SERVITU’ VOLONTARIA

SULLA SERVITU’ VOLONTARIA
Alcune  note in margine al discorso di La Boétie

SULLA SERVITU’ VOLONTARIA
Alcune  note in margine al discorso di La Boétie

Se è vero che tutti nasciamo liberi e con uguali diritti, come avviene che alcuni, anzi, intere moltitudini preferiscano   assoggettarsi e obbedire a un leader così detto carismatico, piuttosto che seguire la loro propria  inclinazione naturale alla libertà, che è quel bene “così grande e piacevole, tanto che quando viene perduta si produce ogni male, e gli stessi beni che dopo la sua scomparsa permangono perdono interamente il loro gusto e sapore, corrotti come sono dalla servitù…”?

E’ quello che si chiede il giovane umanista, grande amico di Montagne, Etienne de la Boétie, nel 1554, nel suo Discorso sulla servitù volontaria , sgomento e incredulo nel  constatare    “come il popolo, da quando è asservito, cade improvvisamente in uno stato di tale profonda dimenticanza della libertà,  che non gli è possibile risvegliarsi per riprendersela, e serve tanto spontaneamente e tanto volentieri, che a vederlo non si direbbe che ha perso la libertà, ma che ha guadagnato la servitù.” Tanto che potrebbe persino sorgere il dubbio se il desiderio della libertà sia poi così innato come si pretende; certo è che basta poco per rimuoverlo, magari in cambio della “protezione” di un potente, fosse anche un tiranno vizioso e dissoluto. “E’ ben vero che all’inizio si diventa servi perché costretti o sconfitti dalla forza: ma quelli che vengono dopo servono senza rimpianto, e fanno volentieri ciò che i loro predecessori avevano fatto per costrizione. In tal modo gli uomini nati sotto il giogo, cresciuti e allevati come servi, non pensano più al passato, ma si accontentano di vivere nella medesima condizione in cui sono nati; non credendo di avere beni e diritti diversi da quelli che posseggono, ritengono naturale la condizione servile in cui sono nati. “ Altro che liberi per natura! Non sarà che, in fondo, sia più nel giusto Aristotele quando sostiene che ci sono uomini nati per servire e altri nati, invece, per comandare? Non vediamo anche al giorno d’oggi quanti e quante sembrano felici di asservirsi a chi promette loro anche solo un invito alla mensa del Principe, o un posto, o un seggio in Parlamento, o una parte – o particina – in qualche reality o in qualche taroccato talent show televisivo? E nati per servire, purtroppo, sembrano anche quegli “onorevoli” che approvano senza batter ciglio leggi studiate appositamente dai deputati-avvocati (o avvocati-deputati) di Silvio Berlusconi pro domo sua, distorcendo e alterando la funzione stessa del potere legislativo, quasi fosse l’ufficio legale di una ditta privata.

Come ha denunciato Giovanni Sartori in Il sultanato, Laterza, 2008: “le cose che mi spaventano sono oramai parecchie; ma il livello di soggezione e di degrado intellettuale manifestato in questa occasione (l’approvazione del cosi detto lodo Alfano) da una maggioranza dei nostri ‘onorevoli’ mi spaventa più di tutto. E’ come se fossero collaboratori domestici…Qui siamo al sultanato, alla peggiore delle corti.” Un’ulteriore – e quasi incredibile nella sua impudicizia –  performance di questa degradante sottomissione si è vista ( e diffusa via Internet in tutto il mondo) quando l’intera maggioranza parlamentare ha approvato, in evidente malafede, la tesi avvocatesca difensiva della buonafede del Presidente del Consiglio quando aveva telefonato quella notte alla Questura di Milano per segnalare che la ladruncola minorenne Ruby era in realtà la nipote di Mubarak!

 Etienne de la Boétie

Questo degrado morale e intellettuale, in atto non da ieri (basti ricordare i tempi della “Milano da bere” e di Tangentopoli),  ha ora assunto la forma del sistema della corte, che tecnicamente è “una forma di potere caratterizzata dal fatto che un uomo sta al disopra e al centro di un numero più o meno grande di individui – i cortigiani – che dipendono da lui per avere e conservare ricchezza, status e fama.” (Cfr. La libertà dei servi, di Maurizio Viroli, Laterza, 2010).

Come questo sia potuto accadere in una repubblica democratica e liberale “fondata sul lavoro”, in questa nostra Italia che era pur riuscita a ricostruirsi dopo la tragedia del fascismo e della guerra, e le cui istituzioni repubblicane avevano resistito sotto gli attacchi convergenti del terrorismo rosso e nero, manovrati da poteri occulti antidemocratici (grazie alla sostanziale fedeltà ai principi costituzionali dei due grandi partiti di massa della prima Repubblica: Democrazia Cristiana e Partito Comunista), se lo chiedono in molti, così in patria come all’estero. Tra questi il professor di Teoria politica  presso l’Università di Princeton, Maurizio Viroli, che si è chiesto appunto “perché proprio in Italia ha avuto successo l’esperimento politico di trasformare – senza violenza – una repubblica democratica in una corte che ha al centro un signore circondato da una pletora di cortigiani ammirati e invidiati da una moltitudine di persone di animo servile.” Oltre che, si potrebbe aggiungere, al vil guadagno intesa. “La risposta che mi è sembrata più plausibile – continua Viroli – è che tutto questo è avvenuto per la nostra secolare debolezza morale (nonostante gli splendidi esempi di grandezza che onorano il nostro passato e il nostro presente). Per debolezza morale intendo quello che tanti scrittori politici hanno spiegato, ovvero la poca stima di se stessi, che a volte si maschera di arroganza, che rende inclini ad accettare di dipendere da altri uomini. Dato che ritengo di valere poco, perché non dovrei servire i potenti, se ne traggo buon profitto?” E  perché mai non dovrei? Potrebbe rispondere un cortigiano (o una cortigiana): non per la mia dignità, di cui evidentemente non m’importa più di tanto; non per il debito di ogni singolo cittadino verso la sua città (civitas), dato che non mi sento cittadino ma suddito; non per affermare o difendere la mia libertà, appunto, di uomo libero e non di servo, dal momento che non mi sento ostacolato nel coltivare i miei interessi privati…E così via. Viroli non limita  la sua disamina alle questioni generali o di principio, ma formula il suo motivato J’accuse nei confronti di tutta la classe dirigente italiana, che non ha saputo o voluto impedire l’accumulo di tanto potere – politico, economico e mediatico –  nelle mani di un singolo imprenditore (o impresario, come aveva detto Enzo Biagi): “ Accanto a questa causa di carattere generale, o di contesto, bisogna poi tenere presente, per capire che cosa è avvenuto in Italia, quello che ho chiamato ‘il tradimento dell’élite’, vale a dire l’incapacità dell’élite politica, intellettuale e imprenditoriale di impedire la formazione del potere enorme di un uomo che ha distrutto la libertà dei cittadini (trasformandoli in sudditi). Si può discutere se era possibile impedire che le cose andassero in questo modo e quali siano stati gli errori più gravi di questo o quel leader politico. Si può e si deve discutere se sia mancata più la saggezza o la volontà. Ma quel che conta sono i fatti e i fatti sono inoppugnabili: chi aveva il dovere di difendere l’integrità della repubblica non l’ha fatto. “ Ma chi aveva, anzi, chi ha il dovere di “difendere l’integrità della Repubblica”? La classe politica in primo luogo, certo; ma forse non anche “il popolo sovrano”? E se il popolo sovrano scegliesse a maggioranza – come in parte è successo – la pseudolibertà dei sudditi anziché l’autentica libertà repubblicana dei cittadini, che faremo? La rivoluzione? Temo che la rivoluzione (dei costumi e dei consumi, o della vita facilitata) sia già stata fatta, ma  dagli altri. Dunque non rimane che la controrivoluzione, ovviamente non violenta, degli ideali e delle virtù. O di quel che ne resta.

Fulvio Sguerso 

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