SPIGOLATURE: HIROSHIMA MON AMOUR

HIROSHIMA MON AMOUR di Renzo Balmelli

LEZIONE. Nella faticosa ricerca della pace ha significato moltissimo la scelta simbolica di Hiroshima per il recente vertice del G7. Veniva da lontano, veniva dai recessi più bui della storia, l’eco delle cannoniere che ha accompagnato il summit nella prima città ad avere conosciuto l’orrore della bomba atomica. Era il 6 agosto del 1945 alle 8.16 del mattino quando l’ordigno battezzato “Little Boy”, ma che non aveva certo i dolci tratti di un bimbo innocente, piovve dal cielo scatenando l’apocalisse. Un minuto dopo in un lampo accecante la vecchia Hiroshima con i suoi abitanti non esisteva più. Se non si è imparata quella lezione, non si è imparato nulla. Con grande rammarico dobbiamo invece constatare che “il lato oscuro della forza” è sempre tra noi. L’aggressione russa all’Ucraina, che vede il Cremlino nell’imbarazzante ruolo di convitato di pietra al tavolo delle trattative, viola le regole della civile convivenza, provocando sofferenze e devastazioni con toni dai quali non è neppure esente la minaccia del ricatto nucleare. Può darsi che, come si usa dire, la storia non si ripeta. Ma oltre che “far rima”, come sosteneva Mark Twain, essa a volte presenta analogie e coincidenze che mettono i brividi.

STREGHE. Alle presidenziali americane del 2024 manca ancora un anno e mezzo, ma in casa repubblicana è già un tintinnar di sciabole per la corsa alla candidatura. Ne offre un saggio più che eloquente il governatore della Florida Ron DeSantis, 44 anni e lontane origini italiane, determinato a spodestare Trump con ogni mezzo. Repubblicano di ferro, esponente dell’ala più conservatrice, l’aspirante alla Casa Bianca non raccoglie però l’unanimità dei consensi nel suo partito, già spaccato dalla litigiosità. Nel suo profilo usa argomenti in cui predominano l’ostilità agli interventi statali e la censura sui libri che affrontano i temi del razzismo e gli insegnamenti di gender nelle scuole. Piaceranno ai nostalgici di ciò che è trascorso o è lontano, però potrebbero non bastare per avere le carte vincenti nella probabile sfida a Joe Biden, che DeSantis, burlandosi di Trump, considera l’unico rivale alla sua altezza. Per presentarsi come perfetta alternativa più a destra della destra della narrazione trumpiana, il che è già tutto dire, forse occorrono argomenti più solidi della ripetitiva caccia alle streghe anche nell’America profonda e arrabbiata.

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VALORI. Stupirsi e indignarsi per la contestazione esplosa al Salone del Libro di Torino 2023 mostra quanto sia arduo arrivare a una convergenza di valori sulle questioni di fondo della nostra epoca. Per ragioni piuttosto complicate da capire, non è escluso che alla nuova coalizione non sia andata a genio la ribellione del mondo editoriale, che è di per sé garanzia di libertà e indipendenza. Come sovente accade, chi governa può avere qualche problema col dissenso, se non è sulla sua lunghezza d’onda. All’entrata del Salone, che non è un festival della politica, bensì una fucina di idee e di scoperte apprezzate dai lettori, ai visitatori non è stato chiesto quali tessere di partito avessero o per chi votassero. Continuare a ripetere un vecchio mantra, secondo cui la cultura dovrebbe tornare a destra dopo essere stata egemonizzata dalla sinistra, è francamente stucchevole e disonesto. Nelle librerie e nelle biblioteche non si insegna il pensiero unico e chi legge sa muoversi con intelligenza e spirito critico nella vastità dell’offerta. A tale proposito ci sarebbe invece da ridire sulla piega che stanno prendendo i tentativi miranti a blindare la RAI abbinando il servizio pubblico al colore della maggioranza. Tra sostituzioni ai massimi livelli dell’ente e il presunto turn- over nei telegiornali (cosa significa?) non è che si stia rendendo un buon servizio alla causa del pluralismo nell’informazione e nell’intrattenimento.

TRAVAGLIO. Sui banchi di scuola ci ha fatto sudare le proverbiali sette camicie col suo “Ei fu. Siccome immobile…” – incipit memorabile de Il cinque maggio. Eh sì, perché l’ode del Manzoni alla caduta di Napoleone non andava soltanto recitata a memoria come una macchinetta davanti al severo insegnante, ma anche commentata e contestualizzata per dimostrare di averla capita. L’intera l’opera del grande autore lombardo, d’altronde, è soggetta ancora oggi al confronto tra i critici tradizionalisti e la corrente che ne sottolinea i limiti o le imperfezioni. Uno dei padri della letteratura italiana, di cui proprio in questi giorni cade il centocinquantesimo anniversario dalla morte, avvenuta il 22 maggio 1873, rimane insomma un autore celebrato ma anche controverso tra gli studenti e i lettori. Un secolo e mezzo dopo ci si chiede se abbia senso continuare a studiare I promessi sposi nei licei, oppure se il volume sia ormai irrimediabilmente datato. Se ne può discutere a lungo. Nei complessi, dolorosi risvolti sociali e materiali collegati al duro conflitto con i potenti di allora, la storia di Renzo e Lucia mostra di avere tuttora svariate cose da dire e sulle quali riflettere. Rileggendolo adesso attraverso la lente dei cambiamenti strutturali e psicologici intervenuti con l’andar del tempo, il romanzo e i suoi personaggi riescono ancora a cogliere il segno di una modernità ante litteram sia nella trama sia nella lingua, tutt’altro che paludata, accessibile a tutti. La pesante fatica e il travaglio del vivere degli oppressi descritti da don Lisander lungo “quel ramo del lago di Como” offrono pur sempre, comunque li si voglia giudicare, uno sguardo intrigante e appassionato sulla condizione umana di ieri e di oggi.
Renzo Balmelli da L’avvenire dei lavoratori
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