SPIGOLATURE: DALLA PARTE DI CHI SOFFRE 

CANZONETTE. Sta sollevando un bel vespaio l’annunciata presenza di Volodymir Zelensky sul palco del festival di San Remo. Pomo della discordia sono i due minuti di un video che spaccano i vari fronti mentre la polemica sta seguendo però un percorso trasversale. Sulle ragioni degli occupati, chiamati a difendere i propri confini, ed i torti giganteschi degli occupanti, si litiga ormai apertamente per stabilire chi sta dalla parte giusta. Ma chi crede nei valori iscritti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sa che attaccare proditoriamente un paese sovrano è un atto criminale. Il leghista Salvini opta per la battuta facile: non so come canta il leader ucraino, ironizzando pesantemente sulla sua presenza all’Ariston nelle ore in cui la popolazione civile piange le vittime dei missili di Mosca. Stare dalla parte di chi soffre per le altrui smanie di potere, è una scelta che non accetta compromessi e racconta chi e come siamo. San Remo sarà pure solo canzonette, ma non è un’isola fuori dal mondo. La guerra invece è fuori di testa ed è giusto che anche qui, tra i garofani, si alzi l’invocazione alla PACE.

STILE. “Attenti alle parole” titola la principale testata giornalistica vicina alla nuova maggioranza. Nel calderone ribollente dei social e dei leoni della tastiera è basilare prestare attenzione a ciò che si scrive per non alimentare gli equivoci. Giusto. Solo che, appunto, la stessa testata, non ci pensa due volte ad affermare che le imminenti regionali in Lombardia spezzeranno le gambe alla sinistra. Ohibò! Bisogna dire che fa un certo effetto leggere un simile proposito che nello stile non manca di ricalcare quello d’un certo signor B.M. col suo celebre slogan “spezzeremo le reni alla Grecia”. Certo, come tante altre cose dell’epoca, la frase ha finito col far ridere e assumere, in genere, ai giorni nostri, una connotazione più o meno ironica. Precisamente: una questione di stile.

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LENTE. Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Nel fare sua la la famosa frase di Blaise Pascal, la prima ministra della Nuova Zelanda Jacinda Ardern ha posto fine alla sua carriera politica tra lo sconcerto dei suoi connazionali e lo stupore della comunità internazionale. Personalità d’alto profilo, grande capacità di reazione e umanità, nel 2017 il suo incarico aveva suscitato fin da subito l’attenzione dei media internazionali. A soli 37 anni era la più giovane premier donna al mondo. Ma il cuore, così come la famiglia, hanno appunto ha avuto la meglio sulla ragion di Stato, consegnando alla nostra attenzione il ritratto di una donna destinata a fare scuola quando ha ammesso di non avere più le energie per svolgere il suo incarico come si deve. C’è una lente – scrive la rivista Il Mulino – da utilizzare anche nella lettura di queste dimissioni che chiamano in causa il ruolo e il successo ottenuto dalle donne leader con non poca fatica. Sotto questo punto di vista la lezione di Jacinda Ardern assume un significato universale a proposito della capacità di cambiare vita.

DELUSIONI. Nella congiuntura fluttuante in cui siamo sommersi, l’idea di una Europa senza Europa, tanto cara ai suoi detrattori, appare assai stravagante oltre che inattuabile. Da ogni parte incombono minacce inaudite e l’Ue, pur con tutte le sue difficoltà, resta un insostituibile baluardo a difesa della lezione di civiltà trasmessa dai padri fondatori. Il 31 gennaio 2021 i rintocchi del Big Ben salutavano il divorzio definitivo del Regno Unito da Bruxelles con un gioioso scampanellio. Tre anni dopo non c’è traccia di entusiasmo nell’anniversario celebrato sotto tono tra inquietudini e delusioni sulle promesse mancate. Alla terminologia del “leaves”, e del “remain”, uscire o restare, si è aggiunto un neologismo che ormai sovrasta tutti gli altri e che la dice lunga sullo stato d’animo ricorrente. Ora si parla di “Bregret”, termine nato dalla fusione tra “Brexit” e “regret”, rimpianto, All’opposto non sono avverati i funesti pronostici che vedevano la Comunità al collasso dopo l’abbandono di Londra.

Renzo Balmelli da L’avvenire dei lavoratori
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