Sulla protagonista dell’ “Accusa segreta” di Francesco Hayez

Il 15 gennaio scorso su questa rivista il prof. Sguerso come di consueto dedicava un articolo alla “Lettura di un’immagine”. Nella fattispecie, l’ “Accusa segreta” di Francesco Hayez.
Si tratta del secondo dipinto del “Trittico della Vendetta” del pittore veneziano.
Stimolato da questa descrizione così nitida ed efficace, ho tentato alcune considerazioni che, per essere in qualche misura confermate, esigevano di analizzare anche il primo e l’ultimo quadro del trittico, intitolati rispettivamente “Consiglio alla vendetta” e “Vendetta di una rivale”.
Dopo averlo fatto, ecco le ipotesi, relative al messaggio dell’opera più che alla sua descrizione, che mi pare di poter formulare.

La vicenda viene raccontata nei suoi momenti clou. Ciononostante, non sarebbe facile intenderne lo svolgersi se non la si recuperasse tramite un’apposita ricerca.
Quest’ultima ci porta all’ispiratore della vicenda medesima, ovvero al poeta Andrea Maffei e alle sue due opere in versi “Le veneziane” e “La vendetta”.
Si scoprirà che si racconta di come una nobildonna veneziana, Maria, tradita dall’amante, si lasci convincere da un’amica, Rachele, a denunciarlo con false accuse di natura politica al Tribunale dell’Inquisizione della Serenissima, imbucando una lettera anonima nelle famigerate fauci del leone di marmo, posto presso il Palazzo Ducale. Ciò affinchè il fedifrago paghi con la morte.
Ma è il caso di lasciare la parola ai versi del Maffei:

“Spunta il mattino, deserta è l’ora,
Nobili e plebe nel sonno ancora.
Sol due patrizie passan la via,
L’una è larvata, l’altra…Maria!
Maria dal piangere quasi affogata
La bruna maschera s’era levata.

MARIA: Dove mi traggi? parla, Rachele!
RACHELE: A vendicarti dell’infedele.
MARIA: A vendicarmi? non valgo tanto.
RACHELE: No, fin che vivi, misera, in pianto.
Pensa al leone! quel marmo aspetta
A bocca aperta la tua vendetta;
Poi che l’infame che te tradisce
Contro Vinegia congiure ordisce.
Qui stan le prove de’ suoi delitti:
L’accusa è questa: se tu la gitti
Giù per la gola di quel leone,
Essa al cospetto dei Tre lo pone.
MARIA: Ah taci, taci, chè questo nome
Mi fa sul capo rizzar le chiome!
RACHELE: La scure o il laccio sia la mercede
Di chi due volte tradì la fede.
MARIA: Via dal mio core sì vil pensiero!
Saria l’inganno del suo più nero.
RACHELE: Che? gli perdoni?
MARIA: Dai Tre potria
Sperar perdono, non da Maria.
RACHELE: Ma del tuo vano femineo sdegno

Colla sua vaga ride l’indegno.
MARIA: Ah!
RACHELE: La tua sola vendetta è questa.
MARIA: Ira mi sprona, pietà m’arresta.
RACHELE: Vuoi chi t’accese d’amor sì forte
D’un’altra in braccio?
MARIA: (Le strappa di mano l’accusa) No! della morte! (Fugge)

Guardando (ammirando, sarebbe il caso di dire, se si discorresse sulla tecnica pittorica sopraffina anziché sull’interpretazione concettuale) l’ “Accusa segreta”,
è pressoché naturale essere spinti a ricercare sia il retroterra  psicologico di questa immagine di donna visibilmente provata che sembra fuggire da se stessa, sia le motivazioni per le quali l’autore può aver pensato che proprio questa per i  quadri in questione fosse la maniera migliore di trasformarli da tre istantanee del momento-spannung, in una narrazione in cui il primo dipinto al secondo, ed il secondo al terzo, si passano il testimone affinché vi sia continuità narrativa e si riesca a tradurre (sia nel senso di veicolare che di rivelare) un dato messaggio.
Che l’autore si sia speso a fondo allo scopo, lo si può constatare da un suo bozzetto preparatorio a matita e carboncino in cui la bocca-buca del leone di marmo (la quale stranamente nella versione definitiva viene poco evidenziata, talché sulle prime quasi non la si individua) che serviva a recepire le missive anonime di chi voleva denunciare i presunti traditori della Repubblica Serenissima agli Inquisitori di Stato, viene disegnata sia nella parte alta che bassa della parete su cui è posta per provarne la resa migliore.
Evidentemente Hayez era indeciso tra una curvatura prevalentemente politica e una prevalentemente morale.
Se egli avesse scelto di far imbucare la lettera in alto, il messaggio sarebbe stato che Maria era sì una nobildonna, ma che comunque stava rivolgendosi a qualcuno, “I Tre”, di molto più potente (più in alto) di lei.
Per contro, scegliendo di farle imbucare la lettera in basso, viene focalizzato maggiormente l’aspetto morale del gesto, nel quale si sottolinea il cadere in basso di Maria nel fare quello che sta facendo.

Hayez alla fine sceglie questa seconda soluzione.
Lo possiamo capire ancora più chiaramente vedendo il quadro che nella fabula del trittico è il primo, ma che è stato dipinto per secondo.
Con tutta evidenza il pittore si è reso conto che per comprendere “Accusa segreta” c’era bisogno di inserirla in un più articolato contesto, sicché gli diventa inevitabile creare gli altri due col risultato di comporre infine questo che potremmo definire una sorta di straordinario retablo.Ma vediamo ciò che, appunto in un retablo, sarebbe il primo portello:”Consiglio alla vendetta”.
E’ Rachele che dispensa tale consiglio. E anche senza rifarci al titolo del portello finale, ovvero, come si è detto, “Vendetta di una rivale”, ci vuol poco a comprendere che Rachele con la sua postura obliqua, protesa, invadente, più che consigliare pressa Maria affinché si convinca (e per farlo meglio le poggia una mano sulla spalla) a prendere la lettera che lei, Rachele, s’è presa non richiesta l’onere di scrivere, e si rechi a Palazzo Ducale per lasciarla scivolare giù nella gola del leone.
Tutto ciò per vendicarsi in una sola mossa di due persone: colui che la ha rifiutata, e colei che le è stata preferita.Rachele è inequivocabile, con la bautta e con il lungo scialle nero che le copre la testa.
Maria è titubante, e il suo stato d’animo il pittore lo rende coprendole il capo con un velo nero e tuttavia trasparente, mostrandocela mentre tiene una bautta che non si sa se si è appena tolta o sta per indossare, e con una mano che, di nuovo, non si sa se respinge la mano dell’amica infingarda o la invita, toccandole il braccio, a cederle la lettera.
La maschera di Maria è rivolta verso Rachele, come per dire che, una volta testimoniato il falso, saranno entrambe colpevoli.
Ebbene, a dimostrazione che le vesti indossate non sono un elemento secondario per la lettura corretta del trittico, si può intanto far notare che Maria avrà ancora sul capo il velo nero trasparente nel secondo atto di questo dramma, ma lo avrà bianco nel terzo, quando, pentita, tenterà di trattenere l’uomo (il Doge? Uno del Consiglio dei Dieci? Un Giudice?) non a caso dall’abito rosso a richiamare il sangue, per convincerlo a restituirle la lettera.

Uomo che però la sta già leggendo e che con il suo atteggiamento risoluto lascia intendere che nonrinuncerà a farne uso.
Rachele intanto è ormai un unico viluppo nero, e non si distingue più dalla sua medesima ombra.
Ecco, fino a questo punto le metafore e i simboli sembrerebbero largamente condivisibili, compresa quelli, alquanto espliciti, del trasmetterci la tempesta interiore di Maria colta nell’atto di tenere con sole due dita la lettera della denuncia bugiarda che sta per imbucare, come per non sporcarsene, mentre guarda in terra in direzione opposta, arrossata in viso dalla vergogna e dalla stanchezza per i sentimenti contrastanti che le sconvolgono l’animo, nel tentativo assurdo e disperato di non riconoscere l’atto della sua mano come suo.
Più incerta invece, ma degna di essere esplorata, l’interpretazione che si può legare all’ampio decolleté unitamente al gesto che Maria fa di raccogliere in un pugno la veste all’altezza del pube. Forse molto banalmente per alzarla sul davanti e poter così allontanarsi più velocemente dal Palazzo del Console senza essere vista, o, forse più, come espressione di una ideale lotta per difendersi da  una sensualità e sessualità che, lei teme, seguirebbe l’istinto e non vorrebbe sentire ragioni. 
Lasciando scoperto quasi completamente il seno, in maniera ancora più pronunciata di quanto non lo fosse in “Consiglio alla vendetta” e al di là dei limiti pur generosi della moda del tempo, ci viene suggerito quello che forse è il sentimento più specifico provato da Maria, ossia la paradossale contraddittoria situazione di sentirsi sessualmente e sentimentalmente violata proprio dall’uomo che amava, e perciò violata doppiamente.
Come tutto in questo quadro, anche la mano sinistra di Maria, ovvero l’elemento del suo corpo più vicino a chi guarda, è ambivalente: è il comprimere la  sua sessualità di donna che nonostante tutto ancora ama, ed è la rappresentazione spontanea, istintiva, di non accettarsi come colei che ha concesso l’amore a chi non lo meritava, in una sorta di rancore verso la propria ingenuità e di veto a posteriori.
I segni rossi sul dorso della mano simili ad escoriazioni o a graffi, non hanno una causalità reale, e perciò sono la metafora, tanto più potente quanto più ingiustificata, che il pittore crea per coinvolgerci in questa idea di una donna che sente ancora addosso (e il viso anch’esso arrossato e sofferente lo conferma) i segni della violenza, quasi le fosse appena stata usata.

Ecco, l’obiezione che potrebbe essere sollevata è che anche in “Consiglio alla vendetta” Maria avrebbe dovuto apparire con le stesse ferite, tal quale in “Accusa segreta”, e con il viso altrettanto arrossato e sfatto, e almeno altrettanto discinta, essendo il tradimento del suo amante più recente.Ma vi è una spiegazione: la fabula, vale a dire lo svolgersi della storia della delazione, non corrisponde all’ordine cronologico con cui è stata artisticamente rappresentata. Anzi, con tutta probabilità Hayez nel 1848 neanche sospettava di dover dipingere, tre anni dopo “Accusa segreta” (nella quale pertanto, è importante sottolinearlo, credeva di poter condensare ogni messaggio), anche “Consiglio alla vendetta”, e quindi l’onta subìta da Maria e il suo sentimento di essere stata violata,

erano già stati rappresentati e non potevano essere pedissequamente replicati.
Ovviamente, quelle espresse sono considerazioni in larga parte soggettive, e come tali opinabili.
Ma  poteva essere utile esprimerle, nonostante una certa inevitabile aleatorietà.

Per la cronaca e con certezza, invece, sappiamo che “Consiglio alla vendetta” si trova al “Liechtenstein Museum” di Vienna, che “Accusa segreta” si trova ai “Musei Civici” di Pavia, mentre non si ha notizia di dove sia ospitato “La vendetta di una rivale”, di cui abbiamo solo una riproduzione al Museo di Villa Carlotta, sul Lago di Como.
L’originale potrebbe anche essere andato perduto per sempre.

FULVIO BALDOINO

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One thought on “Sulla protagonista dell’ “Accusa segreta” di Francesco Hayez”

  1. Caro amico e collega, anzitutto i miei sentiti e sinceri complimenti per la tua lettura del “Trittico della vendetta” di Francesco Hayez, molto più approfondita e completa della mia. limitata quasi soltanto agli aspetti formali. Tu, come è tuo costume, sei andato in profondità e hai fatto emergere i pensieri reconditi della angosciata protagonista, tormentata dal dubbio e dai suoi sentimenti contraddittori ai quali il grande pittore veneziano allude con il gioco delle luci e delle ombre sul bel volto di Maria e sul suo petto scoperto e ferito dal tradimento dell’amante, offerto al nostro sguardo quasi fosse la vittima sacrificale che non ha più nulla da perdere, se non appunto, il suo stesso corpo. Molto acuta la tua interpretazione “psicoanalitica” della postura del suo braccio e della mano sinistra, da me del tutto trascurata.

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