Spendere o risparmiare?

SPENDERE O RISPARMIARE?

SPENDERE O RISPARMIARE?

 Se giriamo all’indietro la manovella del tempo, diciamo di un paio di generazioni, questa domanda non aveva molto senso, essendo scontato che il risparmio avesse un indubbio valore, significando prudenza e salvaguardia del benessere futuro. A rinforzare questa credenza, ogni anno, il 31 ottobre, il governatore della Banca d’Italia pronunciava un discorso per enfatizzare che risparmio equivaleva al classico “mettere fieno in cascina”, per superare la scarsità dell’inverno. Fuor di metafora, era la più sensata forma di previdenza individuale e famigliare a tutela di periodi grami che il futuro poteva riservare. 

 


Mettere fieno in cascina, come allegoria del risparmio, in previsione di tempi di magra

 

Le forme di risparmio erano sostanzialmente due: i soldi contanti “nel materasso” o depositati in banca, lasciandone un frazione minore sul conto corrente e il “grosso” in titoli di Stato, che garantivano un rendimento più o meno al passo con l’inflazione. I tempi delle pressioni bancarie sui propri clienti per piazzargli titoli di varia natura, da azioni proprie ad altri di finanza “creativa”, erano ancora lontani. 

In tale sistema, il risparmio era virtuoso soltanto se lasciato in banca o prestato allo Stato, poiché nel primo caso la banca faceva da intermediario del credito e lo prestava a famiglie e, soprattutto, a imprese, contribuendo alla circolazione del denaro nell’economia produttiva; nel secondo, in quanto lo Stato si approvvigionava di soldi dei cittadini per far fronte alle sue spese, tra le quali l’esecuzione di infrastrutture, gli stipendi degli statali, le varie forme di welfare di cui beneficiava la società e così via; mentre gli interessi dei suoi BOT e CCT finivano nelle tasche degli stessi cittadini che li avevano acquistati. [VEDIMettere i propri risparmi sotto forma di liquidi sotto la piastrella o nel materasso, invece, equivaleva a sottrarli al circuito di scambio, limitandone il flusso e quindi danneggiando l’economia, che prospera se il denaro circola nella giusta misura, e langue se il flusso si contrae.  

 


BOT (e CCT) erano un modo virtuoso di finanziare lo Stato e tenere i soldi italiani in Italia (come fanno i giapponesi)

 

Un altro importante fattore che contribuiva a rendere meno invasiva la presenza delle banche nella circolazione del denaro era l’esteso ricorso a tratte e cambiali, mediante la cui emissione erano i fornitori di merci e servizi ad accollarsi il rischio di eventuali insolvenze da parte dei loro clienti. In pratica si trattava di una forma diretta, “fai-da-te”, di finanziamento, normalmente senza interessi, con la sola esigua aggiunta di una percentuale come imposta di bollo a favore dello Stato.

Da sottolineare che le banche, come detto più sopra, erano vere intermediarie del credito, e cioè prestavano i soldi depositati dai loro clienti: erano i depositi che generavano il credito, o perlomeno erano la base della leva che consentiva alle banche di prestare di più dei depositi esistenti, calcolando la minor quantità statistica dei prelievi rispetto ai depositi. Vigeva il principio della “riserva frazionaria”, determinata dalla Banca Centrale che, ricordiamolo, oltre a questa prerogativa, aveva quella di fissare il TUS (Tasso Ufficiale di Sconto, ossia gli interessi applicati sui prestiti al sistema bancario, che si rifletteva anche sul rendimento dei BOT) e la quantità di moneta da stampare (banconote) e coniare (monete metalliche). Tre importanti parametri che essa concordava con il Ministero del Tesoro. Dopo il 1973, con l’esplosione dei prezzi del petrolio, l’inflazione cominciò a galoppare, e così pure il TUS, [VEDIma è da tener presente che l’inflazione spinge a spendere oggi, per evitare di spendere domani a prezzi più alti; e l’economia tende a correre a velocità accelerata. Quindi non c’è convenienza a risparmiare. 

 


 Le cambiali corrispondevano ad un finanziamento diretto da parte del fornitore, senza passare per le banche

 

Inutile dire che, fintanto che vigeva questo sistema, termini come spread, debito pubblico, mercati, erano inesistenti o riservati agli addetti ai lavori; non certo al grande pubblico.  

In successive tappe, e nella più assoluta opacità, i banchieri decisero che la torta pubblica era troppo appetitosa per gestirla in concordanza con lo Stato; e così orchestrarono, attraverso i politici, i mass media e le università, una campagna denigratoria del pubblico vs. il privato, mentre si enfatizzavano le virtù di quest’ultimo, al riparo dalle mire della politica, troppo tesa al consenso elettorale a scapito dell’efficienza, per non dire della sua corruttela e inguaribile burocrazia.

Venne così innescandosi un processo di inversione di quello che, a partire dagli anni ’60, aveva permesso il nascere di importanti aziende ad ampia partecipazione statale, rivelatesi dei veri e propri gioielli pubblici. Un successo che aveva ulteriormente suscitato gli appetiti del mondo finanziario. Il quale, con pazienti mosse, degne di raffinati scacchisti, convinsero (1981) il Tesoro (Andreatta) e cedere in toto alla Banca d’Italia (Ciampi) le suaccennate tre prerogative. Si instaurò così il principio, elevato ad assioma, dell’indipendenza della Banca Centrale [VEDI]: principio tuttora ribadito a cadenza ravvicinata, ad indicare la sua adamantina vocazione a tutelare il corretto funzionamento dell’economia, senza interferenze politiche: come se economia e politica fossero due mondi a sé, senza ripercussioni reciproche. 

 


L’immagine esaltante di un caveau zeppo di lingotti d’oro.

I nostri sono sparsi tra Europa e USA. Oops, ho detto “nostri”. Ne siamo ancora sicuri?

 

Il successivo passo si ebbe nel 1992, col varo del Trattato di Maastricht, firmato senza coinvolgere il grande pubblico, tutto impegnato a seguire le meste figure dei suoi politici, non per il reato di aver spogliato lo Stato di suoi fondamentali diritti, ma per basse forme di ordinaria corruzione, salvando il solo PCI. Da quel fatidico anno iniziò lo straordinario assalto allo Stato e ai suoi beni, col quotidiano martellamento a favore delle privatizzazioni, descritte come la panacea, a cominciare dalle banche di proprietà dell’IRI, svendute con la loro dote di comproprietà della Banca d’Italia, da allora Bankitalia SpA, non più degli italiani, ma dei banchieri, lungo lo stesso percorso della nazione, in marcia verso Italia SpA [VEDI]: gestire lo Stato con criteri aziendali, ossia per generare profitti, trasforma lo Stato sociale in Stato asociale. Quanto ai lingotti d’oro, è ancora oggi motivo di contesa su chi ne sia il legittimo proprietario. 

Da quel fatidico 1992 ogni singola mossa, anche a livello internazionale, fu mirata a favorire il mondo finanziario a detrimento degli interessi pubblici: fondamentale anche il “contributo” di Bill Clinton del 1999, quando abolì la legge Glass-Steagal, varata nel 1933 da Delano Roosevelt, per separare le banche commerciali dalle banche d’affari. 

E torniamo all’oggi. Il risparmio non ha più ragion d’essere, nelle forme virtuose di un tempo. Sta via via crescendo la tendenza a tenersi –nuovamente- i liquidi sotto la proverbiale mattonella, in quando depositarli in banca non ha più senso: 

– primo, perché i rendimenti sono pari a zero; quindi non coprono neppure la modesta inflazione ufficiale, per tacere di quella “percepita”, che ci colpisce ogni giorno con nuovi rincari dei beni essenziali e non soggetti a reale concorrenza (autostrade, carburanti, riscaldamento, affitti, imposte, tasse, multe, ecc.);

 – secondo, perché affideremmo i nostri soldi a istituti bancari che non ne hanno bisogno, in quanto oggi si è invertito il verso di mutui e depositi, essendo i primi (fabbricati dal nulla al computer) a generare i secondi, e non più viceversa. Dare alle banche i nostri soldi, quando esse hanno cessato di essere intermediari del credito (pur rimanendolo di facciata, per apparire ancora nella legalità), significa sottrarli al circuito produttivo (in tandem con chi li nasconde nel materasso) per trasferirli nel mondo virtuale della finanza speculativa, anziché prestarli a famiglie e imprese; 

 


Si noti la chiara forbice dopo il 2012: a maggiori risparmi non corrispondono più maggiori investimenti. Anzi, il contrario. Fonte: FMI, come mostrata da Guido Grossi in: https://www.youtube.com/watch?v=J-jWFOCBW1E

 

– terzo, se tengo mille euro in contanti, sono sicuro che, a parte la perdita per inflazione (che inciderebbe comunque anche se li tenessi su un conto corrente), nessuno potrà togliermeli, se non un ladro o un pignoramento (che sarebbe ancora più facile da un conto corrente). Mentre, lasciati in banca, corrono il rischio di default della stessa, o di perdita parziale o totale, se avrò dato retta ai suggerimenti su come “investirli”in qualche titolo patacca. Che non si tratti di timori ipotetici, lo dimostrano i risparmiatori di banche venete e toscane, che ora tocca al governo rimborsare, ossia con soldi nostri, secondo la collaudata formula di privatizzare i guadagni e pubblicizzare le perdite.

 

 

 Due delle tante proteste di risparmiatori truffati dalle banche tramite investimenti bidone

 

L’italiano, comunque, tende per sua natura al risparmio, se appena riesce a far restare qualcosa nelle sue tasche a fine mese. L’Italia vanta uno dei risparmi privati più alti al mondo: quasi € 5000 miliardi, oltre il doppio del PIL. Un buon motivo per destare gli appetiti della solita finanza straniera, che presumibilmente sta affilando le armi per completare l’opera cominciata nel ’92 con le nostre aziende, pubbliche e private. Il bail in, ossia il coinvolgimento dei correntisti, oltre a obbligazionisti ed azionisti, nei casi di default bancari, è stato il primo passo nella direzione di mettere le mani nelle tasche dei risparmiatori. A ciò si aggiunga un fisco famelico, dotato di occhi penetranti ogni nostro avere, al quale è permesso entrare nei conti bancari e fare man bassa, se e quando lo ritiene. Un fisco che tassa più di quanto spende per poter pagare gli interessi agli investitori “istituzionali” (?!), tipo JP Morgan, Goldman Sachs et sim. Quelli, per intenderci, che hanno zavorrato governo ed enti pubblici (Comune di Savona incluso) di derivati a future scadenze e imperitura memoria.  Abbiamo trasferito una parte importante del nostro (peraltro artificioso) debito pubblico dalle tasche degli italiani nei suddetti “investitori”, erigendoli ipso facto ad arbitri della nostra economia e politica. Un capolavoro in negativo i cui molti responsabili non hanno mai pagato il fio.

Viviamo dunque in un clima di grande incertezza e insicurezza (vocaboli non sinonimi, anche se si è finito per confonderli nel linguaggio comune); clima che normalmente spingerebbe proprio al risparmio, per tutelarci da future avversità. Al contrario, tutto ci spinge a spendere tutto quello che abbiamo, non più per battere in corsa l’inflazione, ma per timore di vedercelo portar via, in un modo o nell’altro. Carpe diem, insomma. Esortazione alla quale aderiscono, senza loro scelta, tutti coloro, e sono in drammatico aumento, che non arrivano a fine mese, se non grazie ad aiuti, caritatevoli o parentali. 

Quante volte ci siamo trovati nella situazione di non aver comprato ciò che desideravamo per mettere l’equivalente denaro da parte, e poi vedercelo portar via, magari in misura persino superiore, o molto superiore, da una di quelle multe disumane di cui i codici si arricchiscono anno dopo anno? O da una cartella esattoriale che va a frugare nel nostro anche lontano passato, appesantita da more, sanzioni e interessi? E che dire delle sinistre, che gridano al condono, perché questo governo ha finalmente deciso di azzerare tutte queste odiose aggiunte ai già pesanti balzelli sulle spalle di chi lavora? Le sinistre, quelli dalla parte del popolo! 

 


 Il filosofo romano Severino Boezio (VI° sec.). Il suo insegnamento, pur vecchio di 1500 anni, mantiene intatta la sua validità 

 

Del mio filosofo preferito, il santo e martire Severino Boezio, autore nel VI° secolo del De philosophiae consolatione dal carcere in cui era ingiustamente detenuto come condannato a morte, è sempre attuale l’esortazione a non dare importanza a ciò che può venirci carpito, ma a ciò che è parte indissolubile di noi, e cioè ai valori della cultura e dello spirito. Tradotto banalmente, non si tratta forse anche della crescente moltitudine dei nullatenenti, cui nessuno può portar via nulla, perché più nulla possiedono? Nonostante questa oggettiva povertà, è dato trovare in loro un senso di libertà, intesa come inviolabilità, che non si avverte nei “benestanti”, tutti tesi a proteggersi dai più disparati, e crescenti, attacchi esterni. 

Il risparmio, in sostanza, un tempo era il carburante dell’economia ed infondeva tranquillità nel risparmiatore; oggi arricchisce la finanza ed è causa di ansia per chi lo detiene. Boezio docet…

    Marco Giacinto Pellifroni                 7 aprile 2019

  Visita il blog  https://www.marcogiacinto. com 

 

 

 

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