Riflessioni sul significato della parola Turismo

 Riflessioni sul significato

della parola Turismo

Riflessioni sul significato della parola Turismo
I primi ricordi che accomuno con la parola TURISMO, sono quelli relativi ad un paio di pensioni a conduzione familiare con i ‘bagni al piano’ ed ai campeggi fronte mare, con i tedeschi che mangiavano la pasta con la marmellata (ketchup). Per il resto, fino agli inizi degli anni sessanta, nella nostra vallata tutto ruotava attorno ad un’economia prettamente rurale. Forse per questo, o meglio per evitare questo, si decise in famiglia che per me l’unica possibilità di un’educazione ‘superiore’ – per ragioni economiche e geografiche – fosse la nuova scuola alberghiera di Alassio.


 E fu così che approdai a questo universo per me così nuovo e, a dir la verità, alquanto misterioso. Andare a scuola ogni giorno in giacca e cravatta era, a dir poco, inconsueto. Ma mi ci abituai presto, e poi mia madre ne era molto orgogliosa. Per quanto riguarda i compagni d’avventura, questi erano come me ‘figli della terra’ delle vallate e colline rivierasche, a parte un paio di rampolli di famiglie di albergatori, che tra l’altro si scoprirono poi alquanto impreparati e per di più svogliati. Su questa falsa riga anche la truppa degli insegnanti, con una variante: Per fortuna nostra gli insegnanti delle materie ‘pratiche’ -direttori d’albergo, cuochi e maître- erano veramente molto professionali ed abili a coinvolgere nel progetto anche gli altri insegnanti, completamente a digiuno, non solo di conoscenze specifiche turistico-alberghiere, ma anche di esperienze presso scuole di indirizzo professionale. Ne nacque così un’avventura tutta da sviluppare e condividere, proprio negli anni che vedevano sbocciare in Riviera il fenomeno del turismo di massa. Il significato di questo fenomeno era, per gli addetti ai lavori (albergatori, lavoratori del settore, bagnini, proprietari di bar e ristoranti) la possibilità di far soldi in fretta, senza andarci troppo per il sottile! Per la maggior parte dei miei coetanei significava soprattutto una marea di giovani bionde teutoniche e scandinave. Tutte ancora da scoprire. Per me ed alcuni miei commilitoni invece, questo fenomeno rappresentava la possibilità unica di constatare, sulla base delle nozioni della scuola alberghiera, e delle prime esperienze pratiche durante l’estate, come il termine TURISMO non si deve intendere.


L’albergatore (muratore con la mamma cuoca che si era costruito l’alberghetto) che gira grondando sudore fra i tavoli della sala da pranzo chiedendo ad alta voce: ‘Carne o pesce …Carne o pesce’ si affianca al gestore di spiaggia che tenta di forzare una ben conosciuta legge fisica: ‘Dove c’è un corpo, non ce ne può stare un altro’. Solo due esempi classici di mancanza di rispetto e di lungimiranza, e di sfruttamento sfacciato della situazione. Comportamenti che hanno portato in breve tempo all’estinzione del turista straniero sulla costa rivierasca e a ridurre la stagione al periodo delle vacanze scolastiche in Italia. La rivoluzione -in Europa- nel campo del turismo, iniziata alla fine degli anni settanta, ha trovato il mondo operante del turismo italiano ed in particolare rivierasco impreparato, nonché restio a svilupparsi ed a cambiare. Il cliente chiedeva nuove forme di soggiorno con un’offerta duttile dei servizi e gli si offriva -come sempre- la pensione completa, o al massimo la mezza pensione, quasi allo stesso prezzo della completa….). Se era fortunato riceveva pure, a caro prezzo, un posto decente in spiaggia. Nello stesso tempo altre destinazioni dell’area mediterranea facevano a gara con nuove idee ed offerte per vitalizzare il soggiorno dei clienti. Per fare un piccolissimo esempio: La collaborazione degli alberghi con ristoranti del luogo per dare loro la possibilità della diversificazione dei pasti nell’ambito del trattamento di pensione. Certo, molte iniziative venivano dai Tour Operator -razza che in pochi anni si era quasi estinta in Riviera- ma allora, in mancanza di tali, queste iniziative avrebbero dovuto essere prese da associazioni di categoria ed enti locali.


Non era neanche necessario inventarsele. Bastava copiarle. Mentre questo non avveniva e gli interessi dell’industria delle vacanze si spostavano verso le mete a sud del Mediterraneo, io ero alle prese -all’estero- con le mie esperienze in ogni settore dell’universo chiamato turismo: Trasporto aereo, ricezione alberghiera, tour operator, turismo congressuale, viaggi incentivi e gestione di eventi. Durante questo periodo ho incontrato molti Liguri, più o meno della mia età, anche loro operanti nei settori più avanzati dell’industria turistica, e anche loro -o molti di essi- come imprenditori. Scappati da, o non più pronti a tornare a una situazione non soddisfacente di come il turismo veniva vissuto in ‘Patria’. In pochi anni si arrivò a constatare che in Riviera esisteva una capacità ricettiva superiore al fabbisogno, o perlomeno non richiesta dal mercato, anche per un’obbiettiva carenza di qualità. Molti di questi fabbricati ‘in esubero’ furono trasformati in Residence oppure in appartamenti che, andando ad unirsi ad una scellerata politica edilizia di moltissime località, contribuirono alla nascita del così detto ‘Turismo delle seconde case’. Fenomeno che all’apparenza sembrava accontentare tutti: Le amministrazioni locali con un esorbitante incremento di introiti e la popolazione operante nell’edilizia e attività derivate, commerciali o di servizi. Senza parlare poi dei proprietari di terreni fabbricabili.

Accontentare tutti, ma solo in apparenza, perché l’espandersi del ‘Turismo delle seconde case’ ha contribuito a destabilizzare la situazione di quello classico. Le amministrazioni e le associazioni di categoria si sentono ‘costrette’ ad investire più in attività propense a soddisfare i presunti desideri dei ‘secondi’ cittadini che quelli dei ‘turisti’. Oltre a questo, l’attenzione esagerata per i ‘secondi’ cittadini può portare a disattenzione per i ‘primi’. Ad esempio quando la cura del territorio si concentra nella zona fino a poche centinaia di metri dal mare. Il problema per questo tipo di ‘Turismo’ è che non lascia possibilità di far marcia indietro. I MOSTRI di cemento con le persiane chiuse nove mesi all’anno ormai ci sono! Non c’è discussione che tenga, e non c’è possibilità di ‘riciclarli’ in un altro tipo di economia. L’altro problema è che questo tipo di ‘Turismo’ non è blindato; Con le generazioni cambiano anche le abitudini e i desideri. Magari di usare tempo e denaro a disposizione per un altro tipo di vacanze, visitando altre mete. La generazione che ha creato la seconda casa si sta estinguendo, mentre la seguente può avere altri indirizzi. Morale della favola: Località che hanno deciso per le seconde case, avranno sempre meno possibilità di sviluppare ancora un’economia basata -anche solo in parte- sul turismo classico, oppure su quello, diciamo alternativo. Perché, come già detto, il territorio già saturo di cemento non ne sopporta altro per eventuali nuove strutture ricettive, che tra l’altro sarebbero penalizzate qualitativamente dall’urbanizzazione esistente. Ci troviamo così con un numero di località di ‘prima fascia’ che in verità si salvano da un anno all’altro con la breve stagione, week-end e ponti vari, ma senza una solida prospettiva per il futuro. La seconda fascia, che accomuna pure una parte del turismo delle ‘seconde case’ ha ancora meno assi nella manica per attirare clientela. Ma soprattutto una grande carenza di idee valide.


Dopo tutti questi anni sono arrivato alla conclusione che un qualsiasi essere umano può essere ‘apostrofato’ TURISTA, quando ha pernottato almeno una notte in una struttura ricettiva e consumato un pasto in un ristorante del posto. In caso contrario è un semplice VISITATORE, che eventualmente ha fatto uso delle risorse della località provocando solo costi. Basta concentrarsi sull’esempio degli eventi sportivi. Nella maggior parte dei casi partecipanti e sostenitori (pochissimi) arrivano al mattino o al massimo la sera prima in Camper, che naturalmente vengono ospitati gratuitamente in aree messe a disposizione dalla località organizzatrice. Poco dopo la fine della gara e dell’immancabili rinfresco offerto dall’organizzazione: Tutti a casa, con un profitto a dir poco misero per le strutture ricettive, commerciali e gastronomiche locali. Un simile destino accomuna anche le altre manifestazioni: Sagre, Feste della Birra o del Vino, Balli, Sfilate Fuochi d’artificio. Il loro successo di pubblico e costituito da visitatori che vengono da località limitrofe solo per l’evento. Per carità! Non si vuole demonizzare nessuno, ma non si può far credere che questi eventi siano pedine basilari per lo sviluppo del TURISMO. Un fatto che stupisce non poco, soprattutto ora che viviamo in un mondo con tecniche avanzatissime in ogni campo, è la quasi totale mancanza di monitoraggio professionale del cosiddetto ‘return on investment’ per queste manifestazioni. Per giustificare l’impegno di risorse bisogna poter metter a riscontro un valore acquisito, in termini economici -attuali e di prospettiva-  e non solo di immagine presunta. La semplice affermazione che queste manifestazioni ‘fanno bene al turismo’ sconfessa chi la fa e prende in giro chi questa tematica cerca di illustrarla professionalmente. In realtà il problema è la mancanza -in molte località rivierasche- di serie politiche per lo SVILUPPO del turismo, che vadano oltre alla distribuzione di locandine a manifestazioni del settore, ad inserzioni nei media, magari collegate ad inviti di soggiorno per giornalisti. Tutto questo si può classificare al massimo come acquisto di servizi pubblicitari.

  

I momenti più pericolosi per la ricerca e creazione di idee valide per lo sviluppo dell’industria turistica, sono quelli in cui i numeri vengono segnalati positivi, sia per presenze che per pernottamenti. Come ad esempio negli ultimi due anni (2015/2016). Tutti a sorridere e a scambiarsi pacche sulle spalle, come se questi risultati avessero a che fare con un incremento della qualità dei servizi. Eh no signori! Prendete una mappa del Mediterraneo e scorrete con l’indice la costa meridionale, dal Marocco fino alla Turchia, ed in più la Grecia. Quante destinazioni turistiche potete contare normalmente concorrenti dell’Italia e quindi della Liguria? E quante di queste sono afflitte da situazioni politiche alquanto instabili? Quasi tutte. Centinaia di miglia di turisti che non vogliono correre rischi e si decidono per alternative, tra cui l’Italia.

Vista però la velocità con cui situazioni politiche, ma anche desideri della clientela cambiano, è imperativo per località turistiche della riviera, che basano la loro economia quasi esclusivamente sulla ‘spiaggia’, sviluppare un’offerta diversificata, cercando di integrare in modo concreto, attivo e strutturato le altre risorse del posto. Ad oggi l’integrazione del territorio nelle politiche turistiche si estingue in visite a qualche sito storico o all’eterna presentazione -in tutte le salse- di prodotti tipici. E parlando di siti storici è semplicemente triste vederne non pochi che, dopo essere stati ristrutturati con ingenti somme di denaro, rimangono semplicemente chiusi al pubblico e ricadono così, piano piano, nell’antico degrado. In tutto si può senz’altro fare di più e di meglio. Ma non posso essere io a dare le risposte sul come. In zona esiste una generazione giovane ed istruita che potrebbe avere i numeri per far fare il necessario salto di qualità all’industria turistica. Basta, per cominciare, scrollarsi di dosso la zavorra provinciale, e poi imparare a pensare e parlare ‘europeo’. In questa casa europea, con un enorme potenziale di clientela, esistono operatori turistici propensi ad imboccare nuove vie ed a sposare nuove idee per creare offerte più inclusive con il coinvolgimento delle ‘forze’ e realtà locali. Offerte da posizionare magari come supplemento alla classica vacanza al mare.  Mi permetto di fare un esempio: Mi guardo attorno e vedo, in molte delle località della famosa ‘seconda fascia’, un numero in continuo aumento di terreni agricoli in abbandono, che oltretutto sono una macchia sull’immagine dell’industria turistica esistente. Sento poi di un gran numero di giovani senza un futuro apprezzabile. Varrebbe forse la pena, per imprenditori, associazioni di categoria ed amministrazioni di uscire dall’eterno sentiero battuto ed ‘inventare’ qualcosa di veramente nuovo basato su queste risorse.

Paolo Bianco

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