Su speranza e impegno bravo Fusaro, ma…

Ho ascoltato la registrazione di una lezione di Diego Fusaro sul tema della speranza. I questi anni il ragazzo è cresciuto e devo dire che è uno dei pochissimi fra quanti a vario titolo si occupano di filosofia che meriti il titolo di filosofo. Per lo più, infatti, ci si imbatte in professori di filosofia, che solo a dirlo è un’aberrazione perché la filosofia non si insegna e chi per mestiere deve far finta di farlo dovrebbe avere il pudore di avvertirne il paradosso  e adoperarsi per seminare dubbi e suscitare domande piuttosto che illustrare “sistemi”. Che poi un professore di filosofia si spacci per filosofo è qualcosa di truffaldino. Fusaro no, al di là del vezzo, che però sta perdendo, di indugiare su un lessico desueto; dismesso l’armamentario vetero marxista, fa valere la sua brillante intelligenza  e mostra di aver metabolizzato le sue letture, come si conviene ad una persona colta e non semplicemente erudita. Ed è animato da un’autentica voglia di capire e di comunicare, cioè di mettere in comune la sua curiosità e i suoi dubbi. In più, ma questa è una faccenda mia personale, per la chiarezza e la felice corrispondenza fra parola e pensiero, mi ricorda un vecchio compagno di studi che ho già avuto modo di ricordare su questi Trucioli, perso di vista e ritrovato per caso in un necrologio. Al quale però si schiusero subito, devo dire meritamente, le porte dell’accademia, rimaste sbarrate per Fusaro, forse perché da uomo libero non si lascia etichettare  e dopo il covid  e la questione ucraina, che hanno messo in riga tutti gli “intellettuali”, non solo è sparito dai salotti televisivi ma è stato letteralmente scotomizzato.

Un tema delicato e complesso quello della speranza, cifra dell’esistenza umana. Ex-sisto è il venir fuori, l’uscire del sé,  il mostrarsi: l’esistenza implica un dinamismo interno, non è un “esser-gettato” ma un “gettarsi nel mondo”, una proiezione che è puro fatto biologico e atteggiamento psichico. La coscienza di questa proiezione  è a sua volta apertura verso il futuro  che prende forma nell’azione, nel fare, che è sempre realizzare, passaggio all’atto. L’azione, il gesto, traggono significato dal loro essere nel futuro, nel non-ancora, nel superamento del consistere: nel camminare il passo è sospeso oltre, nello sbilanciamento verso il passo successivo così come la parola trova di volta in volta il  senso nel succedersi dei suoni e il discorso è acquisizione progressiva di senso   che chi ascolta continuamente anticipa nella corrente dei segni o dei suoni. Insomma l’essere-protesi inerisce l’essenza dell’esistere e implica la fiducia che ci sia un sostegno per il passo successivo.

 Se poi l’anticipazione del futuro si presenta come riscatto del presente, come superamento, come visione di una condizione migliore, questo è la speranza.  La miseria del presente pone l’esistente di fronte all’alternativa fra rassegnazione, resa, rinuncia e resistenza, opposizione, lotta in vista di un futuro migliore: disperazione e, appunto, speranza. Diego ne identifica la natura bifronte: da un lato l’attesa, portato della cultura cristiana, per la quale il futuro, la redenzione, la vita eterna illuminano il presente e lo rendono sopportabile, ed è un futuro che non dipende dall’esistente ma implica un trascendimento che è negazione di sé, naufragio di chi non sa nuotare e può solo sperare di essere salvato da una forza aliena; dall’altro l’anticipazione partecipata, il futuro come possibilità e responsabilità, la speranza che diventa impegno, motivazione, traguardo, forse anche utopia o sogno ma utopia che entra nel reale, sogno che non è fuga dalla realtà  ma strumento per modificarla.
Ha perfettamente ragione Fusaro quando rifiuta il meccanicismo (e io aggiungerei il materialismo) in nome di una visione se non teleologica quantomeno umana della realtà, dell’esistenza e del comportamento delle persone, una visione ispirata alle categorie della responsabilità, del libero arbitrio e della scelta. La vita è un continuo realizzarsi e realizzare, cioè rendere reale, passaggio dalla potenza all’atto non come processo metafisico ma come risultato dell’impegno di singoli individui e della collettività.    “Suae quisque fortunae faber”, dicevano gli antichi, che pure sapevano bene quanto gli eventi esterni ci piombino addosso, quanto si sia vittime del nostro stesso organismo, quanto la nostra stessa mente sia passibile di offuscamenti. Perché il punto non è se absolute si sia veramente liberi  o schiavi di forze esterne e delle nostre stesse passioni: il punto è se soggettivamente si vive la propria esistenza come se fosse regolata e indirizzata da noi o come adattamento ad eventi che sfuggono al nostro controllo.

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La chiave sta in quel “come se”, anche perché di come stiano le cose in assoluto o in abstracto a ben vedere non ha alcun rilievo. Può darsi che la vita non abbia alcun senso ma per vivere bisogna credere che un senso ce l’abbia: vivere implica la capacità di dare un senso alle cose e avvertirne l’importanza. Da qui la speranza, ma potrei dire un ottimismo fondamentale anche nelle peggiori avversità. Tutto questo però non si svolge, come Fusaro sembra credere, in uno spazio euclideo, lungo una linea che annulla il passato e risolve il presente nel futuro. Se è vero che l’essenza dell’uomo e del suo esistere sta nel suo progettarsi, nel suo vivere il presente sulla scorta  di una visione e che una strada altrimenti buia è illuminata con la luce della speranza è anche vero che per non perdersi l’esistente-viandante deve rimanere legato al passato del quale il suo presente è frutto; ed è anche vero che la proiezione verso il futuro è una riscoperta del passato, il sogno perduto, il ciò che poteva essere o che è stato e non ce ne siamo accorti. Invertendo la prospettiva e rinunciando alla linearità di un tempo che si prolunga senza una meta – e che quindi non ha senso – si scopre la circolarità di un processo di scavo, di continuo ritorno – non certo la baggianata nicciana dell’”eterno ritorno dell’identico” buona come trama  di un brutto film di fantascienza -,  di revisione che soggettivamente si presenta anche come rimpianto, nostalgia o pentimento ma soprattutto come chiarificazione e scoperta o riscoperta. Il progresso della conoscenza non è un andare avanti indeterminato ma un ritornare, rivedere, approfondire o disfare il già fatto, un processo comunque circolare come circolare è il percorso delle lancette dell’orologio. E vengo alla questione cruciale, che mette in gioco l’occidente e il suo destino: l’idea di progresso, il concetto stesso di civiltà. In una prospettiva lineare del tempo la civiltà classica  appare immobile, addirittura stagnante,  irresistibilmente attratta verso il passato, metro per giudicare il presente e stella polare per il futuro. Da qui il richiamo al mos maiorum e la presenza incombente – e persino ingombrante – di modelli: la frugalità di Cincinnato, il rigore morale di Catone, la fermezza di Muzio, la forza d’animo di Cornelia. Potrei aggiungere che il divino nell’antica Roma non è altrove ma nelle distese marine, nei boschi, nei fiumi, nei campi e che i morti continuano a vivere nel ricordo dei vivi, ne proteggono la casa, che rimane la loro casa. Sicuramente l’uomo romano non tende all’evasione e teme il cambiamento; la sua sicurezza è nelle proprie radici, nella sacralità del passato. Questo non significa rassegnazione, accettazione, immobilismo, tantomeno assenza della speranza, che anzi assurge a divinità. L’errore di Fusaro è quello di credere che la speranza debba risolversi nella visione di un mondo migliore e inesplorato, dove “migliore” è un costrutto ideale, un mondo nuovo, una condizione altra che non si lascia definire se non per metafore. Ma se i valori ideali sono già dati e storicamente realizzati, se la felicità non è utopia ma una condizione idealmente acquisita e proprio per questo perseguibile, in rebus adversis per dirla con gli antichi,  quando le cose vanno male, la speranza non è attesa di un mondo migliore ma fiducia nel superamento di quelle avversità, nel superamento di momenti critici di squilibrio e disorientamento – come sono i tempi che oggi viviamo – col ripristino della stabilità, il ritorno in rebus secundis, con la restaurazione insomma,  che è restauro, ristoro risanamento. Questa concezione sostanzialmente ottimistica della realtà e della vita, che nasce dall’accordo fra spirito e materia, dall’identificazione con la natura, da una fondamentale accettazione della condizione umana, si rompe drammaticamente con l’avvento del cristianesimo. Una lacerazione di cui Fusaro non sembra cogliere gli effetti sconvolgenti sulla civiltà, sul rapporto dell’uomo con se stesso, sul senso del divino, sull’importanza del fare e del progettare e, di conseguenza, sul senso della speranza. Che non è più  rivolta verso il mondo né si traduce più  nell’attesa fiduciosa che la tempesta passi ma è figlia della paura, di un tormento interiore, di un ribrezzo di fondo per tutto ciò che di umano, colpevolmente umano e carnale, che è in noi. Speranza nella salvezza, proiezione verso un’altra vita, tanto più anelata quanto meno percepita, spinta fino allo stordimento nella preghiera ossessiva e martellante, al martirio, alla mortificazione della carne, speranza che fa tutt’uno con la fede. Che altro non è se non il buio della ragione, dello spirito critico, del coraggio e dell’ironia. Non a caso se il concetto e la parola stessa  speranza – spes – affondano le loro radici nel modo classico quello di fede è del tutto estraneo a quel mondo, origina da uno stravolgimento semantico perché  nel lessico latino “fides” è semplicemente – si fa per dire – la fedeltà.

Fusaro, sbilanciato verso un sacrosanto progetto di trasformazione del presente e consapevole che questa non può avvenire senza una mobilitazione collettiva, perde di vista l’essenza della soggettività e la connotazione nazionale del collettivo. L’identità personale è affidata alla memoria, è funzione diretta del passato: il percorso verso casa, la rete delle relazioni sociali, le consuetudini sono un lascito che continuamente si aggiorna, senza il quale  c’è il vuoto.  Il cristianesimo ha tentato di annullare il passato ma se la civiltà europea è sopravvissuta si deve al fatto che quel tentativo è riuscito solo in parte. Se avesse centrato il suo obbiettivo insieme al passato sarebbero scomparsi anche il futuro e la speranza perché spezzare i filo della tradizione è un’operazione di lobotomia culturale. Ma se è vero che, intenzionalmente o no, il cristianesimo con tutta la sua furia iconoclastica e con tutto il suo odio verso il mondo per affermarsi ha dovuto far proprio quel lascito è anche vero che la laicizzazione che si è imposta con l’abbattimento del potere della Chiesa e col risveglio della ragione dal suo lungo sonno ha trasferito nel mondo i miti che la teologia aveva impiantato nell’oltre mondo: la verità come valore assoluto, il dualismo buono-cattivo, il Bene da una parte, il Male dall’altra. Alla religione si è sostituita l’ideologia, all’ascesa verso la salvezza il progresso, sociale, economico, tecnologico o scientifico che sia e, nonostante l’enfasi sul concetto di persona, si è affermata una malcelata diffidenza verso l’individuo in nome dell’ecclesia, della comunità, del gregge.  Avrei voluto sentire da Fusaro semplicemente questo: la nazione, la Patria, la speranza di lasciarsi alle spalle l’orribile congiuntura politica, culturale, economica e sociale che stiamo attraversando sono solo astrazioni e velleità se non connotano le coscienze individuali. E la mobilitazione collettiva che può realizzare quella speranza non è un evento fisico, una rivolta di piazza, un susseguirsi di azioni eversive ma un fatto culturale, diciamo pure spirituale.

Calenda, Salvini, Letta, Meloni, Schlein, Draghi e Renzi

Quello che ci può salvare è il ritorno alla politica autentica, al primato degli individui e alla liberazione delle coscienze individuali. I partiti hanno distrutto la politica come i sindacati hanno fatto strame della giustizia sociale e della dignità del lavoro; gli uni e gli altri hanno fondato la loro ragion d’essere sulla riduzione delle persone a numeri, sulla creazione di attori che concentrano su di sé l’individualità rubata agli individui reali, annullati dentro una massa informe.  E sulla scena una galleria di povere anime, di personaggi mediocri, risultato di una terribile involuzione della democrazia che ha partorito una grottesca classe politica, un coacervo di miseria umana che ci sta portando sull’orlo di un baratro dopo averci impoverito  e ingannato. Meloni, Salvini, Landini, Schlein, Calenda e sullo sfondo  Renzi, Letta, Draghi, e tanti altri ectoplasmi che solo a enumerarli avverto un senso di rabbia e di frustrazione se penso  che il destino e la speranza di tutti noi, come singoli e come nazione, sono nelle mani loro e di loro compari. Sbarchi di clandestini che pesano come un macigno sui nostri stipendi, sulle nostre pensioni, sui nostri risparmi, sulla nostra sicurezza, spese militari fuori controllo non per la difesa della Patria ma per accreditare la Meloni, FdI, il Pd alla corte dell’impero yankee, avallo ad una sentenza delirante della Corte dell’Aia, che in una botta sola ha perso ogni credibilità, rischio di una catastrofe nucleare, tutto col pretesto – buono per gli allocchi – di una miserabile questione di confini ai margini dell’Europa che non ci riguardava minimamente, checché ne dicano Draghi, i compagni  o la banda che dopo di lui  si è insediata al governo del Paese. E allora vorrei dire a Fusaro: il nostro problema, la nostra responsabilità, la nostra speranza non riguardano un ideale futuro migliore ma il restauro di una dignità, di un decoro, di una ragionevolezza finiti nelle mani di quelle povere anime, di quei personaggi mediocri e perduti  nel fondo di una politica di risulta fatta di ambizioni  smodate, bulimia di denaro e di privilegi, scarsa intelligenza e indifferenza per il bene comune.

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One thought on “Su speranza e impegno bravo Fusaro, ma…”

  1. Seguo da sempre Fusaro, lo apprezzo molto per le sue posizioni anche se qualche volta va un po fuori dalle righe. Mi fa piacere sia apprezzato anche da lei e ha ragione quando scrive che è maturato molto. Interessantissimo questo suo articolo come del resto tutti gli altri , in questo ci sono molti concetti importanti.

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