Scongiurato il tentativo del GOVERNO di reintrodurre come lecita la pratica dell’anatocismo

  Scongiurato il tentativo del GOVERNO

di reintrodurre come lecita la pratica dell’anatocismo.

Scongiurato il tentativo del GOVERNO

di reintrodurre come lecita la pratica dell’anatocismo.

L’anatocismo è il fenomeno giuridico-contabile rappresentato dal computo sugli interessi scaduti di ulteriori interessi (gli interessi c.d. “composti”).

Il problema economico-contabile che sottende la disciplina normativa  è collegato al fatto che, dato un determinato tasso nominale di interesse annuo, l’applicazione degli interessi sugli interessi scaduti (la c.d. capitalizzazione) comporta un innalzamento effettivo del tasso nominale, tanto più elevato quanto più ravvicinati tra loro siano i “periodi” di capitalizzazione presi in considerazione.


Un tasso nominale del 10% annuo, con la capitalizzazione semestrale comporta il tasso effettivo annuo al 10,25%;

con capitalizzazione trimestrale il tasso annuo effettivo è pari al 10,38% (Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in RDC, 1991, 757).

La normativa codicistica pone il generale divieto di anatocismo, permettendolo solo a determinate condizioni  e con salvezza degli “usi contrari”.

La Corte, con due innovative sentenze (3097/1999 e 2374/1999)  ha escluso che le c.d. norme bancarie uniformi (che prevedono una capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti) potessero avere natura normativa, evidenziandone la natura esclusivamente pattizia ed argomentando dalla documentata “non esistenza” di un tale uso consuetudinario nel 1947 (Commissione speciale permanente presso il Ministero dell’Industria) e dal fatto che di tale uso si è fatto cenno, per la prima volta, solo nel 1952; la sentenza C. 2374/1999 ha ritenuto nulla la clausola di previsione della capitalizzazione trimestrale in  quanto anteriore alla scadenza degli interessi stessi.

Tale orientamento della cassazione si è poi definitivamente consolidato con la pronunzia a Sezioni Unite (C., S.U., 21095/2004) ove è stato precisato che «in sede di esegesi dell’art. 1283, la giurisprudenza della primavera del 1999, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con pronunzie del ventennio precedente, ha enunciato il principio – reiteratamente, poi, confermato da successive sentenze – per cui gli “usi contrari”, idonei ex art. 1283 a derogare il precetto ivi stabilito, sono solo gli “usi normativi” in senso tecnico; desumendone, per conseguenza, la nullità delle clausole bancarie anatocistiche, la cui stipulazione risponde ad un uso meramente negoziale ed incorre quindi nel divieto di cui al citato art. 1283”.

Nell’agosto del 1999 è stato reso un decreto legislativo, il 342, che all’art.25 poneva la riforma di fatto e di diritto dell’art.120 del TUB (Decorrenza delle valute e calcolo degli interessi).

Esso così statuiva: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.


Un decreto evidentemente voluto dalla forti lobbies bancarie, dal momento che da un lato, nel demandare al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (Cicr) il compito di stabilire «modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi», ha imposto tuttavia alle banche, relativamente alle operazioni regolate in conto corrente, di assicurare nei confronti della clientela «la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori», con ciò escludendo per il futuro la precedente sperequazione nella capitalizzazione dei diversi interessi, passivi ed attivi (art. 25, 2° co.); dall’altro ha disposto (con una generalizzata sanatoria) che «le clausole relative agli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al 2° co., sono valide ed efficaci fino a tale data… » (art. 25, 3° co.); un intervento che ha configurato, dunque, una norma sostanzialmente retroattiva…..

La Corte Costituzionale ha, però, dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 25, 3° co., D.Lgs. 4.8.1999, n. 342 nella parte in cui stabiliva in maniera indiscriminata la validità ed efficacia retroattiva delle clausole relative alla produzione di interessi anatocistici contenute nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della delibera del Cicr , prevista dal 2° co. dello stesso articolo (C. Cost. 17.10.2000, n. 425).

Il successivo orientamento della Cassazione si è poi consolidato nel senso della nullità di tali clausole di capitalizzazione trimestrale (C. 24418/2010; C. 8442/2002; C. 4490/2002; C. 1281/2002; C. 6263/2001),  seguita da parte, sempre crescente, della giurisprudenza di merito (A. Napoli 16.10.2009; T. Salerno 2.1.2010; T. Palermo 20.2.2008; T. Napoli 5.7.2006; T. Brindisi 13.5.2002).

La nullità delle clausole anatocistiche stipulate prima del D.Lgs. 4.8.1999, n. 342, è stata ribadita dalle Sezioni Unite (C., S.U., 21095/2004), in quanto, in seguito alla declaratoria di incostituzionalità, dette clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate delle norme anteriormente in vigore; esse vanno, quindi, dichiarate nulle, in quanto in violazione dell’art. 1283.

È stata anche affermata (C. 4853/2007) la rilevabilità d’ufficio, nel giudizio di gravame, della nullità della

clausola di capitalizzazione trimestrale, contenuta in un contratto anteriore alla delibera del Cicr.

In seguito con il decreto milleproroghe si è tentato di arrestare le cause in materia di anatocismo, concernenti le azioni di ripetizione di interessi trattenuti illegalmente.


L’astuto – e subdolo – legislatore tentava di modificare le norme in tema di prescrizione di indebito con l’art.62 che così recitava: “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

La Corte Costituzionale ne ha sancito l’illegittimità: “Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma

61, prima parte del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, secondo cui in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. Infatti la disposizione si autoqualifica di interpretazione e, dunque, spiega efficacia retroattiva, mentre il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), costituisce valore fondamentale di civiltà giuridica, pur non ricevendo nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost.; mentre la norma censurata lede il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.). Infatti essa è intervenuta sull’art. 2935 cod. civ. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente si era ormai formato un orientamento nettamente maggioritario in giurisprudenza, che aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del suddetto termine. La norma è costituzionalmente illegittima anche per violazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia. Nel caso in esame non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare l’effetto retroattivo. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo(Corte cost., 05-04-2012, n. 78)”.

 In ragione dell’ art. 3, comma 3, D.Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 così risulta modificato l’art.120 del Testo Unico Bancario: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

 a)  nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;

 b)  gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.


La legge di stabilità 2014 (l. 27.12.2013 n. 147, pubblicata in G.U. in data 27.12.2013) è intervenuta, con il  comma 629, a modificare l’art. 120, co. 2, TUB (d.lgs. 1.9.1993, n. 385), apportando una disciplina in materia di anatocismo.

La disposizione di cui all’art. 120 TUB, fino alla predetta modifica, sanciva esclusivamente il principio volto  ad assicurare alla clientela che, con riferimento alle operazioni in conto corrente, vi fosse eguale periodicità nella capitalizzazione degli interessi attivi e passivi.

L’emendamento alla normativa uniforme non era altro che la riproposizione di quanto stabilito dall’art. 25, co. 2, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, che aveva introdotto nel corpo dell’art. 120 del TUB, stabilendo, proprio come la norma in esame, il potere del CICR di definire modalità e criteri per la produzione degli interessi sugli interessi nelle operazioni in conto corrente, garantendo la coincidenza temporale, nel computo di questi, in tutte le operazione di dare e avere.

Da qui la reintroduzione dell’anatocismo vietato dalla legge all’art.1283 codice civile.

In conclusione  si ha anatocismo dal momento che quest’ultimo non si calcola sul capitale originario ma su quello già comprensivo dell’interesse maturato.

Si dovrebbero pagare interessi su interessi.

Con il blitz delle banche – e del governo RENZI – delle ultime ore così sarebbe stato riscritto – si badi bene se fosse stato approvato –  il nuovo articolo 120 del TUB: “Il Cicr stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo. Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre”.


L’impianto dell’art. 31 del D.l. n. 91 del 24 giugno 2014 consente alla banca di introdurre nei contratti in conto corrente o in conto di pagamento la previsione di una convenzione anatocistica ex ante e, quindi, avente ad oggetto interessi non ancora scaduti, in deroga alla norma di cui all’art. 1283 c.c., purché riguardi interessi maturati in un periodo mai inferiore all’anno.

La banca, dunque, avrebbe potuto inserire:

1.  nei nuovi contratti (in conto corrente o in conto di pagamento) una clausola di capitalizzazione  composta (mai inferiore all’anno),a partire dal 60° giorno dalla pubblicazione in G.u., ovvero dal 19 agosto 2014,

2.  mentre per i contratti in corso l’adeguamento dovrà avvenire entro il 24 dicembre 2014.

Quindi per i contratti conclusi prima dell’entrata in vigore (1° luglio 2000) della delibera Cicr del 9 febbraio 2000 ci saremmo trovati di fronte ad un contratto che difetta di qualsiasi base negoziale che abbia previsto la capitalizzazione annuale o superiore all’anno (prevedendo, invece, l’invalido anatocismo trimestrale), con la conseguenza che occorrerà una nuova stipulazione di convenzione anatocistica annuale.


Mentre per i contratti stipulati dopo il 1° luglio 2000, periodo nel quale sarebbe stata ammessa la stipulazione di contratti contenenti la clausola anatocistica trimestrale (ma anche semestrale, ecc.. con il solo limite del rispetto del c.d. pari binario), la banca dovrà modificare la cadenza della capitalizzazione trimestrale in periodi mai inferiori all’anno.

I contratti stipulati dopo il 1° gennaio 2014 e fino al 24 giugno 2014, sottoposti alla vigenza del comma 629 della legge di stabilità 2014 (27.12.2013 n° 147), pubblicata in Gazzetta Ufficiale G.U. 27.12.2013 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2014, non avrebbero invece prevedere alcuna forma di anatocismo, essendo il provvedimento della delibera Cicr (mai intervenuto) destinato esclusivamente alla modalità di determinazione del c.d. “monte interessi”, non potendo in alcun modo intervenire sul problema dell’illegittimità di base della clausola anatocistica.

La difficoltà della norma si evidenzia nella sua struttura sintattica e nelle diverse ipotesi che essa contempla: se non fosse passata la correzione “bipartisan” (primo firmatario Paolo Arrigoni – Lega Nord)  inevitabilmente il decreto avrebbe dovuto affrontare le forche caudine del giudizio di costituzionalità, attese le diseguaglianze che la normativa avrebbe prodotto, anche stravolgendo il valore dell’art.1283 c.c., che nella fattispecie assume il  rango di norma primaria.

avv. Marcello Pastrengo

(con note dell’avv. Biagio Riccio)

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