Racconto

Un racconto di Orlando Defrancisci
Lo zio d’America

Un racconto di Orlando Defrancisci
Lo zio d’America

Il commissario Bono, si alzò velocemente dalla sedia davanti al video e salutò con un sorriso di circostanza, “buongiorno dottore” disse con fare un po’ affrettato, l’altro, un uomo di media statura vestito elegantemente, ma tutto sommato assolutamente anonimo, gli ricambiò saluto e sorriso forzato e disse:
“Salve commissario, stia …, stia pure comodo” poi rivolto al video, “ che fa”?
Cesare Bono si risedette un po’ meno contratto e rivolto al magistrato disse:
“ Sta li, … è così da quando lo abbiamo portato, non ha detto una parola, ma sembra assolutamente tranquillo”
“Bene allora io vado dentro”, poi con un cenno della mano come a smorzare sul nascere qualsiasi cosa potesse dire Bono, continuò:
“lei commissario stia qui, vado solo, tanto mi vede, se ho bisogno le faccio un segno” e senza attendere la risposta si avviò verso la porta d’ingresso della stanza.

Giancarlo Fraschetti era seduto, i gomiti adagiati sul tavolo consunto che gli stava davanti, le spalle appoggiate allo schienale della sedia, la camicia aperta due bottoni sotto il colletto e lo sguardo assente!
Antonio Nascimbeni era un magistrato con qualche anno di esperienza, ne aveva viste di cose nella sua carriera, era convinto che niente più potesse né stupirlo né tantomeno impressionarlo, ma quelle foto ….
La porta si richiuse alle sue spalle con un rumore sordo, ovattato, l’uomo non mosse un dito, non si girò a guardare dietro le sue spalle, nella direzione della porta e non si mosse nemmeno quando il giudice Nascimbeni si sedette davanti a lui dall’altro lato del tavolo.
Il giudice con calma posò sul tavolo la sua borsa e disse con tono pacato all’uomo:
“buongiorno dottor Fraschetti, sono il giudice Nascimbeni, mi dica l’hanno trattata bene, ha bisogno di bere, vuole che le faccia portare qualcosa”?
Fraschetti lo guardò con sorpresa come se lo stesse vedendo in quel momento, come se la sua presenza nella stanza fosse frutto di chissà quale mistero, fece un gesto lieve con la mano e con un sussurro vomitò un “no grazie”.
IL magistrato si sistemò meglio sulla sedia e poi continuò con il solito tono quasi amichevole

“mi dica dottore, … non capisco, una persona come lei, una persona istruita, uno che è riuscito ad andare via da questa cittadina di provincia perduta in questo profondo e depresso sud, per andare a fare carriera e fortuna nella grande città, insomma uno francamente arrivato, stimato e rispettato,… non capisco perché, vorrei tanto che lei mi spiegasse, vorrei capire…”!
Fraschetti lo osservò, forse con più attenzione, poi appoggiò ancora di più le sue spalle alla sedia, e lentamente cominciò a parlare.
“vede giudice, uno cresce, studia, va all’università, si sposa, fa carriera …, fa una vita normale, come tutti vorremmo …, anche io, ed io c’ero riuscito, mio padre era un contadino, aveva pochissimi soldi, ma era riuscito a farmi studiare con tanti sacrifici, ed io non lo avevo deluso.
Tutto bello, tutto perfetto …, lei ha mai sentito parlare dei meccanismi di autodifesa della psiche? Sa, noi tutti siamo portati o a ricordare in modo ossessivo, o a rimuovere in modo completo, i ricordi brutti, quelli che riguardano la nostra infanzia, io ad esempio della mia ricordavo solo la serenità di una casa povera, dei genitori che mi volevano bene e poi i prati …, le mucche di mio padre …!
Tutto bello, tutto come dovrebbe essere nella vita di un uomo, tutto così sino a ieri”!
Fraschetti fece una breve pausa e distolse per un attimo lo sguardo che aveva tenuto fisso sugli occhi del giudice, poi ricominciò a parlare:
“è stata mia madre ad insistere perché venissi a trovarla, avevo tanto da fare, sa la banca, il consiglio d’amministrazione …, mi sono preso un giorno per accontentarla, è così sola dopo che papà se n’é andato …, quando sono arrivato ieri lei era così felice, mi disse che avevo fatto bene a venire che così avrei rivisto lo zio Francesco che non vedevo da quando avevo cinque anni …., lo zio Francesco …, già era andato in America tantissimi anni fa!
Lo vidi di lì a poco “lo zio Francesco” un grasso maiale pieno di lardo che mi abbracciò forte quando mia madre mi presentò con un “Franco ti ricordi di mio figlio Giancarlo”?
Dio se si ricordava di me …, ed anche io mi ricordai di colpo di lui, di quello che per mesi prima di andarsene mi aveva fatto ogni volta che eravamo soli, e io avevo solo cinque anni e lui una ventina …!

In un momento tutto mi tornò alla mente, tutto!

Lui capì e mi sorrise in modo flaccido, viscido …, ed in quel momento io ho saputo cos’è l’odio, quale forza contiene questo sentimento, come può regalarti la calma, l’impassibilità e la sete di vendetta, il mio cielo si era aperto, squarciato, lacerato e da questo buco nero era uscito tutto il fango e la melma fetida che vi era rimasta intrappolata per così tanto tempo”

Fraschetti si fermò di nuovo come a volere cercare altre parole, ma stette in silenzio, poi quando già il giudice stava per rompere quella cappa pesante che aleggiava su di loro, continuò:
“Non ho altro da dire, il resto lo sapete, ho aspettato di essere solo con lui nel capanno dietro la cascina, l’ho attirato li non so più con quale scusa e poi l’ho fatto a pezzi come si fa con i maiali, perché questo “lo zio” era, un maiale”!
Fraschettti lentamente distolse lo sguardo dalla faccia del giudice e si richiuse nel suo silenzio.

Nascimbeni, stette un attimo ancora in attesa, poi lentamente si alzò, prese la sua borsa da tavolo, appoggiò delicatamente la mano sul dorso della mano di Fraschetti ed allontanandosi verso l’uscita gli disse:
“Bene, farò il possibile affinché lei sia trattato con riguardo”, uscì dalla stanza lasciandolo li, perso nei suoi pensieri come lo aveva trovato.

Il giudice tornando in macchina verso il suo ufficio pensava all’accusa d’omicidio che pendeva sulla testa di quell’uomo e poi che omicidio, quando aveva detto che lo aveva fatto a pezzi come un maiale non diceva tanto per dire, aveva letteralmente “macellato” la sua vittima poi finito il lavoro, si era lavato, si era rivestito ed aveva chiamato la polizia.

Era angosciato il giudice, si sentiva un grande peso sul petto e aveva il fiato corto, pesante, si ricordava ferocemente del cortile della parrocchia, della sacrestia e del “buon” don Mario, ….
chi mai avrebbe potuto condannare quell’uomo che aveva avuto la forza di schiacciare il suo orco?

 

Orlando Defrancisci

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