RICORDANDO GIANNI VATTIMO
Ho alcuni ricordi personali della figura del Maestro Gianni Vattimo: brevi conversazioni dopo alcune sue conferenze a Savona e a Torino. Ho sempre ammirato la sua disponibilità al dialogo e al confronto. Il tema che ha caratterizzato e suscitato le maggiori controversie è indubbiamente il così detto “pensiero debole”.
Su questo tema Vattimo è stato a lungo nel fuoco delle polemiche spesso fraintendendo il suo autentico pensiero. Se leggiamo, ad esempio, addio alla verità, ci rendiamo conto che la sua posizione non è nichilistica ma anti dogmatica. Il che significa contro tutti i totalitarismi e l’uso improprio della religione per fini politici. D’altronde questa sua posizione deriva direttamente dall’affermazione di Nietsche secondo la quale non esistono fatti ma solo interpretazioni, e anche questa è una interpretazione. Si può capire come l’impostazione realistica e dialettica del pensiero sia all’antitesi della filosofia ermeneutica di Vattimo che peraltro ha tradotto verità e metodo di Hans Georg Gadamer secondo il quale ogni verità deriva da una partecipazione personale ad un evento, ad un’opera d’arte, ad un pensiero. Per questi motivi ho letto con qualche stupore l’articolo di Franco Astengo uscito su Trucioli Savonesi intitolato “Pensiero unico e pensiero critico”; Astengo, se ho ben compreso la sua lettura di Gianni Vattimo, contrappone al pensiero “debole” il pensiero “forte” dello storicismo dialettico inteso come pensiero critico. Ora se c’è un pensatore critico nella filosofia italiana contemporanea questo, con pochi altri, è stato Gianni Vattimo. Talmente critico che è riuscito a criticare sé stesso come attestano le sue ultime opere sulla fede, sulla trascendenza, come credere di credere e sulla realtà. Rimane in ogni caso la straordinaria testimonianza umana del maestro che ha educato generazioni di studenti alla critica dell’esistente e all’apertura al dialogo con tutti. Lo ricordo in un incontro a margine del Festival della filosofia di Modena, in cui, pur non invitato, si era messo disciplinatamente in fila per ascoltare il suo collega “antagonista” Massimo Cacciari che teneva una lezione sull’estetica. Alla fine della lezione sono riuscito a rintracciarlo per chiedergli un giudizio e il maestro, con aria serafica, mi ha detto “niente più che una lezione di Liceo classico”. In altre occasioni l’ho sentito esprimere altri giudizi su Cacciari, sempre molto seraficamente, “che se ogni volta che sono stato invitato a tenere conferenze, retribuito come Cacciari, ora non avrei più nessun problema economico”. Ora rimane la tristezza per la sua lunga decadenza fisica e per tutte le questioni che lo hanno amareggiato nell’ultima fase della sua vita. Rimane, malgrado tutto, la sua visione ermeneutica della realtà consegnata alla storia del pensiero universale.