Riflessioni su un libro del matematico savonese Bruno Spotorno
Riflessioni su un libro del matematico savonese Bruno Spotorno.
E’ VERO CHE LA NEVE E’ BIANCA?
(VARIAZIONI IN LINGUA VOLGARE SUL TEOREMA DI GOEDEL)
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Riflessioni su un libro del matematico savonese Bruno Spotorno. E’ VERO CHE LA NEVE E’ BIANCA?
(VARIAZIONI IN LINGUA VOLGARE SUL TEOREMA DI GOEDEL)
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Per rispondere alla domanda formulata nel titolo occorrono, a lume di logica elementare, almeno tre condizioni: 1. Conoscere il codice “lingua italiana”. 2. Conoscere il significato dell’espressione “essere vero”. 3. Aver visto la neve almeno una volta. Ma basta una volta sola? E se, per ipotesi, io avessi visto solo una neve sporca e fangosa? Dunque, per rispondere alla domanda del titolo, devo aver visto la neve nei suoi diversi aspetti, e solo se ho un’adeguata esperienza del fenomeno “neve” posso rispondere al mio scettico interlocutore (che o non ha mai visto un campo innevato o una bella nevicata, oppure finge di non credere ai propri occhi). |
E come risponderò, dal momento che non sempre la neve è bianca? Semplice: “Caro mio, la neve è bianca solo quando è bianca”. Oppure: “Se la neve è bianca, allora è vero che la neve è bianca”; o anche: “E’ vero che la neve è bianca se e solo se la neve è bianca”. Ineccepibile, non vi pare? Tanto che non è nemmeno più necessario aspettare che nevichi per averne conferma. La verità della mia affermazione è tutta interna alla proposizione, ma la proposizione stessa non avrebbe senso se non esistesse la neve, che, a sua volta, è un fenomeno naturale appartenente a quell’insieme interconnesso di fenomeni chiamato “mondo” o “universo”. Quindi le mie asserzioni sono vere o false soltanto se corrispondono o meno allo stato delle cose del mondo? E di quale mondo? C’è forse un mondo identico per tutti e dato una volta per sempre? Inoltre, la domanda formulata nel titolo allude anche – e forse soprattutto – all’impossibilità di conoscere il “vero” colore della neve, che a noi appare in un certo modo, ma, appunto, solo ai nostri occhi che non possono andare oltre la loro portata o “virtù” visiva. E poi il mondo è solo quello che percepiamo con i nostri sensi o esiste anche un mondo invisibile ma non per questo meno reale, come, per esempio, il mondo degli oggetti matematici, esistenti di per sé, in una specie di iperuranio platonico? E ci sono altre verità oggettive oltre a quelle dei postulati, degli assiomi e dei teoremi della matematica? E in tal caso, come possiamo conoscerle? Insomma, il linguaggio della verità è unico o la verità parla in tante lingue diverse? Come il paziente lettore avrà compreso, ci troviamo dinanzi ad alcune delle domande che l’umanità si pone da circa duemilacinquecento anni, e che riguardano non solo la logica e la matematica ma la possibilità stessa di conoscere veramente un oggetto, e anche – al di qua dei massimi sistemi del mondo – i fondamenti della fede e dei valori che ci guidano (se ci guidano) nella vita. Nel porsi queste domande, il matematico savonese Bruno Spotorno spazia, in quello che chiama “racconto” sul teorema di Goedel (dedicato alla nipote Valeria perché, le scrive in apertura: “un giorno mi hai chiesto di raccontarti qualche cosa di Logica”) dalla notte oscura di San Giovanni della Croce alla fede come comunione e come capacità di creare bellezza e armonia tra gli uomini, il mondo e Dio di Enzo Bianchi; dagli Elementi di Euclide ai Principia Matematica di Russell e Whitehead; dalla verità come adaequatio rei et intellectus di Tommaso d’Aquino al concetto di tempo psicologico di Francesco Severi; dalla geometria cartesiana ai cinque enunciati di Giuseppe Peano; dal livello intuitivo di Wittgenstein al livello giuridico-formale delle regole di costruzione e trasformazione delle sequenze di segni di Hilbert; dal Sistema periodico di Primo Levi all’Essere finito ed Essere eterno di Edith Stein; dalla sorte del gatto di Schroedinger (vivo? morto? né vivo né morto?) all’Eterna Ghirlanda Brillante (Goedel, Escher, Bach) di Douglas R. Hofstadter; dalla professione di fede del fisico musulmano Abdus Salam all’esortazione rivolta da Giovanni Paolo II agli scienziati e ai teologi affinché collaborino e rinvigoriscano reciprocamente teologia e scienza…(Cfr.Una sinfonia intellettuale. Il teorema di Goedel, Natrusso communication, 2007). |
Da questo semplice e incompleto elenco dei temi e degli autori citati si vede subito che la “narrazione” sconfina spesso dagli stretti limiti del linguaggio artificiale della logica formale, e pour cause , dal momento che uno dei motivi conduttori dell’opera è proprio quello dei limiti del nostro intelletto e del rapporto fra Scienza e Fede (“che è rimasto sottotraccia lungo tutto il racconto ed è necessariamente e finalmente venuto in luce”). Un altro motivo conduttore è quello dell’intima connessione tra la matematica e le più alte espressioni dell’arte, tanto che “qualcuno ha parlato del teorema di Goedel come di una sinfonia intellettuale. |
Può essere enfatico. Ma un fatto è certo: le sinfonie, dico della sinfonie musicali, più si ascoltano più si riesce a partecipare del loro significato. Così è per le grandi costruzioni della scienza, la cui esaltante conoscenza si gode solo al caro prezzo di una lunga pazienza.” Ma in che cosa il Teorema di Incompletezza di Kurt Goedel è analogo a una sinfonia o, meglio, a una Fuga o a un Canone Eternamente Ascendente di J. S. Bach e alle figurazioni fantastiche del grafico olandese M. C. Escher? Non si può rispondere a questa domanda senza passare attraverso il fenomeno che Douglas R. Hofstadter ha definito “Strano Anello”. In che cosa consiste? “Nel fatto di ritrovarsi inaspettatamente, salendo o scendendo lungo i gradini di qualche sistema gerarchico, al punto di partenza”. Si tratta dunque di una forma o struttura “ricorsiva” che possiamo riconoscere facilmente ascoltando, per esempio, il “Canon per Tonos” nell’Offerta musicale di Bach, o guardando la litografia di Escher intitolata “Salita e discesa”. Il fenomeno dello Strano Anello lo ritroviamo anche nei paradossi e nelle antinomie come quella famosa del mentitore, detta anche di Epimenide cretese, che affermò: “Tutti i cretesi sono bugiardi”; ed è come dire: ”Non credete a quello che dico”, oppure: “Questa affermazione è falsa”; ma se fosse veramente falsa, allora sarebbe vera, e se fosse invece vera, allora sarebbe falsa. Insomma siamo presi in un circolo vizioso e non sappiamo come uscirne. Qui non ha più corso la consueta suddivisione degli enunciati in veri e falsi, dunque non potremo mai sapere se Epimenide è sincero o bugiardo. Ma che cosa ha a che vedere tutto questo con il teorema di Goedel? “Negli esempi di Strani Anelli che abbiamo visti in Bach e in Escher – scrive Hofstadter (1979) – c’è un conflitto tra finito e infinito, e quindi un forte senso di paradosso. Si percepisce che vi è un sottofondo matematico. E infatti, nel nostro secolo, è stato scoperto un equivalente matematico di quei fenomeni che ha provocato ripercussioni enormi. Il paradosso di Epimenide è uno Strano Anello con un’ unica componente, come nella Mano che disegna se stessa di Escher. Ma come avviene il collegamento con la matematica? E’ proprio questa la scoperta di Goedel: egli pensò di utilizzare il ragionamento matematico per esplorare il ragionamento matematico stesso. Questa idea di rendere la matematica introspettiva si rivelò estremamente potente, e forse la sua conseguenza più profonda è proprio il Teorema di Incompletezza”. Tradotto in volgare il teorema afferma che “Tutte le assiomatizzazioni coerenti dell’aritmetica contengono proposizioni indecidibili”, cioè proposizioni che non ammettono alcuna dimostrazione nei sistemi assiomatici come quello dei Principia Matematica, elaborati proprio per estromettere gli Strani Anelli dalla logica, dalla teoria degli insiemi e dall’aritmetica; ma la non dimostrabilità di un enunciato non significa che questo sia falso. In altri termini: in matematica non tutto è dimostrabile, ma la non dimostrabilità di un enunciato matematico non significa la sua non verità, e quindi la verità , in certi casi, è indimostrabile. “Perciò il Teorema di Goedel ebbe un effetto elettrizzante sui logici, sui matematici e sui filosofi interessati ai fondamenti della matematica, poiché mostrava che nessun determinato sistema , per quanto complicato esso fosse, poteva rappresentare la complessità dei numeri interi: 0, 1, 2, 3…….” Ed ecco che siamo tornati al punto di partenza. “E’ consuetudine – scrive Bruno Spotorno – ricordare a questo punto le figure di Escher, gli alberi di Mondrian, i cenni alla musica di Bach, di Mozart e di Beethoven; un richiamo ai temi delle arti figurative, pittoriche e della musica: inutili abbellimenti per un dialogo impossibile?”. Ma tutto il “racconto” è lì a dimostrare (in senso etimologico non matematico!) che questo dialogo non solo è possibile ma anche necessario: come sarebbero state realizzate, poniamo, le grandi opere d’arte della classicità e del Rinascimento senza tener conto della “divina proporzione” che gli artisti greci e i pittori, scultori e architetti del nostro Quattrocento e Cinquecento ricercavano nella figura umana e nella dimensione degli edifici? E come sarebbe immaginabile la composizione della Nona sinfonia senza il calcolo degli intervalli nella scala tonale e della durata delle note e delle pause? Infatti: “Un unico tema guida quelle riflessioni: il concetto di trasformazione. Un concetto tipicamente matematico.”. E un fiocco di neve non è anch’esso un’opera d’arte, sia pure effimera? E disegnata da chi? Ma qui conviene fermarsi se non vogliamo entrare in uno Strano Anello o in una fuga infinita di J . S. Bach. FULVIO SGUERSO |