Racconto

Ricordati di mescolare solo in un senso

Racconto autobiografico

Ricordati di mescolare solo in un senso

Racconto autobiografico

INTRODUZIONE

Ho scritto questo racconto autobiografico nell’estate del 2006, quando ero in attesa del mio terzo figlio. Mia madre, in seguito ad un terribile infarto inaspettato, è entrata in stato vegetativo permanente. Lo stato vegetativo permanente è una condizione di non-vita e di non-morte che lascia i familiari in uno stato emotivo sospeso. Nel mio racconto ho voluto però rileggere il dolore per questa situazione, in una chiave di speranza e di continuità della vita mettendo in luce i doni che ci lascia chi non è più tra di noi nella maniera più consueta.

Come sei diventata piccola mamma. Accarezzo il tuo viso in cerca di un po’ di luce nei tuoi occhi grigio verdi. Da quando il tuo cuore sempre troppo pieno d’amore per gli altri e mai per te stessa ti ha tradita, il tempo si è fermato. E’ rimasto sospeso, come in attesa di un tuo ritorno ma tu non puoi tornare mamma perché sei diventata troppo piccola. Stato vegetativo permanente. Tre parole. Tre coltelli affilati piantati nel mio cuore che non potrà più smettere di sanguinare.

Sono qui vicino a te in questa bellissima stanza d’ospedale che ti accoglie ormai da un anno e mezzo. E’ strano sai, il tuo corpo è qui ma io, anche se abito a 200 km di distanza, ti sento sempre dentro e intorno a me. Le tue risate che scaldavano la casa, le tue premure per tutti, le tue manie, la tua infinita dolcezza che ci accarezzava hanno formato una sorta di alone luminoso che mi circonda e mi protegge ogni giorno.

Mamma, mia silenziosa mammina, fammi toccare le tue piccole mani. Come sono chiusi questi pugni quasi in posizione di difesa. Ricordo quando ero bambina e dovevamo attraversare la strada. Prendevi la mia manina e la stritolavi dentro la tua ed era una cosa che non sopportavo. Mi chiedevo – Ma cos’hai da stringere? Non ho nessuna intenzione di scappare per farmi prendere sotto! – . Ora mi è chiaro perché mi tenevi cosi forte tanto da farmi male. Ora che sono mamma mi rendo conto anch’io che si cerca di proteggere un figlio con tutta la forza che si ha.

A volte mi chiedevo come riuscissi a fare tutto: la casa, il lavoro, la torta, giocavi, ci amavi e sorridevi sempre.

Anche questo ora so. Avevi i poteri magici che acquistano tutte le donne che amano la propria famiglia e adorano viverla completamente. Ci sono periodi in cui dormo poco, mamma. I pensieri, la bambine che si svegliano, la gatta che vuole entrare: tutto contribuisce alla mia notte bianca. Raramente però accuso stanchezza durante il giorno; faccio tutto con amore proprio come hai sempre fatto tu con noi. Spesso mentre vago per la casa di notte ti percepisco con me e mi sento così forte che è come se mi avessi fatto dono anche della tua energia. Una volta al telefono, durante le nostre lunghe chiacchierate, ti ho confidato alcuni miei problemi e ti ho rivelato come avevo intenzione di risolverli. Tu mi hai risposto: – Elena, sei grande! -. Non mi aspettavo nulla di simile da parte tua ma quelle parole sono state come una pioggia di fiducia in me stessa, di soddisfazione e di orgoglio.

Anche su papà hai sempre avuto poteri di questo tipo. Gli infondevi autostima, ottimismo e saggezza. Lui viene qui da te ogni giorno. Ogni giorno ti accarezza, ti bacia, ti parla e ti trasmette tutto il suo amore in un modo in cui forse, prima di quel maledetto 13 febbraio, non aveva mai fatto. Lui non smetterà mai di amarti. Il vero amore può vincere anche sulle crudezze inaspettate della vita. Per lui esisti solo tu ora più che mai.

Ieri sono uscita dalla porta di casa che era molto presto. Le bambine ancora dormivano. L’aria profumava di pini e di ginestre e un caldo vento proveniva dal mare. Ho chiuso gli occhi e ho respirato profondamente per te. Apprezzare le piccole cose: questo è stato uno dei tuoi più grandi insegnamenti. Non servono tante ricchezze se non si impara a godere della semplicità della natura. Non abbiamo mai avuto tanti soldi in casa eppure ad ogni Natale c’erano dei regali sotto l’albero e noi bambini non abbiamo mai respirato aria di depressione. Ci portavate a correre dietro alle farfalle, a cercare fossili e minerali nei torrenti, andavamo a pescare e facevamo lunghe passeggiate in montagna. La vera fonte di idee e di energia eri sempre tu: il nostro vulcano perennemente attivo.

Hai visto mamma, io te lo dicevo che dovevi riposare ogni tanto e pensare anche un po’ a te stessa. Ci ha pensato il destino a farti stare ferma anche se nel modo più drastico che potesse trovare. Bisogna saper riconoscere i propri limiti e non cercare di superarli a tutti i costi. E’ normale avere delle debolezze, è normale mamma. Nessuno te ne avrebbe fatto una colpa se ogni tanto ti fossi seduta a recuperare un po’ di forze.

Quel 13 febbraio eravate venuti a trovarmi. Ho due bellissime immagini nella mente e nel cuore. In una ci sei tu che spingi Linda sull’altalena. Ancora oggi quando sono vicino a quel punto penso a te, sorrido e tocco l’altalena.

Nell’altra immagine stai giocando alle bambole con Linda mentre tra le braccia culli la piccola Alice che proprio quel giorno compiva un mese. Eri cosi contenta di essere nonna. Ti brillavano gli occhi e mentre eri con loro tutto il resto non contava: le tue preoccupazioni, i tuoi nervosismi dovuti al lavoro, la stanchezza, spariva tutto.

 

 Prima di ripartire mi hai abbracciato e baciato e mi hai detto – Ricordati che hai due bambine bellissime che ti vogliono bene -. Queste sono state le tue ultime parole udite dalle mie orecchie

In realtà io la tua voce la sento sempre perché mi riecheggia spesso in testa insieme a qualche rimprovero.

A volte ho l’impressione che tu sia nascosta dentro di me per vedere cosa combino. Così quando mescolo l’impasto della torta lo faccio sempre e solo in senso orario. Quand’ero piccola me lo ripetevi di continuo – Ricordati di mescolare solo in un senso -. Io ti chiedevo – Perché mamma? – e tu mi rispondevi – Non lo so ma mia mamma faceva così -. Forse anche Linda e Alice tra un po’ di anni mescoleranno la torta solo in un senso senza saperne il motivo.

Avevo ancora tante domande da farti e poi ci sono tanti episodi che non ricordo più così nitidamente. Sì, c’è papà a cui posso rivolgermi ma come tutti gli uomini non ricorda tutto. Noi donne abbiamo una memoria speciale perché riusciamo a mantenere vivi gli avvenimenti nella nostra mente amalgamandoli ai sentimenti e ai profumi. Non si finisce mai di avere bisogno di una mamma.

Ti ho portato un bel disegno di Linda, un’opera astratta di Alice e una foto che ci ritrae tutti insieme gatta compresa. Lascio tutto qui sul tavolino vicino ai fiori di papà, ci pensa poi lui ad appenderteli.

Mi è sempre piaciuto stupirti con la mia fantasia: fin da bambina cercavo materiali, incollavo, legavo, scrivevo, disegnavo e creavo. Era così appagante vedere il tuo viso accendersi d’amore quando ti davo il mio prezioso dono. Per non parlare di quanti mazzi di fiori di campo ti portavo e poi tu li sistemavi con cura e passione nei vasi. E’ sempre stato un caricarci a vicenda il nostro: i tuoi gesti mi riempivano l’anima e le mie attenzioni ti facevano volare fino a toccare le nuvole nel cielo.

Anche dopo che mi sono sposata e trasferita lontana da te ti inondavo di lettere, foto, registrazioni, informazioni. Volevo che soffrissi il meno possibile per la distanza che ci separava. Soprattutto dopo che è nata Linda non ho voluto farti perdere nemmeno un ruttino. Sapevo quanto ci tenevi al tuo ruolo di nonna e quanto pativi per il fatto di non poter vedere la tua nipotina molto spesso. Stavo cosi male quando ti definivi una “nonna virtuale”.

Dopo quel maledetto giorno non avevo più voglia nemmeno di fare una foto perché mi sembrava che non avesse più senso. Io facevo tutto per te e in quei terribili momenti in cui il mondo mi è crollato addosso, mi dicevo persino che avevo fatto due figlie per niente. Pensieri di disperazione che ti balenano in testa quando il destino ti catapulta di colpo in una realtà inaspettata, ingiusta, crudele. Dopo i primi due mesi però ho cominciato a pensare cosa avresti voluto tu. Mi è arrivata la tua voce che mi ha scrollato da quello stato catatonico in cui ero caduta. Così ho ripreso con i miei reportage fotografici e i miei commentini sotto ogni foto che ti facevano sempre sbellicare dalle risate.

Che sogni avevi mamma? Cosa ti aspettavi dal futuro quand’eri una ragazza? Hai rimpianti? A cosa hai rinunciato per noi? Non te le ho mai poste queste domande ma adesso vorrei poter conoscere tutto quello che provavi, ogni tuo sentimento.

Negli ultimi anni eravamo entrate più in confidenza; finalmente avevi iniziato a considerarmi una donna e non solo la tua bambina. Ti aprivi di più e mi confidavi i tuoi umori. Sì, lo so bene che non mi dicevi tutto un po’ per pudore e un po’ per proteggermi dalle preoccupazioni. Io avrei voluto sapere di più, leggerti più profondamente ma non era nella tua personalità svelarti del tutto. Era una tua forma di difesa, un istinto che hai sempre avuto e che dimostri anche adesso che sei raggomitolata come un cucciolo.

Accidenti mamma, come ti sei rimpicciolita su questo letto. Mi viene voglia di prenderti tra le miei braccia e cullarti come faccio con Alice. Intanto potrei cantarti una delle canzoncine in dialetto veneto che intonavamo insieme prima di dormire. Il tutto per il sollazzo acustico di papà che cercava di rilassarsi stremato dal lavoro davanti alla televisione e non riusciva a sentire una parola.

Le canto ancora adesso alle mie piccole. Certo, forse non tutte le parole sono corrette ma non avevamo fatto ripassi negli ultimi anni purtroppo. Mi piaceva tanto anche quando mi raccontavi della tua infanzia. Hai conosciuto la miseria ma anche se in casa c’era pochissimo con il cuore tu cedevi spesso la tua razione di cibo. Mi facevi ridere quando mi raccontavi che da bambina ti piaceva partecipare ai funerali perché sapevi che alla fine qualche anziana signora ti dava un paio di caramelle.

Quanto mi manchi e chissà se senti qualcosa di quello che ti dico. Tutto sommato spero di no perché col tuo carattere non potresti sopportare di essere qui immobile e soprattutto di causare tanto dolore a noi tutti.

In situazioni di questo tipo viene naturale chiedersi che senso abbia l’intera esistenza. Il senso è la pura e semplice continuazione della vita attraverso la nuova vita che si porta alla luce. Ti prendo una mano: lo senti il mio pancione? C’è la vita dentro. E’ la tua vita. La tua vita che continua, mamma.

Elena Bellini

 

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