Sul transito di Mario Perniola

SUL TRANSITO DI MARIO PERNIOLA

SUL TRANSITO DI MARIO PERNIOLA

 Forse, dopo tanti transiti – dal reale al virtuale, dal concettuale al sensibile, dall’avanguardia alla post-avanguardia, dal ribellismo sessantottesco a una prestigiosa carriera accademica, dalla comunicazione all’incomunicabilità, dalle cose  visibili a quelle invisibili, dall’organico all’inorganico, dal gusto al disgusto, dalla sessualità tradizionale a quella artificiale, dal bello al brutto e viceversa, o, come in un suo titolo “dallo stesso allo stesso” –  l’ultimo suo transito o passaggio da un incerto ed effimero aldiqua a un ignoto e infinito aldilà non l’avrà colto di sorpresa, la notte di martedì scorso, 9 gennaio  1918; tanto più che, in quanto filosofo, sapeva come prepararsi a morire vivendo.


Mario Perniola

Mario Perniola era nato ad Asti, il 20 maggio del 1941 e si era formato all’Università di Torino alla scuola di  Luigi Pareyson  (che ebbe tra i suoi allievi Gianni Vattimo, Umberto Eco e Sergio Givone);  è stato docente ordinario di estetica prima all’Università di Salerno e poi all’Università di Roma “Tor Vergata”. Non è il caso di fare qui l’elenco completo dei suoi scritti dal primo studio  sul metaromanzo all’ultimo sull’estetica italiana contemporanea, la bibliografia di e su Mario Perniola è facilmente reperibile in Rete; cito qui solo alcuni titoli per dare l’idea della vastità, complessità e originalità dei suoi campi di interesse e di indagine: Transiti. Come si va dallo stesso allo stesso (1985); Enigmi. Il momento egizio nella società e nell’arte (1990); Del sentire (1991); Il sex appeal dell’inorganico (1994); Disgusti. Le nuove tendenze estetiche (1999); L’arte e la sua ombra (2000); Del sentire cattolico. La forma culturale di una religione universale (2001); Contro la comunicazione (2004); Berlusconi o il 68 realizzato (2011); L’arte espansa (2015); Del terrorismo come una delle belle arti (2016)…Inutile dire che ognuno di questi libri ha provocato consensi ma anche dissensi, quando non netti rifiuti e stroncature da parte di chi considera troppo elitarie e paradossali o, al contrario, troppo populiste le tesi in essi contenute.


Mario Perniola

 Prendiamo  la tesi sul Sessantotto finalmente realizzato da Berlusconi che sembra a prima vista una eresia, se ci pensiamo bene tanti obiettivi del Sessantotto coincidono con quelli realizzati – in parte – nel ventennio berlusconiano: la fine della famiglia tradizionale, la distruzione dell’università, la deregolamentazione della sessualità, l’ostilità nei confronti della magistratura, il vitalismo giovanilistico, il trionfo della comunicazione massmediatica e l’oblio della storia (Quando penso – sia detto per inciso – che tutto questo non ha fatto altro che preparare l’avvento di un nuovo probabile ventennio berlusconiano con il suo corteo di fiamme tricolori e di fasci littori sdoganati,  propiziato dal fallimento del renzismo e dalle divisioni nel campo di quello che viene ancora definito, in mancanza di altri termini più appropriati  “centrosinistra”, non so se ridere o piangere).


Guy Debord

Vero; ma io non addosserei tutta la responsabilità di questa “realizzazione” involontaria degli obiettivi del Sessantotto al solo Berlusconi, se ci troviamo in questa situazione in cui i vecchi valori se ne sono andati insieme ai vecchi dei, è perché nuovi valori e nuovi dei (o idoli) hanno preso il loro posto: oggi la volontà di potenza si realizza per mezzo della tecnica e la società dello spettacolo di cui parlava l’altro maestro di Mario Perniola, cioè Guy Debord, ha finito per inglobare la società reale, tanto che i simulacri riprodotti in serie dall’industria culturale sembrano più veri dei singoli originali, effimere parvenze destinate a dissolversi nel nulla. In questo i situazionisti avevano visto in anticipo, fin dal 1956, la deriva massmediatica, consumistica  e tecnologica (pensiamo soltanto alla nostra dipendenza dal computer e dal telefonino cellulare) che caratterizza la società in cui viviamo. Un’altra pietra dello scandalo lanciata da Perniola nel cosiddetto “mondo dell’arte” è la sua idea di “arte espansa”, secondo la quale sono ormai superati i confini tra arte e non arte, e chiunque può “creare” e definire “arte” quello che gli pare e piace: “La bolla speculativa di quel ‘mondo dell’arte’, iniziato alla fine degli anni Cinquanta del Novecento e caratterizzato dalla solennizzazione culturale delle avanguardie storiche, il cui nume tutelare fu Marcel Duchamp, è finalmente scoppiata.


Marcel Duchamp

 Essa aveva creato un microambiente culturale che ha cercato per cinque decenni di rinnovarsi continuamente, ricorrendo a tutta una serie di mode più o meno effimere che si presentavano sotto nomi provocatori e preoccupandosi soltanto di mantenere sotto il controllo di pochi galleristi, collezionisti e mediatori rapaci, con la complicità delle istituzioni pubbliche, il diritto alla legittimazione e alla consacrazione di prodotti che solo nominalmente potevano essere definite ‘opere d’arte’, ma erano in realtà feticci artistici”. Cioè oggetti che godono di una ammirazione irrazionale, fanatica e ingiustificata, imposti dal mercato mondiale dell’arte e dai media che li diffondono. Ma chi è che decide che cosa è arte e che cosa non lo è? Perniola risponde a questa domanda fondamentale introducendo  un nuovo concetto e  quindi un nuovo termine, quello di artistizzazione: “Se uno degli aspetti specifici del pensiero filosofico è il pensare il proprio oggetto nei suoi esiti estremi, bisogna introdurre un’altra nozione più radicale nelle sue premesse e nei suoi metodi: l’artistizzazione. Nulla è di per se stesso arte. Esso lo diventa attraverso molti fattori: la maniera in cui l’autore pensa la propria attività, il lavoro di mediazione ermeneutica cui è sottoposto, la ricezione del pubblico e della critica, la manipolazione cui i mass media lo assoggettano, la conservazione di ciò che è stato fatto. Ne deriva che l’arte è tutto questo insieme di azioni e reazioni, teorie e iniziative, oggetti e racconti, documenti e materiali del più vario genere”. Anche virtuali. L’arte non ha più confini. Come non ha confini il perenne divenire di ogni ente rispetto a se stesso: la nostra vita è un continuo transitare da un luogo all’altro, da un tempo passato a un tempo futuro attraverso un  inafferrabile tempo presente. 

FULVIO SGUERSO 

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