Salvataggi a strascico
SALVATAGGI A STRASCICO
Qualcuno, mentre l’aereo precipita,
riesce a pensare positivo. Questo
articolo non è rivolto a lui, ma a chi osa
guardare senza veli la cruda realtà
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SALVATAGGI A STRASCICO
Qualcuno, mentre l’aereo precipita,
riesce a pensare positivo. Questo
articolo non è rivolto a lui, ma a chi
osa guardare senza veli la cruda realtà
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Il mio ultimo articolo terminava con questa considerazione: < Non c’è scoperta degli ultimi tre secoli che non si sia risolta, a conti fatti, in un danno anche all’intera umanità, che si presumeva esserne la fruitrice esclusiva. Ciò che sembrava risolvere problemi ne ha creato di nuovi e assai più gravi, complice l’etica utilitaristica e umanitaria.> Un boomerang, insomma.
Il nostro modus vivendi, frutto di un innesto della mentalità anglo-sassone su quella latina che, per fortuna, mostra ancora diffuse resistenze, si contraddistingue per la ricerca dell’utile, il più possibile immediato, e per il posizionamento dell’uomo al vertice di una gerarchia disegnata dall’uomo stesso. Come la cosmologia copernicana ridimensionò il ruolo della Terra nell’universo, passando dal geocentrismo all’eliocentrismo, urge un analogo ridimensionamento gerarchico dell’uomo nella catena biologica, se non addirittura l’abolizione della gerarchia stessa.
Ogni nascita è sempre stata considerata un “lieto evento”. E da noi continua ad esserlo, pur temperata dalle elevate spese per portare l’infante all’età adulta. Ma le nazioni dove le donne sono sempre “in dolce attesa” sono una minaccia per l’ecosistema globale. L’amore esclusivo per la vita umana porta al suo svilimento
Sono secoli che ci affanniamo ad elogiare la democrazia, ossia l’eguaglianza di tutti gli esseri umani, ma non “esportiamo” questa nobile visione fori della nostra cerchia, asserendo i pari diritti degli umani e di tutte le altre specie viventi, che siano animali selvatici o di allevamento: i primi minacciati di estinzione, i secondi tenuti in condizioni orribili di cattività. Gli unici a godere di diritti pari agli umani sono gli animali da salotto, sui quali mi sono già espresso. Quando raffrontiamo una carta fisica del mondo con la sua equivalente politica ci rendiamo conto di quanto artificiosa sia la seconda, con confini arbitrari designanti il possesso da parte di questa o quella nazione di vari appezzamenti di terre e acque territoriali. Queste divisioni, sancite dagli uomini, sono impensabili per la fauna selvatica e la flora spontanea, che si assestano nei luoghi ad esse più consoni: le dimore con la giusta temperatura, umidità, esposizione alla luce, ecc. per ospitare la vegetazione e gli animali erbivori; e le aree più ricche di selvaggina per i loro predatori. C’è un equilibrio labile tra gli animali e i territori che essi considerano di propria pertinenza (usufrutto, non proprietà!); e ogni loro sforzo è teso a difenderlo da intrusioni ostili. Equilibrio labile perché dipende sempre dal rapporto tra prede e predatori, e dal rapporto tra prede e cibo disponibile. Anzi, una funzione dei predatori è proprio quella di diminuire il numero di prede, affinché non diano fondo alla vegetazione edibile, se erbivore; o, se carnivore, alle loro stesse prede, se si moltiplicassero incontrollatamente. Il predatore, a sua volta, non può neanche far strage di prede, per lo stesso motivo; e si moltiplica a seconda di quante prede può divorare senza scompigliare l’equilibrio ecologico. Anche la vita media, il numero di nuovi nati e la frequenza dei parti è regolato dalla natura, affinché non si verifichi una quantità di nuove bocche incompatibili con il cibo disponibile nell’area di competenza. Se la madre ritiene di non avere latte a sufficienza per svezzare un numero eccessivo di cuccioli, non esita a trascurare i più deboli per far sopravvivere gli altri. L’etica animale non è caritatevole, ma tende soltanto alla propagazione della specie, tanto in senso spaziale quanto temporale.
Il Giorno di Sovrasfruttamento della Terra quest’anno è caduto il 22 agosto, con 20 giorni di ritardo grazie alla tregua concessa dal Covid. Al nostro ritmo di consumi, per andare a pari, avremmo bisogno che la Terra fosse del 60% più grande. Stiamo divorando il capitale terrestre. Noi ecologisti lanciammo l’allarme, inascoltati, nei primi anni ’70 (Club di Roma). Avevamo ragione. Vogliamo continuare così? Si noti nel grafico il respiro della Terra ad ogni crisi economica
L’area di pascolo e di caccia dev’essere tanto più estesa quanto meno ha da offrire. Derogare significa entrare in fibrillazione e avviarsi alla catastrofe del delicato sistema trofico. Ad es., il solitario leopardo delle nevi, menzionato nel mio precedente articolo, deve contare su un’area di caccia di centinaia di kmq, proprio per la scarsità delle prede nel suo habitat d’alta quota, così impervio, freddo ed ostile. Queste sono le regole che hanno governato il mondo da quando sono venuti emergendo i vari biomi. Una regola tutt’altro che democratica ed empatica, con specie che vivono sbranandone altre, le quali brucano erbe per poi finire in parte nelle fauci dei carnivori. Che la catena trofica sia l’apoteosi della ferocia nei confronti di esseri mansueti come gli erbivori è una constatazione che ha influenzato molto il pensiero umano sin dall’antichità. Una tale normalità, basata sul ripetersi di vite sacrificate per la sopravvivenza di altre, ha fatto sorgere già in epoche remote il mito di un paradiso terrestre dove nessun vivente che lo popoli abbia bisogno di aggredire e divorarne un altro. Nel tempo anteriore alla Caduta della prima coppia di umani, nella versione biblica del mito, tutti gli animali erano pacifici, perché nessuno, uomo compreso, doveva cibarsi né lavorare (cacciando o lavorando la terra) per vivere. La trasgressione di Eva ed Adamo alla generosa legge divina ha trascinato nella Caduta anche gli incolpevoli animali, assoggettando anch’essi al bisogno e determinando così una delle tante incongruenze di miti comuni a tutte le civiltà, anche geograficamente lontanissime tra loro, a dispetto di un mondo privo di vie e mezzi di comunicazione degni, col metro di oggi, di chiamarsi tali.
Il mitico Giardino dell’Eden, dove non c’erano prede né predatori. Non c’erano dunque appetiti, neppure sessuali e la morte vi era sconosciuta. Dopo la Caduta, causata dalla sua sete di Conoscenza, l’uomo ha cercato di ricreare quell’Eden, in oasi a sé riservate, creando il Caos fuori di esse
Tuttavia, l’uomo non s’è arreso all’anatema divino e si è profuso nei tentativi di sottrarsi alla fatica e ai disagi della vita terrena, scaricandone l’onere su altri. Al tempo stesso, s’è prodigato per moltiplicare la sua presenza sulla Terra, usando la donna come mero contenitore di nascituri, in rapida progressione geometrica, per sopperire all’alto tasso di mortalità. Per secoli e millenni, come nel caso degli equilibri dianzi visti, ci ha pensato la natura a mitigare una moltiplicazione selvaggia del genere umano attraverso la penuria di risorse e le malattie, oltre alla vastità del pianeta rispetto alle sparute tribù e in seguito villaggi e città. Un modesto contributo al contenimento demografico l’ha poi fornito l’uomo con la sua propensione alla guerra. I vari consorzi umani hanno sempre cercato di prosperare soprattutto espandendosi o migrando in territori altrui, grazie a vittorie militari e successive sottomissioni e schiavizzazione dei vinti, oppressi con alti tributi e lavori forzati. Attraverso ripetute annessioni territoriali, sono nati gli antichi imperi, di cui il più noto fu quello romano; ma altri l’avevano preceduto. A un certo punto, la sovrespansione demografica e territoriale, la pressione fiscale sulle nazioni assoggettate, lo sfruttamento del lavoro altrui, la corruzione, la burocrazia ne hanno regolarmente decretato il collasso, per l’eccessivo peso degli agi dei vincitori sui vinti.
America. Il Nuovo Eden si chiama Eldorado, ma è l’inferno per gli indigeni, che vivevano da millenni scalfendo appena il loro ambiente: decimati e costretti a seguire la nostra visione del mondo, che, inneggiando alla vita e al Vitello d’Oro, dissemina morte
Questo sistema di guerre, saccheggi e annessioni ha proceduto senza eccezioni sino alla 2° Guerra Mondiale, quando lo spettro della bomba atomica riuscì a placare gli ardori di nuovi possibili belligeranti. La fine, sia pur forzata, dello spirito guerriero, l’avanzata di sempre più raffinate tecnologie per alleviare la fatica, vincere le malattie e dare nutrimento a tutti, fece maturare, senza che ce ne si avvedesse in pieno, la mentalità salvifica del genere umano, senza distinzione di razza, religione, censo: non più la salvezza promessa post mortem nel Regno dei Cieli, ma già qui, su questa Terra. Per anni siamo stati –e siamo- la Croce Rossa di noi stessi, fieri della nobile propensione a “salvare tutti”. Senza badare ai costi immensi che si ripercuotono su tutto ciò che esula dagli umani. Si è venuto costituendo un nuovo tipo di impero, fondato, anziché sull’odio reciproco, sull’assistenza urbi et orbi, prodigandoci per salvare quante più vite umane possibile, mediante farmaci sempre più sofisticati, somministrati sia a noi che alla carne da macello delegata a vivere e ingrassare per nutrirci; mentre tutt’attorno la moria colpisce ed estingue le specie che “non ci servono”. Il mondo non aveva mai ospitato con la stessa incalzante frequenza i funerali di tutto ciò che gli uomini hanno condannato a morte, pur di vivere in un ambiente sempre più innaturale, all’insegna del mors tua vita mea. Abbiamo forzato i cicli e le regole della natura, convinti di poterle riscrivere a nostro uso e consumo.
George Soros ha dimostrato di essere un abile profittatore delle crisi, tanto da adoprarsi per crearne di nuove e trarne immensi profitti. Negli ultimi anni ha indossato le vesti umanitarie, finanziando navi ONG, dedite al trasbordo in massa di africani in Europa, portandovi il caos. Reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, agevolando il crimine dei trafficanti di uomini. E la magistratura non batte ciglio, se non per trascinare in tribunale l’unico ministro che si è opposto a questo scempio [VEDI] e [VEDI] In sostanza: sempre più uomini e sempre meno animali selvatici
La globalizzazione ha portato alle estreme conseguenze questo sistema di sfruttamento, abbattendo ogni confine territoriale, per cui chiunque può arrogarsi il diritto di invadere qualsiasi territorio per spremerne risorse, umane e ambientali. In pratica, è la continuazione, sotto mentite spoglie, del vecchio colonialismo, cominciato in Africa nei secoli precolombiani ed ampliato nelle Americhe dopo la loro scoperta e invasione. Nel contempo, masse di diseredati praticano una sorta di “contro-colonialismo”, puntando verso i territori dei loro sfruttatori. L’etica naturale li respingerebbe a forza; e certe nazioni, meno permeate dall’etica umanitaria, in effetti lo fanno; mentre da noi prevale l’impulso al salvataggio, forse a placare i sensi di colpa della nostra vita sulle spalle altrui.
Effetti “collaterali” del nostro saccheggio del pianeta: il “fuoco amico” in California e ovunque ci sia vegetazione da ardere. Però lanciamo piani di rinsavimento… per il 2050
L’ipocrisia ha verniciato di etica umanitaria l’irruzione della civiltà europea in continenti visti soltanto come terre da sfruttare, pretendendo di liberare le popolazioni autoctone dalle loro religioni, declassate a superstizioni, non ché stili di vita “selvaggi”, con la conversione al cristianesimo e imponendo l’adozione della nostra way of life. La combinazione di sfruttamento ambientale ed etica umanitaria, tesa cioè a spazzar via gli equilibri demografici pre-invasione, salvando quante più vite umane possibile, ha innescato una deflagrazione letale, in quanto la moltiplicazione agevolata di bocche da sfamare, attraverso la conversione dell’agricoltura da tradizionale ad industriale (un ossimoro!), orientata più a prodotti di esportazione che di consumo locale (e taccio qui della stanchezza ed avvelenamento della terra coltivabile), ha trasformato gli indigeni in consumatori di prodotti d’importazione, quindi troppo cari per le loro tasche. Donde la nuova miseria indotta e la fuga dai territori natii. Di più, le vecchie e radicate abitudini, in primis quella di fare sesso senza freni né precauzioni, che aveva un senso quando la mortalità infantile era altissima e, per contro, c’era enorme bisogno di braccia, non sono state superate, e le donne passano ancora da una gravidanza all’altra; ma gli eventi non sono più “lieti”, in quanto il numero di nati e cresciuti non è più contenuto dalla selezione naturale, e la nuova etica di salvataggi di stampo europeo ne ha preso il posto, gonfiando il rapporto tra abitanti e territori.
Intanto, nel 2020, questi sono i buoni propositi (articoletto da La Stampa del 9/09/2020). A Vado siamo passati dal carbone al gas e abbattuta una ciminiera. In Cina, che lavora soprattutto per l’esportazione, quindi anche per noi, i passi li fanno da gigante: 100 nuove centrali a carbone sporco, oltre alle centinaia esistenti. Devono ricuperare il Pil e l’inquinamento perso durante i mesi del lockdown. La lezione del Covid non è servita a nulla
La convivenza di abitudini pregresse, di nuovi stili di vita, del suo prolungamento, del saccheggio di risorse ad uso e consumo degli occidentali, dell’incestuoso sistema di import-export, ha prodotto il boom demografico afro-asiatico che porta a trasformare il surplus di uomini dei Paesi “emergenti” in mine vaganti. Viene consequenziale, anche se ciascuno lo tiene per sè, l’accostamento dell’uomo alle erbe infestanti; mentre dal rispetto per la vita, che era alla base dei salvataggi, si finisce con l’azzerarne il valore. La visione di certe città brulicanti di gente e di macchine fornisce un quadro eloquente di questi retropensieri.
Anche i giornali di regime, con almeno 30 anni di ritardo, si stanno accorgendo che fare piazza pulita di ogni specie vivente per accomodare soltanto la nostra porta al disastro. Articoli di questo tenore sono però mosche bianche in mezzo al 99% che dicono esattamente il contrario; e non osano arrivare alla causa prima
Le isole galleggianti di plastiche negli oceani sono di provenienza quasi esclusiva dai fiumi afro-asiatici, ancora una volta perché le popolazioni sono passate repentinamente da sistemi di vita agro-pastorali, dove ogni prodotto di scarto si riciclava spontaneamente, al nostro usa-e-getta, buttando nell’ambiente la caterva di contenitori in plastica della civiltà dei consumi, divenuta anche la loro. Insomma, abbiamo zelantemente smontato un’organizzazione produttiva circolare trasformandola in lineare, con la non trascurabile differenza che la prima ha sempre dinanzi a sé un futuro prevedibile e sostenibile, mentre la seconda brancola nel buio, nonostante i suoi sofisticati sistemi previsionali.
Siamo passati da un’economia ciclica ad una lineare, privilegiando la crescita degli umani, dei loro consumi e rifiuti. Se non torneremo ad un’economia circolare –e non ne vedo i presupposti concreti- quella lineare ci porterà a sbattere, nuotando nei nostri rifiuti
I focolai del Covid sono un tentativo della natura di sfoltire il carico insostenibile di esseri umani; al quale però si oppone lo sforzo ciclopico, in termini economici ed ecologici, di tutti i governi per arginare i contagi e salvare quante più persone possibile. Non si vuole il ripetersi delle ecatombi causate dalle ricorrenti pandemie, che arrivavano a dimezzare o anche più le popolazioni esistenti. E così le curve della crescita demografica e del dissesto planetario continueranno implacabili. L’etica naturale ne risulterà violata, ma l’etica umanitaria sarà salva e soddisfatta.
Marco Giacinto Pellifroni 13 settembre 2020 |