Settembre nero: ricordi, cronache e contraddizioni di un Paese smemorato

Nel 1972, a Monaco di Baviera, un commando di fedayn fece irruzione nel villaggio olimpico e sequestrò atleti israeliani. Dopo una semi-trattativa, che già allora si capiva sarebbe stata di utilità zero, si decise per una soluzione drastica: una serie di blitz delle squadre speciali israeliane. L’epilogo fu tragico: furono uccisi atleti e terroristi.

Per chi, come il sottoscritto, a quell’epoca guardava già la TV, fu un susseguirsi di speranze e poi di rassegnazione. Ore e ore passate davanti allo schermo, con quello che fu uno dei primi lunghi racconti di cronaca trasmessi in diretta dalla televisione nazionale.

Oggi, invece, il “settembre nero” si manifesta in forme diverse. Non più con attentati olimpici, ma con le notizie di un’estate particolare: calda sì, ma non da record. Un’estate segnata da alluvioni, trombe d’aria ripetute, dissesti ovunque, strade trasformate in fiumi dove a galleggiare non sono più barche o gozzi ma le automobili degli italiani.

Eppure – penserete – non sono state queste le notizie principali. Avete ragione: i media hanno diviso lo spazio tra Gaza, Ucraina e violenze. Ma questo settembre, senza terremoti meteorologici, è stato invaso da notizie banali, spesso ridicole.

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Io, che seguo la TV dai tempi dello sbarco sulla Luna (che oggi qualcuno vorrebbe liquidare come fake news girata su una spiaggia al buio), non ricordo una sequenza così assurda. Segnatevi questo settembre come data cult – un po’ come la canzone di Alberto Fortis – tra zanzare trasformate in mostri da cartone giapponese, mutate e pericolose fino a sembrare potenziali veicoli di nuove pandemie, più inquietanti del COVID-19.

Intanto, nei bar e nelle sale giochi, i totem per ricaricare le tessere vengono scambiati per bilance pesa-persone, mentre in sottofondo si parla di un embrionale esercito europeo. I politici, oggi tutti pronti a gridare “mai i nostri ragazzi in guerra in Ucraina o Gaza”, domani – zitti e miti – li manderanno comunque. Basterà dire che saranno “volontari”, destinati a governare droni, missili e satelliti. Guerra elettronica, non baionette.

Ma quando si scoprirà che i 5.000 euro al mese per arruolarsi non sono per giocare a Kiev contro Mosca con la PlayStation, allora sì che qualcuno protesterà. E chi tornerà a casa rischierà di farlo con malattie o cellule tumorali, mentre ministeri e corti sentenzieranno: “non si può dimostrare il nesso”. Poi arriveranno Mario Giordano, Le Iene o Bruno Vespa a fare un po’ di casino in TV. Casino che serve a nulla, se non ad aspettare che la gente muoia e dimentichi.

E a proposito di settembre: ricordiamoci che in questo mese è morto Giorgio Armani, l’unico – dopo Enzo Ferrari – capace di far rispettare il Made in Italy anche agli americani e di ridurre i dazi a coriandoli. Ora, invece, rischiamo che tra Gaza, Ucraina e violenze un gruppo di cinesi o indiani – con la scusa di “portare cash e mantenere posti di lavoro” – si appropri dei nostri marchi simbolici.

Perché l’Italia soffre da sempre della sindrome di Tafazzi: invece di difendere i propri brand e icone, gode se fallisce il negozio del vicino o se la Guardia di Finanza chiude un ristorante pieno di operai per uno yogurt scaduto da mezz’ora.

E a settembre, come ogni anno, riemerge la burocrazia balneare: chioschi e stabilimenti costretti a chiudere il 29, anche se ci sono 40 gradi. Se qualcuno osa servire una bibita oltre quella data, viene bersagliato come Serse contro i Greci. Nel frattempo, i programmi pomeridiani dedicano giorni interi a uno stabilimento che faceva pagare 1 euro la ricarica del cellulare, trattandolo come scandalo nazionale.

Molto meglio, per i media, parlare di quello che non si può toccare: eredità milionarie, ville ristrutturate con fondi destinati ad altri.

Intanto, il direttore Mediaset pontifica che i suoi giochi serali sono “intelligenti e basati sul ragionamento”, mentre i pacchi di RaiUno sarebbero “gioco d’azzardo”. Peccato che le stesse reti siano inondate da pubblicità di piattaforme online con Totti, Banfi, Abatantuono come testimonial: azzardo puro, ma chissenefrega se rovina i giovani.

E mentre aumentano gli ubriachi al volante – spesso proprio coloro che dovrebbero dare l’esempio – cambi canale e ti ritrovi sommerso da repliche: cinque minuti su RaiUno, dieci su Mediaset. Una sequenza tale che ti fa rimpiangere le vecchie cronache in edicola, e persino le canzoni di settembre: da Earth, Wind & Fire a September Morn, fino a Mina Settembre.

Tra poco, ricominceranno le “lezioni di mafia” su La7. Fortuna? Forse. Peccato che chi la mafia l’ha combattuta davvero, sacrificando la vita, non parlava mai: stava zitto, a testa bassa, fino alla fine. E così fu anche quel giorno di settembre, quando un’auto dei carabinieri venne crivellata di colpi e il prefetto che aveva sconfitto le BR, insieme alla crocerossina Emanuela, finì di esistere in un’Italia che aveva appena vinto il Mondiale. Incredibilmente.

Oggi, invece, a settembre siamo destinati a non andarci: basta guardare lo spettacolo sul campo. Meglio il settembre dell’anno scorso, almeno meno grottesco.

Meglio il racconto rassicurante, meglio non spiegare come mai un Messina Denaro – visibile come il Gabibbo all’Ipercoop – sia rimasto libero per decenni. Se non avesse deciso di farsi curare in ospedale, forse sarebbe ancora in vacanza, magari con Riina, Provenzano e Brusca a ricordare i tempi della “Milano da bere”.

E allora ricordiamocelo: saremo tutti rimandati a settembre.

Alberto Bonvicini 

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