Strategia e tattica nel gioco della politica

Strategia e tattica nel gioco della politica

Strategia e tattica nel gioco della politica

 Alla vigilia del voto sardo i media italiani avevano deciso che ci sarebbe stato un testa a testa fra centrodestra e centrosinistra, che Forza Italia e Pd ne sarebbero usciti corroborati e che i Cinquestelle avrebbero confermato la loro parabola discendente. Per avallare questa tesi e attutire il colpo della disfatta della sinistra hanno manipolato gli exit poll e cercato di evitare fino all’ultimo il dato clamoroso della schiacciante vittoria di Solinas, tanto che tutti i giornali di regime, in una consultazione elettorale in cui si doveva eleggere il nuovo governatore, titolavano sul disastro Cinquestelle che per quella carica erano semplicemente degli outsider. Ma ormai la spudoratezza della disinformazia nostrana non ci sorprende più. 

Detto questo, che il movimento fondato da Grillo sia in crisi di consenso è un’ovvietà ma la causa va cercata in tutt’altra direzione rispetto alle analisi interessate di berluscones, compagni e travagli vari.


Il Movimento, come la Lega riveduta e corretta, doveva colmare un vuoto, quello lasciato dalla destra e della sinistra tradizionali. Entrambe avevano tradito la loro originaria ragion d’essere: l’interpretazione del disagio del proletariato e delle classi intermedie e insieme l’aspirazione ad una identità nazionale, mi verrebbe da dire “fratellanza” nazionale, basata sulla fiducia nelle istituzioni, nella giustizia, nella pubblica amministrazione.  Entrambe dopo avere per decenni ingannato i loro elettori avevano finito per gettare la maschera e mostrare la loro vera natura borghese, unificate nella comune greppia alla quale si sono alimentate trasformando la politica in mestiere  e i politici in una casta di servitori al soldo delle lobby alle quali il Paese è stato svenduto. 

Salvini ha dimostrato di aver compreso la necessità di colmare questo vuoto almeno per quello che riguarda la tutela  dei confini, la lotta contro l’invasione, la difesa degli interessi nazionali e il bisogno di sicurezza. Nell’immaginario collettivo i Cinquestelle avevano preso il testimone del socialismo tradito, erano l’espressione diretta e immediata del popolo minuto, dei lavoratori malpagati, dei precari, dei disoccupati, erano il segnale di un rivolgimento totale, la sollevazione contro un sistema di potere corrotto, violento, stupido, che ha fatto dell’Italia il Paese occidentale col più alto tasso di iniquità sociale e con la burocrazia più farraginosa.  Erano la promessa che ci si poteva liberare della casta di incapaci e corrotti che hanno consentito e facilitato la distruzione dell’ambiente, la compromissione dell’equilibro idrogeologico, lo spreco delle risorse pubbliche aggravato dall’assenza di un piano razionale di riorganizzazione delle infrastrutture viarie, ferroviarie, marittime e fluviali.


Ma, mentre Salvini pur impegnandosi a conseguire l’obbiettivo tattico di “quota cento” non dimentica di perseguire gli obbiettivi strategici della lotta all’immigrazione illegale – id est all’invasione -, della riduzione della pressione fiscale per i ceti medio bassi (non per i ricchi e gli ultraricchi, come voleva Berlusconi e come vuole qualche berlusconiano dentro la Lega)  e del riposizionamento dell’Italia in Europa e nel mediterraneo e lo fa senza sbavature e tentennamenti, Di Maio si  è impantanato su questioni in sé marginali come il Tav, il gasdotto, le trivelle, non è riuscito a compattare il movimento sul brutto affare del tribunale dei ministri di Catania, quando non si trattava di “salvare” Salvini ma di bloccare sul nascere il tentativo della magistratura di condizionare la politica, e dopo aver dato l’impressione che   col reddito di cittadinanza i malanni sociali del Paese  fossero risolti, abortito il maldestro tentativo di eliminare i “privilegi della  casta” ha accantonato l’obbiettivo strategico del movimento, l’abbattimento del sistema, che è ben altra cosa rispetto alle pensioni dei parlamentari. 


Chi sostiene che il movimento ha perso la verginità per aver sottratto Salvini (e il governo) dalle grinfie dei giudici o per essersi mostrato possibilista sul Tav o per aver cambiato atteggiamento sull’Ilva o mente sapendo di mentire o non ha capito molto del suo successo elettorale.  Un movimento “antisistema” non si esaurisce su questioni locali, per di più complesse e sulle quali è azzardato esprimere un parere perentorio. Un movimento antisistema quando si trova a governare non si adatta comodamente al sistema senza partorire nemmeno un’ideuzza che ne segni la rottura. Il Movimento avrebbe dovuto pungolare il governo trasformando la carica protestataria in forza propulsiva per spingerlo sulla via del cambiamento.  Invece il suo corpaccione si è afflosciato, arpionato dai falsi amici del Fatto, disorientato dalle fregole di Di Battista e, non dimentichiamo, intossicato dalla pattuglia di infiltrati comunisti (o piddini che dir si voglia).

Di Maio e Conte finora, a parte qualche scivolone, sembrano tenere e Giggino forse medita di scaricare su una bad company  i corpi estranei annidati  fra i suoi; ma non basta. Per sopravvivere, e per avere un senso, Di Maio non deve cercare di distinguersi dalla Lega ma la deve fiancheggiare, fino al punto che le due forze politiche divengano indistinguibili. Le oscillazioni e l’indecisione sul fronte dell’immigrazione illegale sono state un errore colossale, imputabile a quei corpi estranei dei quali prima si libera meglio è.


 Su privilegi e corruzione dovrebbe trainare il compagno di strada; sulla sicurezza non si faccia scavalcare dalla Meloni e stia più attento agli umori popolari; non si faccia ingannare dai media di regime: nessuno crede che con un fucile in casa e la semiautomatica sotto il cuscino si sia più sicuri; quello che è urgente è un rovesciamento di prospettiva. Se la “criminalità organizzata” è un problema serio – nessuno lo nega – la cosiddetta microcriminalità è un problema molto più serio, non è per niente “micro”, è una vera emergenza nazionale perché tocca la vita reale delle persone reali, che dalla grande criminalità, indubbiamente reale ma lontana e sfumata, non è nemmeno sfiorata. Su questo tema non si metta a rimorchio della Lega o, peggio, non faccia da freno;  sia piuttosto il pungolo.

   Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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