SIC ET NON
SIC ET NON
“Così sen va, e quivi m’abbandona
lo dolce padre, e io rimango in forse;
che sì e no nel capo mi tenzona” (Inferno, VIII, 109-111)
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SIC ET NON
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“Così sen va, e quivi m’abbandona lo dolce padre, e io rimango in forse; che sì e no nel capo mi tenzona” (Inferno, VIII, 109-111) Referendum, in latino significa “da riferire”. Che cosa? Qualsiasi cosa si ritenga necessario riferire a qualcuno. In quanto istituto giuridico-politico previsto dalla vigente Costituzione, è la possibilità di esercitare la sovranità popolare in maniera diretta, dal momento che si chiede a ogni singolo cittadino maggiorenne di pronunciarsi , tramite votazione, con un sì o con un no, su argomenti di interesse collettivo e nazionale. Significativamente la Costituzione non ammette la possibilità di indire referendum su questioni di politica estera, data la complessità della medesima e i rischi a cui lo Stato nazionale potrebbe essere esposto a causa di voti dettati da sentimenti come la paura o l’odio nei confronti degli stranieri in genere, o di una particolare nazione o etnia (si ricordi il mussoliniano “Dio stramaledica gli inglesi”, o anche la paura indotta da certa propaganda cattolica che i Cosacchi potessero bivaccare in Piazza S. Pietro, in caso di vittoria dei comunisti alle elezioni legislative dei 1948). Il primo Referendum, come tutti (o quasi) sanno, fu quello cosiddetto istituzionale che sancì la vittoria della repubblica sulla monarchia. Purtroppo lo spoglio delle schede non fu esente da irregolarità, soprattutto nelle regioni settentrionali, tanto che i monarchici denunciarono l’illegittimità del risultato referendario. Ma i loro ricorsi ebbero esito negativo e il re, con la famiglia, onde evitare una nuova guerra civile (l’11 giugno 1946, una manifestazione di monarchici napoletani che protestavano davanti alla sede del Partito comunista in Via Medina fu repressa a colpi di mitra e sette “lazzaroni” rimasero uccisi) scelse la via dell’esilio in Portogallo.. Non si può certo dire che la Repubblica Italiana sia nata con i migliori auspici. A parte questo esordio infelice, qualcuno potrebbe persino mettere in dubbio l’ appropriatezza dei referendum come modalità per decidere su rilevanti questioni etico-giuridiche come il divorzio, l’aborto, il testamento biologico, la fecondazione artificiale, l’eutanasia…Senza contare il fatto che alcuni referendum si sono poi rivelati controproducenti o inefficaci, ad esempio quello sulla riforma del Titolo V della Costituzione sul rapporto tra Stato ed Enti Locali e quello sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Ora anch’io, come molti cittadini di questo sfortunato Paese dove più che il sì il no suona, mi chiedo perché il Parlamento ha faticosamente partorito un tale aborto di riforma costituzionale che solo tappandosi il naso, gli occhi e le orecchie si potrebbe approvare? Non abolisce il Senato e lascia intatto il numero dei deputati, non semplifica l’iter di produzione delle leggi, anzi lo complica: le norme che regolano il nuovo Senato produrrebbero almeno (!) sette diversi iter legislativi, se a questo si aggiunge che questa riforma è stata prodotta da un Parlamento eletto in base a una legge elettorale (il famigerato Porcellum) dichiarata incostituzionale dalla Consulta, si direbbe che l’attuale maggioranza abbia segretamente deliberato la propria soppressione. Quindi si può ben capire come le ragioni del no siano meglio fondate che non quelle del sì. Almeno per chi ha deciso per il no. I sostenitori del sì obiettano che è meglio una cattiva riforma piuttosto che niente, ragione per cui noi cittadini siamo chiamati a scegliere tra la mera conservazione dell’esistente e un pasticcio legislativo di cui il cosiddetto uomo della strada non capisce un’acca. Non è un capolavoro del cerchio magico del nostro rocambolesco Presidente del Consiglio? Hanno ragione i sostenitori del no a denunciare la faziosità implicita nella stessa formulazione dei quesiti referendari, ma i sostenitori del sì non hanno torto nel rivendicare la comprensibilità elementare dei medesimi, dopo tante polemiche sulle astruse formulazioni di tanti precedenti quesiti referendari. Il mio sommesso parere è che su certe questioni etiche che riguardano la biopolitica o legislative complesse che riguardano il futuro della democrazia, i plebisciti non siano gli istituti più adatti a dirimere le controversie tra opposte fazioni politiche.
Che fare dunque? Proporre l’abolizione dell’istituto referendario? Abolire il suffragio universale? Abolire la stessa democrazia oramai ridotta a mero strumento di chi sa meglio menare per il naso l’elettorato? Abolire la democrazia? E come? Beh, tramite referendum, non vi pare? E se nessuno, ma proprio nessuno andasse più a votare, chi potrebbe più vincere le elezioni? Se nessuno venisse eletto il potere tornerebbe al popolo, almeno quello non lo si potrà abolire per decreto. Vox populi, vox Dei.
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