Spezzeremo le reni alla Grecia… No, all’UE.

SPEZZEREMO LE RENI

alla Grecia… No, all’UE.

SPEZZEREMO LE RENI
alla Grecia… No, all’UE.

 Sappiamo com’è andata a finire la prima promessa. E immaginiamo come andrebbe a finire se questo governo, ormai a trazione leghista, dovesse procedere a muso duro con l’UE, pur rinnovata; ma non a sufficienza, dal punto di vista dei sovranisti, che in Italia superano il 40%, in Europa si fermano al 25%. 

L’UE e la sua moneta sono l’impalcatura perfetta per mantenere l’attuale sistema banco-centrico, vista la sciagurata sudditanza della politica alla finanza internazionale, ai cosiddetti “mercati”.

 


4 novembre 1956: l’Unione Sovietica occupa Budapest con i suoi tank. Oggi l’Unione Europea attua contro gli Stati dissidenti l’”occupazione finanziaria”, cioè il commissariamento e il prelievo delle sue ricchezze. La Grecia sia di esempio

 

Come ampiamente riportato nel mio ultimo articolo [VEDI], i mercati sono la “terza Camera”, più una quarta: le agenzie di rating, ed è in quelle sedi che si prendono le decisioni più importanti per la nostra economia, oberata da un debito pubblico schiacciante. Gli orgogliosi proponimenti di Salvini hanno già determinato uno schizzo all’insù del famigerato spread, il che significa accentuare il divario tra noi e la Germania. È come se la nostra corsa fosse gravata di un peso extra sulle spalle rispetto agli altri corridori; peso cui si cerca di rimediare con il ricorso ad una tassazione selvaggia, nel velleitario tentativo di ridurre debito e deficit pubblico. 

Può durare una condizione così svantaggiata? Certamente no. Quali le vie d’uscita?

Primo rimedio: l’emissione di “stato-note”, ovvero moneta dello Stato, non gravata da debito e interessi ed avente circolazione soltanto in Italia. Tale emissione non è vietata da nessun Trattato internazionale. Se n’è parlato e riparlato in questo anno di governo giallo-verde, ad es. con i mini-BOT di Borghi, in quota Lega, senza approdare a nulla. Eppure, se lo Stato potesse pagare almeno le spese per infrastrutture e beni fisici (ad es. i mezzi pubblici) con questa moneta interna, le tasse ne verrebbero alleggerite in proporzione. Grosso modo, il bilancio dello Stato si aggira sugli 800 miliardi. Almeno un quarto di tale importo potrebbe essere finanziato con stato-note; quindi, circa 200 miliardi sarebbero equiparati ad entrate fiscali, con altrettanto sgravio di tasse ai cittadini. 

Secondo rimedio: uscita dall’euro e dall’UE, insomma Italexit. Questa sarebbe una scelta, rispetto alla precedente, assai più radicale e traumatica. Infatti, significherebbe ripudiare il debito pubblico verso quel terzo di Titoli di Stato che sono stati venduti, contro ogni logica di auto-conservazione, ad investitori stranieri. Significherebbe anche non onorare il debito verso altri Paesi creditori, come la Germania, secondo la contabilità Target 2. Ciò squalificherebbe l’Italia come cattivo pagatore, da cui la caduta del suo rating a livello spazzatura. E, prima che la sua nuova moneta riuscisse a riprendere quota, grazie alla nostra capacità di esportare in misura almeno pari all’importare, ci pioverebbero sulla testa sanzioni economiche in stile epoca “mussoliniana”, per un imprecisato numero di anni. Non un’allettante prospettiva.

Ma forse non tutti sanno cosa sia il Target 2, per cui è qui opportuno ricordarlo.

 


La situazione dei Paesi debitori (sotto) nei confronti dei Paesi creditori (sopra) è andata accentuandosi dopo la crisi finanziaria 2007-08, al crescere della sfiducia reciproca delle banche nazionali e centrali dell’eurozona

 

Che non tutta la moneta circolante sia uguale è ormai noto, almeno a quanti mi leggono con una certa assiduità. Ci sono le monete metalliche, coniate dallo Stato, senza debito né interessi. Ci sono le banconote, emesse dalla BCE, a debito, contro Titoli di Stato, a interesse. C’è la moneta elettronica, emessa dal nulla dalle banche nazionali, ancorché non prevista da alcuna legge, a debito ed interessi.

Se entrassero in circolazione le stato-note suaccennate, esse sarebbero equiparate alle monete metalliche, quindi senza corrispondente debito né interessi verso nessuno: moneta di Stato

C’è però una contabilità a parte, varata nel 2007: il Target 2, appunto. Facciamo un esempio: se io giro per l’Europa e pago le mie spese con banconote, esse sono accettate in tutta l’eurozona: sono davvero una moneta comune. Se invece ordino dall’Italia merce prodotta in un altro Paese, si scopre che l’euro italiano è diverso da quello degli altri Paesi (e viceversa): non tutti gli euro sono uguali! Infatti, la mia banca deve passare attraverso la Banca d’Italia, che accende un prestito ad es. con la Bundesbank (acronimo colloquiale Buba), se la merce è prodotta in Germania; e la Buba apposta questo suo credito presso la BCE. 

Negli anni, il credito della Germania (e di Olanda, Lussemburgo e Finlandia) nei confronti dei Paesi sud-europei è cresciuto a dismisura, arrivando a circa mille miliardi, di cui circa la metà nei confronti dell’Italia. Ciò è potuto accadere a causa di un euro che, per l’Italia, è sopravvalutato ed ha pertanto depresso la sua economia, portandola a favorire l’importazione rispetto all’esportazione: l’inverso della situazione che l’Italia aveva con la lira. 

Visto con gli occhi dei Paesi creditori, ciò si traduce nel loro finanziare, tramite il Target 2, i nostri debiti. Per questo motivo tali Paesi hanno spinto per una nostra austerità feroce; che tuttavia ha prodotto il contrario degli effetti sperati: disoccupazione, diminuzione dei salari, calo della produzione (Pil) per il restringimento della domanda interna, aumento del debito pubblico e quindi del deficit. 

Nonostante questo evidente fallimento della politica di austerity, Bruxelles prosegue imperterrita nel chiederci altri sacrifici, con le sue “letterine”, tanto odiate e sberleffiate da Salvini. Ma non possiamo permetterci di fare le pernacchie a Bruxelles, in quanto ciò equivale a farle alla “terza Camera”, che dispone di poderose armi finanziarie per punirci. È un po’ come rifiutarsi di pagare una multa. Questa comincia a lievitare lungo i suoi passaggi burocratici, fino ad aggredire qualsiasi bene o reddito tu abbia. Ti salvi solo se sei immigrato clandestino o nullatenente, cioè povero in canna; ovvero se arriva Salvini con la sua “pace fiscale”, che azzera o quasi i tuoi residui debiti verso la pubblica amministrazione. 

Purtroppo, non si può fare altrettanto quando si oltrepassano gli italici confini, appurato che i “mercati” o chi per essi (leggi l’UE) non fanno condoni. O paghi o sei fuori. E fuori vuol dire brucianti sanzioni commerciali, in stile Iraq, Iran, Corea del Nord; e nazioni dell’Asse, se facciamo un balzo storico all’indietro. Vuol dire stretta autarchia. (Che non è soltanto negativa, peraltro: il bisogno aguzza l’ingegno).

Ma gli italiani hanno ormai troppe dipendenze, troppi “vizi” per affrontare a cuor leggero una simile tempesta, anche emotiva. Salvini si ergerebbe a nuovo Duce, se mai ci chiedesse un passo simile. Ma stavolta non avrebbe gli oceanici consensi di Mussolini alla dichiarazione di guerra a fianco della Germania. Perché di una nuova guerra si tratterebbe; e contro la Germania, stavolta. O forse gli italiani potrebbero dare un avventato consenso, per poi ricredersi non appena gli effetti cominciassero a colpirli duramente: cioè molto presto.

Lo strappo del “Secondo Rimedio” sarebbe invece assai più dolce, perché non scardinerebbe l’ossatura europea odierna, ridurrebbe il bisogno di liquidità dello Stato anno dopo anno, allargando senza rotture traumatiche la base monetaria nazionale. E le stato-note sarebbero moneta fiscale interna, equivalente ad altrettante tasse non più estorte a cittadini e imprese. 

 

Un’opera pubblica è la classica spesa che lo Stato potrebbe pagare con stato-note, senza appesantire il deficit.

 

Facciamo un esempio: si decide di procedere al riassetto di un territorio soggetto a frane e a rischio sismico. Costo: € 100 milioni. Lo Stato paga le imprese scelte per i lavori con € 100 milioni in stato-note. Questi soldi, validi solo entro i nostri confini, verranno spesi dalle imprese per pagare materiali e dipendenti, nonché per pagare le relative tasse, oltre al proprio utile. Tasse che saranno molto più lievi rispetto ad ora, con lo Stato costretto a chiedere i € 100 milioni indebitandosi sui mercati internazionali ai tassi d’interesse imposti da questi ultimi. Quindi ricattabile.

Ecco, questo è un parziale esempio di ciò che significa sovranismo; che non si limita alla difesa dei propri confini e a bloccare l’immigrazione, come sin qui è stato. Vuol dire invece anche sovranità monetaria

Tanti perché senza risposte

Così stando le cose, viene da porsi una serie di interrogativi sulle ragioni per cui la scelta delle stato-note (al pari di altre mancate scelte, come quella di costituire una o più banche pubbliche, sull’esempio della solita Germania), non venga attuata. Forse per la triste fine che, storicamente, hanno fatto gli statisti che hanno optato per lo svincolo dal venefico abbraccio dei banchieri privati: vari presidenti americani, il più famoso dei quali fu Abramo Lincoln, seguito un secolo dopo da JF Kennedy, e, qualche anno dopo, il nostro premier Aldo Moro, anch’egli assassinato dopo la cospicua emissione di stato-note cartacee da 500 lire in sostituzione di quelle d’argento, di valore intrinseco prossimo a quello di facciata, quindi con signoraggio quasi nullo. 

 

Un esempio di stato-nota, ossia moneta pubblica, emessa da Aldo Moro. Oggi solo le monete metalliche hanno le stesse prerogative

 

Sono domande destinate a restare senza risposte in un’Italia ricca di enigmi insoluti, come quelli relativi a stragi le cui indagini si dilungano nei decenni senza arrivare ad accettabili chiarimenti finali. 

Di certo, in questo strano miscuglio chiamato Unione Europea l’Italia fa la parte della Cenerentola, se confrontata con le nazioni del Nord e la Francia, pur col blasone di Stato fondatore. Sgarrare alle regole, imposte a tavolino da tecnocrati di varia estrazione, certo non eletti da nessun popolo, è concesso a quelle nazioni, ma si scagliano fulmini e saette se a farlo siamo noi. E quando un governo punta i piedi per difendere i nostri interessi, quegli Stati subito si coalizzano, attraverso i suoi bracci armati, per farlo cadere; come successo nel fatidico autunno del 2011, quando avevamo un Ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, che non volle inchinarsi ai diktat di Bruxelles e Francoforte.

Quella prova di forza fu sopraffatta, dopo l’avviso di sfratto della “letterina” firmata Draghi & Trichet, dai fulmini dei “mercati”, Deutsche Bank in testa, con la svendita massiccia dei nostri Titoli di Stato.

Oggi, nonostante la travolgente affermazione della Lega in Italia e dei partiti sovranisti altrove, a cominciare dalla Francia, vedo chiari segnali di un replay del 2011. Tutto ora dipenderà dalle vie d’uscita che il governo, ammesso che resista, adotterà per rispondere a questa ennesima sfida. Più sopra ho indicato due possibili exit strategy, una hard e una soft. Entrambe pericolose per chi le sceglie: l’una per la nazione, l’altra per chi governa.

Una sola cosa è certa: la strada sin qui seguita non è più praticabile e va coraggiosamente abbandonata. 

 

 Marco Giacinto Pellifroni      2 giugno 2019

  Visita il blog  https://www.marcogiacinto. com

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.