RESTARE PERIFERIA

 RESTARE  PERIFERIA

RESTARE  PERIFERIA

I pensieri e le numerose riflessioni, su quanto è accaduto e sta accadendo  in questi giorni, mi hanno portato a fare un piccolo amaro resoconto su cosa siamo e su cosa stiamo diventando.

Non vuole certo essere un’attenta analisi filosofica la mia.

 Non è mio interesse e non ne sarei capace, ma forse solo il desiderio irrefrenabile di dare un significato ai fatti che si sono susseguiti sul nostro territorio e nel nostro Paese Italia.

Non sono un’opinionista e non ho l’ambizione di dare risposte, ma da cittadina vorrei riuscire a esprimere il mio rammarico, la mia rabbia, il mio disappunto sulle vicende che stanno portando il territorio dove abito e la mia Nazione a diventare, o meglio rimanere, periferia.

 

Sì periferia. Ho voluto utilizzare il grido di allarme che il mio collega Massimo ha espresso in una riunione scolastica, perché mi è sembrato calzante anche per la mia analisi.

 

Rischiamo, in modo sempre più ineluttabile, di rimanere  periferia: una periferia intellettuale, politica, sociale e civile.

 

Perché se è pur vero che il paradigma centro-periferia riguarda il grado di distanza sia geografica sia sociale dal centro vitale di una società, questa distanza può essere quindi psicologica oltre che fisica, e può così ingenerare, nella periferia, sentimenti di lontananza e addirittura di estromissione da quei luoghi che diffondono i valori e le norme di civiltà, spesse volte conquistate con battaglie e con fatica.

Non si parla quindi solo di geografia quando ci si sente nella periferia delle garanzie istituzionali che prevedono la difesa della salute dei cittadini, quando apprendiamo che il Ministero concede, ai gruppi obsoleti e inquinanti della centrale a carbone di Vado, Tirreno Power, gruppo De Benedetti, un’AIA transitoria per tutti gli anni necessari al suo ampliamento.

Un’autorizzazione che non potendo essere legittimamente rilasciata in modo definitivo, viene data transitoriamente. Le morti e le numerose malattie del territorio possono così “transitoriamente” aumentare per una concessione ministeriale che può ignorare le garanzie costituzionali e le leggi di civiltà e di buon senso.

 

E’ proprio così che mentre gran parte del pianeta sta ormai dichiarando la ferma volontà ad allontanarsi dalla combustione di materie fossili e sta operando, in maniera sempre più incisiva, per l’utilizzo di fonti rinnovabili, nell’ambito della sia pur controversa green economy, noi ne diventiamo periferia.

Ci allontaniamo anni luce dalle politiche energetiche europee e permettiamo che devastanti gruppi a carbone, vecchi di quarant’anni, continuino a  bruciare tonnellate di carbone, con altrettanti quantità di emissioni nocive.

Insieme a Taranto e a molte altre località del nostro Paese, diventiamo, o meglio restiamo periferia, dove il diritto alla salute passa in subordine anche per i sindacati da sempre favorevoli a un potenziamento degli impianti Tirreno Power, ritenuti illusoriamente un toccasana per la grave crisi economica della Provincia.

F.Berruti
P.Congiu
 «Finalmente approdiamo a un tempo in cui si può affermare la fase del fare.” Afferma Congiu, segretario della Uilcem, ignorando con sfrontata superficialità le indagini scientifiche, le battaglie e le opposizioni di tutto un territorio che conosce bene i danni dovuti a quel tipo di emissioni e a quel “fare”.
Dobbiamo riconoscere il ruolo di mediazione di Burlando , in Regione e quello  di responsabilità dei Sindaci “ aggiunge Berruti , segretario della Filtcem–Cgil.

Ma come si può mediare tra il numero allarmante di morti e malati dichiarati anche dall’Ordine dei medici e qualche posto di lavoro? Come si può mediare un ricatto occupazionale?

Quale senso di responsabilità hanno avuto i sindacati e la classe politica in tutti questi anni, quando l’azienda non ottemperava alla copertura dei parchi carbone, alla chiusura dei gruppi vecchi, quando questa  controllava le emissioni da sé senza che un ente superiore e pubblico potesse verificarne l’attendibilità?

Questa vicenda era cominciata male….” termina Berruti, ma sembra essere  finita peggio, almeno per ora.

Almeno fino a quando non succederà come per l’Ilva di Taranto e allora si correrà ai ripari, si ritornerà sui propri passi o addirittura si cercherà di negare il precedente operato, quello fino allora  impregnato di tanto senso di responsabilità.

 

Stiamo diventando periferia di un mondo che sta scoprendo, sempre più consapevolmente, che l’ambiente è un determinante importante della salute umana e la qualità dell’aria, dell’acqua e del terreno condizionano pesantemente la speranza e la qualità di vita delle persone .

Una periferia dove si è fatto poco o niente per ridurre l’inquinamento dell’aria, neppure con politiche in cui il traffico veicolare venisse regolato in modo intelligente, da non congestionare, come attualmente accade, in ogni ora, ogni singola strada delle nostre città.

Che non si è fatto nulla contro il consumo di territorio, devantato da decenni di cementificazione e da dissesti idrogeologici.

Non si è fatto nulla per orientarci, come altri hanno fatto, verso una raccolta dei rifiuti che non alimentasse solo i profitti di chi gestisce discarche o spera di concludere il ciclo con un inceneritore, magari di CDR.

 

 

La speranza dalla società civile.

 

Se secondo i modelli ‘diffusionisti’ la relazione centro-periferia è caratterizzata dalla trasmissione di valori culturali dal centro alla periferia, qui nella nostra Provincia, non sembra esserne arrivata traccia e poi da quale “centro” avrebbero dovuto arrivare ?

Non certo quello della nazione, non meno arretrato e culturalmente immobile.

 

Se i modelli ispirati al concetto di ‘marginalità’ tendono, invece, a enfatizzare gli aspetti economici, evidenziando il fatto che la periferia è economicamente dipendente e incapace di acquisire e accumulare le risorse necessarie per superare la propria posizione subordinata e compiere le scelte che le permetterebbero di operare un salto qualitativo, allora mi convinco sempre più che non vi sia via d’uscita a questo vecchio e superato modello di sviluppo.

Un modello che ha visto morire miseramente tutte le attività industriali e manifatturiere savonesi, spesso proprio per incapacità e cattiva gestione da parte della proprietà e dell’inefficace azione sindacale.

 

La periferia è invece un atteggiamento mentale.

E’ l’incapacità di comprendere un cambiamento, la richiesta di una svolta che adesso viene proprio dai cittadini.

La salute, la giustizia, l’equità nei sacrifici, l’onestà e la trasparenza dell’amministrare: tutte richieste che dalle amministrazioni delle città al Governo della nazione, si fanno sempre più urgenti e chiare.

Ma, il nostro, rimane un Paese, dove politici inquisiti e condannati stanno tranquillamente in Parlamento a decidere come difendere la loro poltrona in attesa di una prescrizione dei loro reati, dove spregevoli personaggi politici rubano a piene mani soldi pubblici per motivi personali e discutibili e dove i privilegi della casta sono ancora tutti lì difesi anche da chi doveva operare il cambiamento, e dove, però, criticare la vecchia politica dei partiti e questo modo di fare politica diventa fare del populismo, dell’ ANTI POLITICA pari a una bestemmia !!!!!

Nel nostro Paese, dove da poco si è conclusa un’era, quella Berlusconi/ Bossi fatta di pessima politica, processi, bunga-bunga, appropriazioni indebite, mancanza di autorevolezza internazionale e se n’è aperta una di ministri tecnici, sostenuti da una classe politica di destra e di centro sinistra, incapace di fare scelte, ma solo preoccupata di fare nuovamente alleanze in vista di strategie elettorali degne della prima, seconda e terza repubblica, si sta cercando di ignorare e di svilire una vera rivoluzione di civiltà, di cultura e di pensiero: quella del  Movimento 5 stelle.

Nel Paese-periferia, dove ancora uno scandalo, l’ultimo in termini di tempo, investe un’altra Regione, quella del Lazio dove la Presidente Polverini, dichiarandosi vittima, resta in carica in una coalizione impresentabile, colpevole dell’ennesimo sperpero di soldi pubblici e di volgarità dei comportamenti dei consiglieri, un movimento di cittadini, della vera società civile, cerca di cambiare il meccanismo.

Non è populismo, né antipolitica ma democrazia.

Quella senza aggettivi” sostiene Grillo a Parma, una città ereditata con un debito di quasi un miliardo, dove si vuole cancellare l’ inceneritore Iren, profitto per pochi, costo per molti, anche in termini di salute per i cittadini.

Mentre i partiti sono alla ricerca di esponenti della società civile, per riconquistare una sorta di verginità morale, loro testimoni o fautori dell’inciviltà tutta italiana, la vera società civile guarda altrove per non sentirsi più periferia.

 

Verso, ad esempio, quei paesi più evoluti,che dopo anni di studi e di attività sul campo, si avviano alla Terza rivoluzione industriale, quella che ci porterà a un futuro più equo e sostenibile, dove centinaia di milioni di persone in tutto il mondo produrranno energia verde a casa, negli uffici e nelle fabbriche, e la condivideranno con gli altri, proprio come adesso condividono informazioni tramite Internet in un nuovo regime energetico, non più centralizzato e gerarchico ma distribuito e collaborativo.

Si pensa a un mondo necessariamente diverso, proprio mentre nel nostro paese si rilasciano AIA transitorie per ampliare centrali a carbone e si costruiscono ancora inceneritori, incuranti dei gravi danni ambientali di entrambi.

Come sostiene Rifkin, “sarà il passaggio dalla globalizzazione alla “continentalizzazione”, e dovrà basarsi necessariamente sullo sviluppo dell’economia verde, dove anche le centrali nucleari sembreranno un’ipotesi paleolitica, perché il nostro pianeta è già alimentato da un immenso reattore nucleare in perenne attività: il sole, insieme all’idrogeno, il vento e la forza geotermica”.

L’idea di Rifkin è di trasformare la rete elettrica di ogni continente in una inter-rete per la condivisione di energia, proprio come internet dove l’utente diventa produttore e consumatore del proprio fabbisogno e di quello altrui.  Vuol dire energia per tutti. Questo per molti è impensabile, perché bisognerebbe rompere una gerarchia e se per alcuni si chiama rivoluzione, per altri suona come una catastrofe.

Infatti, perché si realizzi,” bisognerà  smantellare i poteri dominanti del pianeta, detronizzando i signori della guerra e quelli del petrolio e del carbone.” sostiene Rifkin.

 

Cosa da poco per un paese–periferia come il nostro!

 

ANTONIA BRIUGLIA

  

 

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