Stalking: chiamiamolo persecuzione

Stalking:
chiamiamolo persecuzione.

Stalking: chiamiamolo persecuzione.

L’attualità, pressoché quotidiana, ci pone a confronto con l’aumento della violenza di tipo persecutorio. E’ realmente così? Sono in aumento i casi o aumentano le denunce? Ci sono soggetti più a rischio o é un fenomeno trasversale a fasce socio-economico-culturali differenti? Sono solo le donne le vittime di questo tipo di violenza? Infine: quando si può realmente parlare di stalking, ovvero di persecuzione?


 Cerchiamo di fare chiarezza. Va detto innanzitutto che assurgono agli onori della cronaca i casi più gravi e/o con risvolti particolarmente intriganti per l’opinione pubblica. Un dato preoccupante riguarda proprio questi ultimi: è in aumento il numero di donne che vengono uccise da uomini ( più raro il viceversa) con cui avevano legami di tipo affettivo, siano essi padri, mariti, mogli, fidanzati o amanti, poco importa. I giornali ed i media in generale usano (ed abusano) con molta disinvoltura il termine “raptus”, spesso condendolo con il complemento di specificazione “di gelosia”. In realtà il cosiddetto “acting out”, ovvero il termine tecnico del profano “raptus”, che poi designa un repentino passaggio dall’azione ideica a quella concreta, è piuttosto raro. Può sembrare paradossale, in un’epoca in cui termini come “stalking” sono ormai noti e configurano reati perseguiti (finalmente) anche in Italia, eppure moltissime donne (e uomini) non sanno ancor oggi riconoscere i segnali che qualificano gli abusi come tali. Ci sono donne, soprattutto, convinte di meritarsi le botte, i ricatti economici, i controlli ossessivi ed ossessionanti posti in essere dal partner, le violenze psicologiche. Sono donne cresciute in famiglie in cui l’abuso era presente, donne che hanno introiettato un ideale di figura femminile distorto dalla famosa cultura misogina, sono soprattutto donne la cui autostima non si è mai sviluppata o che è stata fortemente compromessa. Si parla tanto di prevenzione in svariati ambiti, ma di prevenzione in contesto di violenza domestica quasi mai. Alla base del comportamento persecutorio si nasconde sovente l’ossessione per la vittima, il cui riflesso è un temperamento insicuro e emotivamente immaturo. Sono moltissime le donne che, ancor oggi, subiscono e sopportano botte, umiliazioni, coercizioni, abusi sessuali, convinte che in qualche misura siano eventi ineluttabili. Non è così, non è mai così. Il meccanismo psicodinamico che si innesta è drammatico. La nostra cultura, viziata da secoli di stereotipi alimentati ad ogni livello socio-culturale, vorrebbe ancor oggi la donna come una sorta di “angelo del focolare” destinata al ruolo di moglie e madre, spesso in condizione di sudditanza psicologica ed economica. 


Lo stalking non sempre è legato al legame di coppia e non sempre è l’uomo a ricoprire il ruolo del persecutore. Il principale obiettivo dello stalker è esercitare un potere di soggezione e controllo sulla propria vittima, sia che avvenga attraverso azioni di persecuzione psicologica sia concretizzata in atti. La prima considerazione che è opportuno porre in essere riguarda il concetto di amore. Cosa sia l’amore è impossibile defire ma sicuramente possiamo riflettere su cosa non sia amore. Non è amore il desiderio di prevaricazione, il sentimento di gelosia tipico di un soggetto insicuro e, in alcuni casi anche patologico, non è amore inibire la libertà personale, certamente non è amore picchiare o violentare la propria compagna/o. Come ci si può difendere? La regola aurea è tanto semplice da enunciare quanto difficile da applicare: non lavare i panni sporchi in famiglia ma denunciare sempre alle forze dell’ordine. Nelle famiglie in cui è presente un soggetto violento spesso si riscontrano altri elementi di disagio, non necessariamente di tipo economico e/o sociale. E’ un falso mito credere che le violenze e gli abusi avvengano con più frequenza nelle famiglie povere o socialmente emarginate. Una donna vittima di violenza domestica si sente senza speranze: il maschio violento tende a “fare terra bruciata” attorno alla propria vittima, isolandola dagli affetti, rendendola dipendente economicamente e psicologicamente facendola sentire inutile ed incapace. Quando la vittima di stalking è un uomo subentra anche il pregiudizio sociale che vuole l’uomo in grado di difendersi da solo. Come riconoscere un potenziale violento? I segnali ci sono sin dagli inizi di un rapporto affettivo, ma sovente si è troppo coinvolti emotivamente per poterli valutare con oggettività. In generale è opportuno non sottovalutare i comportamenti coercizzanti del partner: fare attenzione se pretende di imporre un certo tipo di abbigliamento, di look personale, se critica spesso e volentieri le amicizie o il modo di rapportarsi con gli altri. Altro importante campanello d’allarme, e grave sintomo di mancanza di rispetto, il controllo degli oggetti personali, dal telefonino al pc, alla posta, ai documenti. Fondamentale è poi ricordarsi che se un uomo (o una donna) alza le mani una volta, lo ha fatto una volta di troppo. Mai, mai credere che non succederà più. Utile ma utopistico, se proprio non è possibile troncare immediatamente un rapporto ormai malato, proporre un intervento psicologico o psicoterapeutico al partner. L’essenziale è arrivare ad introiettare non solo razionalmente, ma soprattutto emozionalmente, che un partner non ha mai il diritto di alzare le mani, e tantomeno giustificazioni quando si giunge a tanto. Le persone che diventano stalker non vanno sottovalutate, è sempre saggio rivolgersi alle forze dell’ordine. Laddove è possibile, è importante non offrire occasioni di incontro o di confronto. E’ molto difficile non modificare il proprio stile di vita di fronte a minacce e intimidazioni, tuttavia quando è possibile è la strategia più efficace per “togliere” potere sulla propria vita.


 Specie nei casi di stalking in contesto lavorativo e sociale, i persecutori si trincerano dietro posizioni di potere, utilizzano posizioni predominanti per intimorire. Non di rado trovano il modo di far sapere alla vittima particolari della sua vita, quali indirizzo, frequentazioni, abitudini consolidate. Denunciare sempre, sempre e sempre. E’ la prima e più concreta forma di autotutela. Confidarsi con amici e famigliari fidati, raccogliendo meticolosamente ogni elemento di prova. Mettere in campo ogni risorsa interiore per far fronte alla paura. lo stalker è sovente una persona fragile, insicura, vile e subdola. Come tanti vili, teme il coraggio. La vittima di stalking può trovare aiuto e protezione nelle forze dell’ordine, ma anche tra amici, vicini di casa. L’importante è non sentirsi colpevoli, mai: chi perseguita è il problema, chi perseguita ha problemi e zero scusanti. Compreso ciò, tutto assume una prospettiva diversa. Molto si può fare come singoli e come società: ascoltare le persone, non credersi intoccabili da questa tematica, mantenersi disponibili ad aiutare in prima persona. A volte basta poco, a volte basta semplicemente osservare attentamente ciò che ci circonda e non girare la testa dall’altra parte…

Giovanna Rezzoagli Ganci

 Counselor con specializzazione in Scienze Sociali

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