SPIGOLATURE: AVERE IL SENSO DELLA MISURA
PROMESSE. Lavorare il Primo Maggio non è una prerogativa del governo. Per molte professioni ben più faticose la ricorrenza è una giornata lavorativa come le altre. Nessuno ne trae motivo di vanto o ne fa l’argomento di altisonanti proclami. Con la locuzione “est modus in rebus” Orazio ci ricorda, in proposito, quanto sia educativo avere il senso della misura. Nel convocare il Consiglio dei ministri in concomitanza con la Festa del Lavoro, la sfida della premier è parsa invece una cosa molto diversa che aveva piuttosto il sapore di una deliberata provocazione. Palese era infatti l’intento di spaccare il fronte sindacale e di rubare la scena al Concertone, come a voler dimostrare che in piazza San Giovanni si fosse radunata solo una folla di oziosi scansafatiche. Grave, molto grave. Il tempo dirà che sorte conosceranno le misure del decreto sul lavoro, inclusi i famosi 100 euro in più nella busta paga. Ciò che oggi sappiamo di certo è che di promesse mai mantenute son pieni i cassetti.
NEBBIA. In quest’epoca di strisciante restaurazione, il 25 aprile e il Primo Maggio sono stati per la destra un febbrile laboratorio per riscrivere la storia su argomenti ad essa sgraditi. In entrambi i casi l’operazione politica ha solo contribuito a fare aumentare i dubbi e rendere il clima sempre meno sereno. Ancora vivo è nella memoria l’anniversario della Liberazione che ci siamo appena lasciati alle spalle. A tal riguardo tutti avrebbero voluto capire quanto conti realmente per la maggioranza il rapporto tra fascismo e antifascismo nel Dna della democrazia. In attesa di una risposta esaustiva lo scenario rimane avvolto da una nebbia impenetrabile e carica di pretestuosi distinguo. In quest’ottica definirsi non fascista, ma neppure antifascista, come si dichiara un ex sindaco di Roma è davvero un’alchimia contorta e ingannevole. A maggior ragione se a pensarla come lui – sono parole sue – sarebbe il 30% degli italiani. Roba da mettersi le mani nei capelli. Far combaciare due tesi del tutto inconciliabili come queste ci risulta francamente incomprensibile.
ABITO. Con la complicità di Massimo Gramellini, maestro d’intelligente e garbata ironia sul Corriere della Sera, dobbiamo confessare di avere ignorato fino a ieri l’esistenza della “armocromia”. Soltanto ora ci rendiamo conto di quanto ci siamo persi nel non prestare la giusta attenzione a un termine che insegna a come vestirsi e conciliare i colori nelle pubbliche apparizioni. E quanto conti per i politici l’arte di presentarsi con l’abito giusto per valorizzare la loro personalità e aumentare la popolarità. Finora le nostre poche conoscenze risalivano a Lord Brummel, un eccentrico dandy inglese del settecento che per primo lanciò l’uso dei pantaloni lunghi, sconvolgendo le convenzioni della “Real Casa”. Dopo le critiche piombate su Elly Schlein per essere apparsa su una rivista che si occupa di moda, gli sfottò da parte di chi non la sopporta si sono moltiplicati e hanno riempito i social ed i programmi televisivi con una ventata di effimero. La segretaria del PD tuttavia non si scompone e va al sodo, ricordando il vecchio adagio secondo il quale l’abito non fa il monaco ed è meglio quindi evitare di esprimere valutazioni superficiali su qualcuno.
DECLINO. Quanto a fogge, abiti di cerimonia griffati e bizzarri cappelli per signore di cui la moda britannica ha l’esclusiva, gli amanti del genere avranno presto di che lustrarsi la vista. Al di là della solennità dell’evento, il 6 maggio l’incoronazione di re Carlo III che terrà incollati ai televisori milioni e milioni di spettatori curiosi sarà una inesauribile fucina di pettegolezzi e gossip sul dietro le quinte di Buckingham Palace. Scoprire chi saranno gli invitati ad uno degli eventi più mediatizzati al mondo, farà scorrere ettolitri di inchiostro per capire se la Real Casa avrà ritrovato la serenità dopo i burrascosi recenti trascorsi. A otto mesi dalla scomparsa dell’amatissima madre, Carlo, figlio primogenito della sovrana e del principe Filippo, si accinge dunque, dopo una interminabile attesa, ad assumere lo scettro del Regno Unito, divenendone il 62esimo monarca. Considerato il lungo regno di Elisabetta, che ha lasciato tracce indelebili, il passaggio delle consegne non sarà una spensierata passeggiata tra i parchi londinesi. Colui che è chiamato a reggere le sorti della secolare istituzione che gli esperti dicono in declino, sale al trono in tempi difficili per un Paese che si dibatte tra le pesanti contraddizioni della Brexit. Finora il pensiero repubblicano, seppure in crescita, non ha scalfito la popolarità della corona. La monarchia in cerca di se stessa tra nostalgia e crisi, forse per la sua unicità e la forza delle tradizioni, curiosamente riesce ancora a resistere all’usura del tempo. Per adesso l’idea che possa cadere non sembra rientrare nell’ordine delle cose. In futuro vedremo.
Renzo Balmelli da L’avvenire dei lavoratori
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