare definitivamente gli infiltrati e si decideranno a fare causa comune sul dramma dell’invasione, dramma per gli italiani non dei clandestini. Non ho ricordato i partiti a sinistra del Pd o la sua minoranza interna perché non riesco a dimenticare che la presidente della Camera è una polpetta avvelenata lanciataci da quella parte. La posizione nei confronti dell’invasione è in effetti la cartina di tornasole: si è solidali col proprio popolo o non lo si è, se ne rappresentano gli interessi o si è al servizio di altri interessi. E da qui, non dall’interpretare, mediare, filtrare la voce del popolo ma dalla sua liberazione dal bavaglio del partito per farla risuonare con tutta la sua potenza discendono anche le politiche sul lavoro, sulla casa, sulla scuola, sul sistema bancario, sul fisco, sugli investimenti, sulla dislocazione delle attività manifatturiere, sulla salvaguardia dell’industria nazionale contro le aberrazioni della globalizzazione.

 Volersi liberare dei partiti, e prima di tutto del partito per antonomasia, rompere con la casta che si è impadronita delle istituzioni non è antipolitica. La stampa di regime fa coincidere partiti e casta con la politica ma la politica, la politeia, è un’altra cosa. Far coincidere la politica con la sconcezza che sono i partiti, e in primis il Pd, impegnati nei loro giochi di potere, del tutto avulsi dalla società civile, preoccupati solo dei loro privati interessi e intenti a trasformare in mangiatoie enti locali e aziende municipalizzate, è un’operazione stupida o interessata. La politica, quella vera, è ben altro: è l’arte di amministrare lo Stato,  di difendere e far prosperare la nazione. Ed è veramente difficile trovare nella storia degli altri come del nostro Paese  governanti completamente ciechi e sordi dinanzi alle necessità della nazione, tesi solo alla conservazione della loro posizione, incapaci di capire che il loro non è potere ma servizio, preoccupati solo di usare gli strumenti della democrazia a proprio vantaggio. Il Re Sole, quale che sia il giudizio che se ne dà, badava alla grandezza della Francia non della propria famiglia; lo stesso Stalin, che personalmente mi ripugna come tutto il comunismo, era innegabilmente un patriota; il nostro Crispi aveva impegnato l’Italia in una politica coloniale sicuramente sbagliata e mal preparata ma non l’aveva fatto per sé e per i suoi amici, l’aveva fatto per mettere l’Italia alla pari con le potenze europee. E devo dire con rammarico che Hollande come la Merkel fanno, o almeno sono convinti di fare, l’interesse dei loro Paesi, non dei loro partiti o delle loro famiglie. Con rammarico, perché questo al popolo italiano non è dato. L’informazione di regime ci fa passare per un tiranno o un mentecatto il capo del governo ungherese che fa  per l’Ungheria quello che la politica, se fosse veramente tale, dovrebbe fare in l’Italia: difendere i confini, respingere l’invasione, impiegare le risorse dello Stato per i cittadini e non per il malaffare dell’accoglienza. Ma, si sa, il venditore di pentole fiorentino guarda oltre la Nazione, lui è uno dei senza frontiere e, del resto, nessuno l’ha votato per rappresentare il popolo italiano e di conseguenza non è tenuto a rappresentarlo. Se la parte politica che ce lo ha regalato fosse diversa da lui potremmo nutrire qualche speranza ma non è così. Essa, infatti, è peggio di lui, perché il nostro è solo un imbonitore capace di vendere qualunque patacca ma non crede in nulla se non nel suo personale interesse e quando invoca principi è il primo a ridere di se stesso. Il guaio è che la banda che lo sostiene è un’accozzaglia di gente rigida e ottusa, che della politica, buona o cattiva che sia, non ha nemmeno il pragmatismo. Gente dura, irosa, convinta di difendere non la propria cadrega ma dei valori assoluti, delle verità eterne, come la solidarietà, i diritti universali, l’accoglienza, in nome dei quali guarda dall’alto in basso alle miserie di casa nostra e a quel discolo da rieducare che una volta era il popolo sovrano.

 Pier Franco Lisorini

Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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