Savona. Una città in declino (quarta parte) Il porto: un’immensa occasione perduta

SAVONA, una città in declino:
Il porto: un’immensa occasione perduta
IV Parte
Prima parte                 Seconda parte               Terza parte

Premetto di avere iniziato la mia attività imprenditoriale a Savona nel 1978, per cui, dapprima fornirò una fotografia della situazione del porto di Savona a quella data, dopo di che passerò a raccontare che cosa ha prodotto la politica portuale Savonese a partire da allora, fino ad arrivare ai nostri giorni.

V’è da dire che, avendo passato 10 anni all’estero – per lo più in Nord America – ho avuto la fortuna di osservare in anticipo l’evoluzione della portualità di un Paese avanzato come gli Stati Uniti che, in quegli anni, entrava nel mondo moderno molto più rapidamente dell’Italia; questa lunga esperienza mi ha permesso di acquisire conoscenze e competenze tali da poter giudicare con un metro meno provinciale e più internazionale ciò che stava avvenendo nella mia città.


Intanto dobbiamo premettere che i porti sono zone demaniali e, per ciascun porto, le relative politiche vengono decise da un’Autorità Portuale nominata dal Governo Centrale. Tuttavia, le Autorità Portuali non sono mai avulse dalla politica cittadina, tanto è vero che nei loro Consigli di Amministrazione siedono anche i Sindaci delle rispettive città, i quali, oltre a essere responsabili della viabilità fuori dal porto, hanno anche il dovere di rappresentare gli interessi e le istanze della propria città e dei propri concittadini, sia per ciò che concerne le questioni dell’ambiente, sia per quanto riguarda le più critiche e delicate esigenze dell’economia e dell’occupazione locale, e di questo aspetto invito i lettori a tenere conto durante la lettura del seguito.

In quel particolare periodo – parliamo degli anni ‘80 – soprattutto sulle coste europee del Mediterraneo, i problemi delle città medie litoranee stavano assumendo connotati profondamente diversi da quelli da lungo tempo consolidati, perché si iniziava, come era già avvenuto negli Stati Uniti, a mettere a punto le prime forme di offerta di trasporti multimodali e combinati.

 

Il panorama portuale internazionale di allora iniziava a essere dominato dalla diffusione di strategie e di programmi orientati a far sì che l’offerta fosse pronta a fronteggiare una nuova organizzazione dei trasporti, i quali stavano cambiando nelle tecnologie e nel management.

I campi funzionali che rientravano più nel fuoco delle nuove strategie erano quello dei flussi containerizzati avviati su ciclo di trasporto multimodale e dei flussi unitizzati avviati su cicli di trasporto combinato, oltre a quello dei carichi eccezionali.

Il sistema portuale di Savona, seguendo l’esempio di Genova e di altri porti medi del Mediterraneo, si organizzava mettendo a punto le prime forme di offerta per trasporti multimodali e combinati, tramite il completamento e l’entrata in funzione del terminal agli alti fondali e con la realizzazione del Reefer Terminal di Vado Ligure.

Terminal agli alti fondali e Reefer terminal

E’ chiaro che l’effetto di questa rivoluzione dei trasporti e della logistica, che tendevano a ridurre il porto a semplice porta di accesso e transito, metteva in discussione il nucleo nobile del trasporto mercantile e cioè le merci varie, per cui in futuro, a parità di tonnellaggio movimentato, sarebbe diminuita la richiesta di manodopera e quindi l’occupazione portuale, e qualunque tentativo di rallentare o frenare questo andamento avrebbe provocato contrazioni di traffico, cosa che in verità accadde.

In quegli anni, la Compagnia Unica dei Portuali contava quasi mille addetti, tutti estremamente sindacalizzati; in pratica, si trattava di mille famiglie di savonesi che vivevano sull’attività del porto – vale a dire l’industria savonese che a quel tempo dava più occupazione – e che insieme formavano un soggetto piuttosto coeso, dotato di una notevole forza contrattuale, tanto in sede sindacale quanto in termini politici.

Se, come precedente accennato, da un lato i nuovi sistemi di trasporti diminuivano l’occupazione tradizionale, dall’altro lato entrava fortunatamente in gioco un nuovo modello di relazione porto-città che portava a creare nuove opportunità, estranee sino ad ora ad un’economia strettamente mercantile del porto; questo tipo di economia nascente, che mutava la relazione porto-città e iniziava a dare risultati occupazionali in alternativa alla vecchia economia portuale, traeva le proprie origini da un nuovo settore industriale: la grande nautica da diporto.

Il porto di Boston

Porto di Baltimora e Philadelphia

Tutte le grandi città portuali, a partire da quelle americane, da Boston a New York, da Baltimora a Filadelfia, sino a quelle europee affacciate sul Mediterraneo, cominciavano a riorganizzare in senso turistico le risorse fisiche del proprio porto storico.

Per ciò che concerne la nostra città, giusto in quel periodo, come del resto accadeva nella vicina Genova, le elezioni avevano prodotto un cambio di amministrazione: a Genova diventava Sindaco il repubblicano Cesare Campart, mentre a Savona, sotto la spinta preponderante della Lega Nord, veniva eletto il Sindaco Francesco Gervasio; due sindaci che interrompevano una lunga serie di anni grigi di governo delle sinistre.

Porto di Genova

Dopo 10 anni di governo di sinistra alla guida di una Giunta Comunale Pentapartito, Cesare Campart si faceva promotore del restyling del Porto Antico di Genova, avviando i lavori sotto la regìa dell’architetto Renzo Piano. Nel mentre, a Savona, il Sindaco Gervasio, anche sotto la spinta dell’Associazione Calata Sbarbaro di cui io stesso ero socio, si apprestava a fare altrettanto, iniziando a mettere ordine nella parte più storica della vecchia darsena, dato che la parte a levante della Torretta veniva ancora adibita alle operazioni mercantili.

Vi è da dire che il buon Sindaco Gervasio non ebbe vita facile per via della strenua opposizione delle sinistre, in particolare dell’allora pasionaria di Rifondazione Comunista che, accecata dall’odio di classe, vedeva il pericolo che “i ricchi milanesi“ con le loro barche potessero colonizzare la vecchia darsena di Savona!

Ciò nonostante, il compianto Sindaco Gervasio riuscì a realizzare i propri progetti, e oggi quella zona, che a quei tempi era abbandonata e vedeva il proprio specchio acqueo pieno di relitti e imbarcazioni ormeggiate in modo disordinato, è diventata il salotto di Savona, dove i giovani trovano un luogo di aggregazione alla sera, i diportisti di passaggio – forse anche qualche  ricco milanese! – un posto barca pulito e attrezzato, e gli anziani  savonesi dei giardini fruibili durante il giorno, proprio dove prima esistevano solo dei capannoni di lamiera arrugginita il cui unico scopo era quello di fungere da riparo per le sedie e le attrezzature usate durante le feste dell’Unità – come pure per cospicue colonie di topi! – mentre l’apertura di nuovi bar e ristoranti ha creato occupazione e imprenditoria giovanile.

Porto di Savona

Arrivano le elezioni del 1998 e i savonesi eleggono sindaco Carlo Ruggeri, così le sinistre ritornano al governo della Città più o meno in concomitanza con l’abbandono del porto di Savona da parte della Zust Ambrosetti.

Specializzata nella logistica di automobili, la Zust Ambrosetti lasciava Savona per via del difficile collegamento viario tra porto e autostrada, che creava notevoli problematiche al passaggio delle sue bisarche. Ricordo l’allora presidente della Zust, il dott. Gatti, durante una cena del Propeller, a una mia precisa domanda sul perché non fosse utile usare la ferrovia, anziché le bisarche, per trasferire le automobili all’hub di Vercelli, mi rispose che sul percorso Savona-Vercelli-Savona un vagone ferroviario ci metteva 14 giorni!

A quel punto, la parte di levante della vecchia darsena si rendeva disponibile, così che un giovane imprenditore savonese, appoggiato da altri imprenditori locali tra i quali il sottoscritto, proponeva di proseguire il lavoro iniziato precedentemente dal sindaco Gervasio, con la creazione di un grande porto turistico per megayacht che arrivasse sino alle funivie, sull’esempio di successo di altri porti sparsi per il mondo.

Il progetto prevedeva la possibilità di ormeggiare un totale di circa 300 imbarcazioni, tra le quali non meno di 70 megaycht lunghi più di 50 metri. Tanto per dare un’idea al lettore, uno yacht di 50 metri ha dalle 10 alle 15 persone di equipaggio e un costo di gestione pari a 2 milioni di euro all’anno; ciò significa che tra yacht di piccole e grandi dimensioni, sarebbero state occupate circa 1.500 persone in equipaggi e oltre 200 milioni di euro sarebbero stati spesi tutti gli anni (!) per lo più nella nostra città, in consumi di vario tipo, per cui si sarebbe creata ulteriore occupazione a cascata e si sarebbe giunti ad una più profonda compenetrazione porto-città, come è di fatto avvenuto per il primo tratto della darsena, la cui bellezza e utilità sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Si sarebbe così creata una grande zona fruibile per tutti i cittadini, pulita, senza fumi, dal respiro internazionale, ma soprattutto ricca di economia e di prestigio.

Il progetto di destinare tutta la darsena a porto turistico era considerato favorevolmente dall’allora Presidente dell’Autorità Portuale ing. Sciutto, dal Presidente della Provincia Garassini, ma sfavorevolmente da tutti gli altri players, incluso il Sindaco Ruggeri.

Porto di Valencia

Porto di Nizza e Barcellona

Mentre i porti commerciali di Valencia, Barcellona, Nizza e Genova creavano porti turistici per megayacht nella zona del centro città, mantenendo le navi passeggeri nella zona portuale più lontana dal centro abitato, con i loro fumi e i loro problemi, a Savona si percorreva la strada opposta.

Per la cronaca, nell’ultimo Consiglio Comunale e per la seconda volta, i consiglieri PD hanno invitato il Sindaco Caprioglio a cercare di risolvere il problema dei rumori e dei fumi causati dalle navi da crociera che attraccano davanti alla Torretta! Il Sindaco, ha risposto cortesemente che si può fare ben poco, perché installare sotto-stazioni elettriche sarebbe impossibile, visti gli enormi carichi di energia elettrica che richiedono tali navi; l’unica possibilità di migliorare la situazione sarebbe imporre alle navi da crociera l’uso di carburante a basso tenore di zolfo, cosa che io penso sarà dura da fare accettare a breve dalla Costa Crociere; inoltre, sarebbe pur sempre carburante che continuerebbe a generare fumi in centro città, anche se decisamente meno nocivi.

Forse, se il Sindaco Gervasio fosse stato rieletto, non si sarebbe fatto condizionare (o comandare) dai sindacati dei portuali, e oggi questi problemi non li avremmo, anche se di ciò non possiamo essere certi, non avendo la controprova.

Traffico ad Albisola, fumaiolo di una nave Costa e traffico a Savona

Una certezza tuttavia vi è, ed è che presto arriveranno navi di nuova generazione, le quali da un lato useranno LNG (gas naturale liquefatto) e quindi inquineranno meno, ma saranno molto più grandi, con potenze superiori e un pescaggio maggiore, per cui ci sarà da dragare tutta la darsena, con costi attorno agli 8 milioni di euro, inclusa la zona dove scaricavano il carbone per portare il relativo pescaggio a 10 metri, quando agli alti fondali abbiamo 15 metri di profondità disponibile.

Insomma, valeva la spesa fare un tunnel per trasportare il carbone? Oppure era meglio farne uno per mettere in collegamento diretto l’Aurelia di allora e l’Aurelia bis di ora con una stazione Marittima ubicata agli alti fondali – che oltretutto avrebbe eliminato completamente il traffico dalla città – oltre ad avere anche un porto turistico, come estensione di via Paleocapa? Argomento che sarebbe stato di competenza del Sindaco quale responsabile degli interessi della Città.

Purtroppo, alla luce dei fatti, il sogno del genovese Burlando è diventato un incubo per i savonesi, ma siccome al peggio non vi è mai fine, nella prossima descriverò gli ultimi tiri mancini, incluso il “colpo di Grazia”

 SILVIO ROSSI  Consigliere LEGA NORD

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