ROULETTE RUSSA [Parte II]
Nella Parte I abbiamo visto che il tentativo di scrollarsi di dosso il sistema monetario incentrato sui petrodollari, inchinandosi allo strapotere finanziario americano, venne soffocato con azioni militari cruente da parte degli USA contro l’Iraq di Saddam Hussein e da parte della NATO contro la Libia di Gheddafi. L’attacco su più fronti fu portato a termine con la defenestrazione di Mubarak in Egitto; mentre il Sudan, che si era accodato a Libia ed Egitto per il lancio di una valuta panafricana, venne smembrato e ridotto al silenzio.
Si è dovuto aspettare più di un decennio per assistere ad un rinnovato tentativo di replicare l’attacco al sistema America-centrico; questa volta da parte di una grande potenza: la Russia.
L’invasione dell’Ucraina causò una violenta reazione da parte delle nazioni occidentali, anche contro i propri immediati interessi da parte di alcune, Italia e Germania in testa, come per un improvviso palpito di umanità, sino allora soffocata da gretti calcoli economici. A fare da capofila fu la nazione che più aveva da perdere da un cambio dell’attuale ordine mondiale: gli USA. Le azioni ostili contro la Russia furono analoghe ad un attacco militare:
- congelamento di quasi metà dei $ 640 miliardi di fondi russi in oro e valute estere detenuti in banche occidentali; [VEDI]
- esclusione di molte grandi banche russe dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT;
- controlli sull’esportazione di prodotti a tecnologia avanzata verso la Russia;
- divieto di accesso a porti e aeroporti a navi ed aerei russi;
- sanzioni personali contro alti dirigenti ed oligarchi russi, nonché loro parenti.
Queste misure causarono una corsa agli sportelli dei cittadini russi, preoccupati del tracollo del rublo, in un replay di quanto accaduto negli USA nei primi anni ’70, con la quadruplicazione del prezzo del petrolio, ergo una svalutazione di fatto del dollaro.
La reazione di Putin non si fece attendere. Con la premessa che il blocco dei fondi russi in banche estere era una illecita violazione della fiducia nell’attuale assetto monetario, venne decretata la fine dei pagamenti di prodotti russi di esportazione in dollari o euro, imponendo invece l’uso del rublo (o dell’oro), limitando però questo obbligo ai Paesi ostili, tra i quali l’Italia, guidata da un Draghi subito schierato con i suoi ministri a fianco dell’Ucraina. I Paesi “amici” potevano invece far uso della propria valuta o dei bitcoin. Nonostante il fronte occidentale rifiutasse la richiesta russa, definendola a sua volta una violazione dei contratti in essere, il rublo rimbalzò ai valori ante guerra.
La risalita del rublo è attribuibile al fatto che la Russia è un grande esportatore di materiali di primaria importanza, che non si limitano al petrolio e al gas, ma spaziano dal legname al grano, dai fertilizzanti ai metalli pregiati alle terre rare, indispensabili per i prodotti tecnologici di ampio spettro, dai cellulari alle auto elettriche e così via. L’obbligo di usare rubli per il loro acquisto è di fatto una replica, come già accennato, di quanto accadde nei primi anni ’70, quando il mondo fu costretto ad acquistare dollari per pagare il petrolio OPEC; così come oggi deve acquistare rubli per l’acquisto di beni russi, aumentandone il rapporto di cambio con le altre divise.
Come argutamente sostenne già all’epoca dell’annessione russa della Crimea nel 2014 l’economista professor Michael Hudson, da me già citato in miei scritti di diversi anni fa, “la Russia era rimasta troppo abbagliata dall’ideologia del libero mercato per varare misure a protezione della sua propria agricoltura e industria. A compiere passi in tal senso ci hanno pensato, con le sanzioni, gli USA, portandola verso l’auto-sufficienza (o autarchia che dir si voglia). La Russia s’è accorta che non avrebbe bisogno del dollaro a sostegno della quotazione del rublo, dal momento che la sua Banca Centrale, se promossa a istituto di proprietà pubblica, potrebbe creare tutti i rubli necessari a pagare gli stipendi domestici e a formare i propri capitali. In sostanza, la Russia fu spinta dalle confische a fare ciò che sino allora non aveva osato fare, e che le altre nazioni occidentali continuano a non fare: liberarsi del cappio al collo di IMF (Fondo Monetario Internazionale), Banca Mondiale e altre armi dell’arsenale diplomatico USA.” [VEDI] In effetti, l’abuso di sanzioni contro la Russia ha finito con lo spingerla sempre più a Est, con l’istituzione dell’EAEU (Unione Economica Eurasiatica), [VEDI] che si è proposta di seguire l’esempio del modello americano, precipuamente con la conversione della Banca di Russia in una Banca Pubblica, in grado cioè di emettere la propria valuta senza prestiti né interessi, come invece avviene nel mondo occidentale. Come ho già più volte sostenuto in numerosi miei scritti, il valore di una valuta nei confronti delle altre è dato in primis dal proprio bilancio import-export, scendendo quando l’import sopravanza l’export, e viceversa. Se una valuta che importa molto più di quanto esporta ne soffre in misura ridotta (leggi: dollaro), il suo valore è sostenuto, più che dal mercato, dalla sua potenza militare.La vicenda russa dimostra che una tantum un po’ di digiuno aguzza l’ingegno e l’arte di “arrangiarsi” con i propri mezzi, come la stessa Italia dimostrò negli anni ’30 dopo le sanzioni per le sue conquiste nel Corno d’Africa. L’eccessiva dipendenza da risorse esogene crea invece pericolose dipendenze ed esposizioni a ricatti, sconfessando così gli infantili entusiasmi per una globalizzazione intesa come reperimento di merci e servizi ovunque costino meno, arrivando al paradosso di parcellizzare sempre più ogni prodotto finito in n pezzi fabbricati in n Paesi diversi e remoti, esponendo l’assemblaggio finale ai rischi sia di fabbricazione che di trasporti, bloccando intere filiere produttive.
Un altro punto che gli USA dovrebbero considerare è che continuare a fregiare il dollaro della qualifica di valuta di riserva globale non fa che accrescerne l’emissione, onde star dietro alla crescita degli scambi e del conseguente Pil mondiale. [VEDI] Se inizialmente tale posizione dominante era vista come un privilegio, oggi rivela il suo lato negativo di peso crescente del debito USA che ne consegue verso Paesi terzi, [VEDI] che ne ricavano un interesse e sono sempre meno propensi a convertirli in treasuries, ossia Buoni del Tesoro di una nazione la cui frazione di Pil rispetto a quello mondiale va sempre più abbassandosi, rendendo pertanto l’attuale sistema monetario troppo sbilanciato a favore di una nazione il cui peso economico mondiale sta via via riducendosi. Non è certo un caso che i maggiori detentori di dollari, Russia, Cina e India, nonché molti altri, ne abbiano alleggerito il carico, accrescendo invece le proprie riserve auree e utilizzando quei dollari in progetti domestici e in acquisti di aziende e terreni in giro per il mondo, in particolare in Africa.
L’essere gli USA un gigante monetario con i piedi d’argilla ha finito col creare una crescente de-industrializzazione e un debito pubblico stellare, favorendo l’ingresso di un sovranista come Trump alla Casa Bianca. Trump osò praticare dazi sulla importazione di materie prime di base, come acciaio e alluminio, rovesciando un sistema di liberi scambi globali. E mai come oggi l’America è divisa in due opposte fazioni, con Biden che sta mostrando una totale incapacità di comprendere le estreme, e negative, conseguenze cui la sua ossessione sanzionatoria verso la Russia finirà con l’esporre il suo stesso Paese; e, peggio ancora, le nazioni europee, molto più esposte di USA e UK (guarda caso i più accaniti sostenitori delle sanzioni) a soffrire per l’inflazione galoppante, non solo delle materie energetiche, ma anche alimentari, grano in testa, in buona parte non più fornito da Russia e Ucraina. Ma anche gli stessi americani sono infuriati per il prezzo della benzina alla pompa; e le prossime elezioni mid term di novembre potrebbero portare brutte sorprese a Biden, ritenuto responsabile dei rincari.
Le crescenti sanzioni alla Russia hanno raggiunto lo stesso inopinato risultato che sarebbe conseguito da dazi autoimposti per proteggere la propria economia da importazioni troppo a buon mercato. E gli USA non hanno fatto che accelerare il processo di de-dollarizzazione in corso in Asia, con lo yuan come valuta di riferimento al posto del dollaro: non solo la Russia, ma anche Cina ed India, stanno stringendo accordi con l’ex fedele alleata degli USA, l’Arabia Saudita, per pagare il suo petrolio in yuan. Vediamo un raffronto per valutare appieno le dimensioni del fenomeno, con gli USA incidenti per meno di 1/3 sul volume di scambi.
Petrolio da Arabia Saudita a:
– USA = 500.000 barili/giorno;
– Russia = 1,6 milioni barili/giorno;
– Cina = 1,76 milioni barili/giorno
Fonte: [VEDI]
In conclusione, gli USA stanno spingendo nazioni che non avrebbero osato farlo, a compiere il gran passo del divorzio dall’attuale sistema monetario America-centrico, nonché dalla globalizzazione, che ha dimostrato tutte le sue pecche.
Se finora tali nazioni sono state in area asiatica, è giocoforza che, più prima che poi, anche le nazioni europee si risveglieranno dal lungo letargo (“sogno americano”), e opteranno per tutelare i propri interessi, rendendosi conto che gli USA sono in realtà più minacciosi della Russia. In attesa di quel giorno, con governi atlantisti e privi di un controllo delle frontiere, la tenuta sociale –leggi ordine pubblico- verrà mantenuta solo con squadroni di polizia commisurati alla pressione fiscale, [VEDI ] che cresce perversamente al crescere delle aziende che lavorano in perdita, mentre in Russia 447 imprese italiane, con investimenti per 11 miliardi, sono abbandonate a se stesse. [VEDI]Marco Giacinto Pellifroni 17 aprile 2022