RACCONTI DI AVVENTURE

RACCONTI DI AVVENTURE di Franco Ivaldo
MAGELLANO ED I CORTIGIANI
20 SETTEMBRE ANNO DI GRAZIA 1519, SAN LUCAR DE BARRAMEDA
Decima e undicesima parte

 RACCONTI DI AVVENTURE di Franco Ivaldo

MAGELLANO ED I CORTIGIANI
20 SETTEMBRE ANNO DI GRAZIA 1519, SAN LUCAR DE BARRAMEDA
Decima e undicesima parte
 Il tempo trascorreva lento e monotono, nella prigione portoghese come prima della grande avventura. Immagini ormai lontane si ripresentavano alla mente del nocchiero tra le sbarre, di quel giorno reso famoso nella storia delle grandi spedizioni marittime. Lontano giorno, ormai avvolto dalle nebbie del tempo.  Siviglia, quel dì, era letteralmente invasa da una folla di curiosi e, naturalmente, da un sacco di mercanti. I marinai prescelti per il viaggio erano stati destinati alle rispettive caravelle.

Pancaldo e Pigafetta erano stati destinati alla Trinidad e sarebbero stati,  quindi , direttamente agli ordini dell’ammiraglio Magellano.

 

Il grande navigatore portoghese era davvero un personaggio tutto d’un pezzo.

Quel che gli era accaduto a Lisbona non l’avrebbe dimenticato tanto facilmente.

 Intriganti di corte,vicini a re  Manuel , l’avevano accusato di connivenza con i mori. Proprio lui che, in Marocco, nella battaglia di Amozar era stato ferito ad una gamba, rimanendo a lungo claudicante. Si era battuto con onore. Ma i cortigiani, cui era inviso per il suo carattere burbero e determinato, avevano lanciato accuse infamanti. Insomma, lo avevano fatto sospettare di traffici con i musulmani ed espellere con ignominia dal paese. La corona portoghese aveva rifiutato le sue idee di esplorare verso Ovest. Malgrado il suo amico cartografo, Ruy Faleiro, avesse documenti di appoggio piuttosto convincenti sulla possibilità tutt’altro che remota di trovare questo benedetto passaggio verso le Indie.  Faleiro aveva conosciuto a Lisbona, Bartolomeo, il fratello di Cristoforo Colombo, le cui mappe erano famose ormai nel mondo intero. Le corti europee se le disputavano a peso d’oro. E le tenevano gelosamente segrete. Il cartografo e studioso l’aveva successivamente accompagnato alla corte spagnola, ma non prima di aver trafugato mappe segrete dall’Archivio di Stato della corona.

 Magellano era, dunque, in possesso di una carta nautica che  collocava il  paso  forse all’altezza del Brasile (la costa del Brasile era stata avvistata,mentre navigava nell’Atlantico, da Cabral) o più verosimilmente la mappa lasciava intravvedere la possibilità che il Rio de la Plata potesse essere un mare e non un fiume. In ogni caso, un passaggio doveva esistere. Ma poiché la corona portoghese l’aveva respinto non gli era rimasto altro da fare che rivolgersi a Carlo.

 La Spagna già era al corrente che esisteva l’Oceano Pacifico, perché, Vasco Nunez de Balboa l’aveva visto con i propri occhi dalle alture di Panama,durante una spedizione proseguita per via terrestre. La scoperta di Nunez de Balboa non lasciava dubbi neppure sulla possibilità di un passaggio perché dall’ i stmo di Panama  l’Oceano era visibile, ma non vi era un passaggio via mare. Era altamente improbabile che in tutto un  Continente, per quanto grande potesse essere, non vi fosse una via d’acqua per passare dall’altra parte. Nessuno poteva crederlo. Bastava guardare il continente europeo e quello asiatico già conosciuto.

 

Giovanni Caboto

Giovanni Caboto, poi -intuendo che Colombo non era approdato sulle rive del Catai o del Cipango, aveva proposto alle loro altezze serenissime, Ferdinando ed Isabella di Castiglia di cercare il passaggio più Nord. I reali avevano rifiutato di accordargli le imbarcazioni richieste. Caboto si era rivolto, dunque, a Enrico VII d’Inghilterra che gli aveva finanziato la spedizione, ma senza esiti positivi. Il passaggio per l’altro Oceano non si era trovato. In compenso Caboto aveva praticamente scoperto l’America del Nord.

 

  Carlo V, di fronte alle argomentazioni di Magellano, non ebbe più dubbi.  Aveva davanti a sé l’ammiraglio che avrebbe tolto al Portogallo quella supremazia sulla via delle spezie che gli aveva garantito  a suo tempo la circumnavigazione dell’Africa compiuta da Vasco da Gama.

 L’ironia della sorte era che Ferdinando Magellano, il quale aveva servito la corona portoghese, proprio alle Indie, come capitano era già stato destituito, una prima volta, dal suo titolo di comandante, perché con inusuale intraprendenza, dalle Molucche si era avventurato con la sua nave (ma senza riceverne l’autorizzazione) ad esplorare nuove isole  . Sempre più ad Oriente. 

 La ricerca del passaggio per aggirare il Nuovo Mondo   scoperto da Colombo, era divenuta per lui una vera ossessione.

 

 Anche per Carlo V  l’ ossessione era la stessa. Il Trattato di Tordesillas, in pratica riconosceva la preminenza portoghese nei viaggi di circumnavigazione (l’Africa, nel caso dei legni lusitani).

 

 La Spagna era tagliata fuori dalla via delle spezie (cannella, chiodi di garofano, pepe). Solo un a nuova via marittima a Ponente avrebbe permesso un certo riequilibrio tra le due potenze marittime, Erano scoperte, successive a catena, che avevano per effetto di mutare gli equilibri geo-politici di un intero continente, quello Europeo. Erano mondi nuovi che venivano scoperti, ma i riflessi politici economici e commerciali erano immensi e, forse, non ancora tutti percepiti.

Oppure visti in un’ottica di limitati interessi contingenti. La Chiesa Cattolica intravvedeva la possibilità di una vasta evangelizzazione degli indigeni di quelle terre non ancora del tutto esplorate. Ma vi erano anche timori, nelle alte sfere cattoliche, che quell’improvviso contatto con un mondo pagano, con quel globo terracqueo che, diveniva, sempre e dopo ogni spedizione di navigatori, più vasto e misterioso potesse preludere ad una svolta nel modo di pensare, sempre più aperto e possibilista, sempre più intriso di curiosità intellettuali anti-dogmatiche. Curiosamente, la svolta rinascimentale andava a braccetto con le scoperte di nuove terre e di nuovi esseri umani, da indottrinare, certo, ma la Chiesa di Roma ha sempre mostrato prudenza e cautela di fronte al nuovo.

 La scoperta del Nuovo Mondo non faceva, certo, eccezione. Parecchi ecclesiastici erano convinti che, in fondo, quell’ecumenismo nascente non poteva che rafforzare la Cristianità e prendere alle spalle, come in una morsa, l’Impero Turco Ottomano. Scoperte e conseguenze geo-politiche, economiche e commerciali.

Vasco da Gama aveva  già rovinato la Repubblica di Venezia perché la via marittima, circumnavigando il continente africano, dal Capo di Buona Speranza, aveva reso obsoleti e non più convenienti i viaggi, via terra, dei mercanti veneziani per raggiungere le Indie ed il Catai, il  viaggio di  Marco Polo restava l’esempio più eloquente di una strada ormai non più percorribile. Costosissima, incerta per le mercanzie e che richiedeva anni di fatiche e di viaggio.

Le vie del mare erano sicuramente l’avvenire dei mercanti, dei cercatori d’oro e d’argento, dei Conquistadores.

Ma ci voleva un re, anzi un imperatore lungimirante. Carlo V lo era come lo erano stati i suoi nonni materni,  Ferdinando ed Isabella di Castiglia.

Magellano aveva così compiuto il patto con Carlo V e si era visto attribuire cinque caravelle, due in più di quelle che erano state concesse a Colombo per la sua spedizione verso l’ignoto.

 

Le caravelle veloci erano, come è rilevato,  le imbarcazioni più adatte per affrontare gli oceani. I preparativi a Siviglia si erano fatti ormai febbrili. Il colloquio più importante per il Patto tra Carlo V e Magellano (presenti i dignitari di corte e Ruy Faleiro) era avvenuto a Valladolid. L’imperatore si era reso conto che Magellano era anche un buon negoziatore oltre che un abile navigatore: aveva richiesto per sé il titolo di governatore di tutte le terre che avrebbe scoperto ed un quinto dei proventi (per lui e Faleiro) che sarebbero derivati da quei possedimenti.

SAN LUCAR DE BARRAMEDA 

20 SETTEMBRE ANNO DI GRAZIA 1519, SAN LUCAR DE BARRAMEDA 

 

 La grande avventura era  iniziata nel porto di Siviglia il 20 agosto dell’anno di grazia 1519. E poi, la partenza vera, dopo un mese, il 20 settembre,dal porto di  San Lucar de Barrameda, alla foce del fiume Guadalquivir.

Leon era andato più volte a  vedere  la Trinidad,  la caravella alla quale era stato destinato dal comandante in capo, Ferdinando Magellano. Quell ‘ uomo imponente, di grande statura  fisica e dal cipiglio fiero ed ardito era onnipresente attorno alle sue caravelle.

 

 

Lo vedevano arrivare al porto con passo leggermente claudicante ma sicuro di sé con la grande fluente barba nera. Un copricapo ed una lunga veste dello stesso colore della barba. Un vero tiranno dei mari che troneggiava sulla nave cui  Leon Pancaldo e Antonio Pigafetta erano destinati, la “Trinidad” a fianco delle: la” Sant’Antonio”, la “Victoria”, la “Concepciòn” e la”Sant’ Jago ”. Per questa spedizione, vi erano stati avvisi di ingaggio verbali in tutti i porti del Mediterraneo.

 Era,dunque, l’alba del giorno venti settembre dell’anno di grazia 1519, quando salparono dal porto di San Lucar de Barrameda. Una folla grandissima si era ammassata sui moli a salutare gli equipaggi ed i loro comandanti.

Vi erano i rappresentanti della corona in alta uniforme e dignitari  dei corpi d’armata, uno scintillio di medaglie, di uniformi, di corazze ed alabarde. uno sventolìo di vessilli e la presenza di dame e damigelle, di cavalieri, di religiosi. Vescovi di Spagna e persino un cardinale di Santa romana chiesa.

Tra le grida di “viva l’imperatore Carlo V”, tra i saluti della folla agli equipaggi, le cinque caravelle avevano cominciato a solcare le acque dirigendosi verso il largo, seguite da mille sguardi e da continue ovazioni e sventolio di bandiere. Dev’essere stata così anche la partenza di Cristoforo Colombo.

Era da una vita che alcuni sognavano quell’ impresa. Ed era appena cominciata. Intanto era calata la notte e gli equipaggi delle cinque navi riposavano chi in coperta (i marinai semplici) chi sotto coperta, gli ufficiali ed i comandanti.

Tutti a bordo avevano il loro daffare. Nessuno era inoperoso. La “Trinidad” scivolava veloce sulle onde. Il convoglio delle cinque caravelle si

dirigeva verso quelle che gli antichi chiamavano le colonne d’Ercole e noi chiamiamo lo stretto fortificato. Vi è una guarnigione della Castiglia  a vigilare sullo stretto che porta al grande oceano.

Il giorno dopo sarebbe stata una giornata di grande impegno. Non c’ era davvero tempo per i diari del buon Pigafetta  Stavano anche per spegnere i lumi a bordo. Il tempo era meraviglioso. Il mare era tranquillo. Soffiava una leggera brezza che faceva correre veloci le caravelle verso l’Oceano, su una rotta sicura e ormai sperimentata. Anche se ci si avvaleva di bussola e sestante, non esistevano sulle carte nautiche i meridiani ed i paralleli. Veniva calcolata con una certa approssimazione la latitudine.

 

Eppoi vi era il cielo stellato. Quella stella polare, compagna di ciascun navigante a rendere certo il Settentrione. Le caravelle andavano in fila indiana, come gusci di noce, sulle onde. Le stelle erano ancora familiari ed amiche nell’emisfero Nord, ma sarebbero diventate altrettanti enigmi, una volta superata la linea immaginaria dell’equatore. Non più un firmamento con la Grande Orsa,  con la  con il grande Carro, con Cassiopea ed Orione, con Alderaban, e Beltegeuse, con le Sette sorelle, ma un cielo enigmatico con la Croce del Sud, simbolo della Cristianità in espansione, con i crociati del mare, apportatori di novità e anche di grandi miserie. Vi sarà una nebulosa che prenderà il nome di Magellano e tante, ma tante avventure. Per ora, la prua era rivolta alle Canarie.                           

 

 

 

Magellano

 

Onde alte come case, in quell’Oceano procelloso e dai ribaltamenti repentini. Il vero viaggio era cominciato superato lo stretto che  aveva spalancato alle imbarcazioni le porte dell’Atlantico. A dire il vero, nulla lasciava presagire la tempesta. Ma per uno di quei ribaltamenti che la natura si compiace non raramente di offrire a chi va per mare, ecco   spuntare all’orizzonte, nuvoloni cupi e bui. Sulle cinque caravelle, che ben presto sembravano gusci di noce in balìa delle onde, riecheggiavano gli ordini secchi e precisi degli ufficiali superiori. Pancaldo  cominciava a scorgere la paura negli sguardi dei suoi compagni. Reggeva il timone al meglio che  poteva; ma che danza infernale! Tra lo scricchiolio degli alberi e delle gomene.

 

Il comandante della nave, la “Trinidad”, cioé Ferdinando Magellano in persona impartiva l’ordine di ammainare le vele con voce dai toni concitati ma al tempo stesso conservando tutto il sangue freddo necessario a non lasciar trapelare una certa inquietudine.

 

I marinai avevano saputo valutare da soli il livello del pericolo. Molto alto, a dire il vero. Tanto più che stava calando la sera ed era una bufera insolita ed imprevista.

Le onde s’infrangevano senza soste, abbattendosi rumorosamente e con spaventosa regolarità sul ponte e sferzando i volti e le membra degli uomini dell’equipaggio. Le corde venivano assicurate in ogni punto, mentre gli alberi schiaffeggiati dalla tempesta emettevano sinistri rumori e cigolii, come se volessero d’un tratto spezzarsi.

Intravvedeva, Leon,  dal timone che tentava a fatica di controllare con l’ausilio di altri due marinai, la sagoma della nave ammiraglia, la Victoria, con le sue luci di bordo che si spegnevano una dopo l’altra. Le raffiche, infatti, portavano letteralmente via le torce dal ponte e montagne d’acqua riversandosi all’interno oscuravano progressivamente la nave che appariva e scompariva tra le onde altissime. Uno spettacolo tremendo più degno di ciclopi che di uomini.

Le altre tre imbarcazioni affrontavano le stesse difficoltà. Trascorse così una notte di tregenda davvero spaventosa.

Giunsero finalmente  alle Canarie, sette isole di origine vulcanica (erano ciò che restava della mitica Atlantide ?).   Primo scalo previsto dalla rotta di queste isole ormai conosciute.

Ferdinando Magellano consentì agli equipaggi di imbarcare provviste fresche nelle stive e di rimettere un pò in sesto le navi, perché tutti si rendevamo conto del fatto che il viaggio era appena cominciato e le difficoltà, quelle vere, che indubbiamente ci sarebbero state dovevano ancora venire.

Lo stato delle navi era buono come quando erano partiti da  San Lucar de Barrameda.

Leon faceva, intanto, giorno dopo giorno, conoscenza con gli altri uomini dell’equipaggio.

Sia di quello della “Trinidad” che, durante gli scali, delle altre quattro caravelle. Parlò nuovamente e a lungo con Pigafetta, il vicentino. All’inizio sembrava un pò altezzoso. Ma era una falsa impressione, Non si trattava di alterigia. Forse di una naturale timidezza. I suoi modi erano quelli di un perfetto gentiluomo.

Pigafetta riconobbe che, all’imbarco, l’ammiraglio Ferdinando Magellano lo trattava con parecchia condiscendenza, considerandolo più un passeggero che un partecipante alla spedizione. Di fatto lo era, perché lui stesso  confermò durante i  successivi brevi colloqui, di aver pagato la sua presenza a bordo.

Sulla nave “Trinidad” vi era un veneziano, Matteo Ludovisi. Anche lui aveva lasciato una sposa a casa, tra le calli veneziane.

Trascorsero tre giorni alle Canarie. Poi, rotta verso le Isole di Capo Verde. Si trattava di terre scoperte da poco tempo, ma che ormai apparivano sulle carte nautiche di tutta Europa. Il vero viaggio verso l’ignoto doveva ancora iniziare.

Tra tutti coloro che si erano imbarcati in quell’ avventura vi erano anche ceffi poco rassicuranti. Evidentemente, gli emissari marittimi nei porti non erano andati molto per il sottile, nell’ingaggiare i volontari per la spedizione.

 Ma per fortuna, nella stragrande maggioranza erano saliti a bordo uomini sperimentati ed esperti di navigazione. Ogni regola ha la propria eccezione. D’altra parte, anche se vi erano marinai che avevano conosciuto certamente le galere, non è detto che fossero davvero colpevoli e, per il resto, ebbero tutti ampiamente modo di riscattarsi.

Fu, infatti, un’impresa per uomini di valore, in tutti i sensi.

Ed anche se qualcuno  commise errori nella vita, sulle caravelle poté scrivere per sé e per gli altri pagine onorevoli. Non tutti però furono,come vedremo, all’altezza della situazione. Parecchi uomini dell’equipaggio non sapevano né leggere né scrivere.  Meno male che c’era Antonio Pigafetta ed in tal modo col suo Resoconto di viaggio della circumnavigazione del globo, l’avventura fu nota al mondo; peccato però che quel Resoconto era passato prima dalla corte di Valladolid; quanto a  Pancaldo, pur non essendo propriamente un letterato, sapeva leggere e scrivere ed aveva una memoria prodigiosa.

Dobbiamo a Pigafetta, i particolari più minuziosi. Ad esempio, quali erano le provviste nelle cambuse e nelle stive: sette tonnellate di pane biscottato, 194 chilogrammi di carne essicata, numerosi barili d’olio, 381 chili di formaggi, 200 barili di sarde salate, tremila pezzi di pesce essicato.

Quando il cibo -soprattutto nella traversata del Pacifico – farà crudelmente difetto ed essendo scarsi i risultati della pesca (per mancanza di mezzi adeguati) gli equipaggi, tormentati dalla fame e dalla sete, daranno persino la caccia ai topi per sfamarsi.

Ma nella prima parte del viaggio, tutto  filò abbastanza liscio.

Eccettuata una nuova violenta tempesta in pieno Atlantico, quando le cinque caravelle, lasciatesi dietro i castelli di poppa  la Sierra Leone, facevano rotta verso il Brasile. In Sierra Leone non erano rimasti a lungo. Il paese era stato scoperto dal portoghese Pedro de Sintra, nell’anno di grazia  146O ed offriva un bellissimo spettacolo di una costa orlata di lagune ed incisa di estuari, ma ben pochi rifornimenti. I nativi non sembravano neppure troppo amichevoli, così le caravelle  avevano puntato le prue verso l’Atlantico , dirette a Rio, il villaggio raggiunto per la prima volta nel gennaio del 15O1 da Vespucci, ma fondato successivamente (1° marzo 1565) dal cavaliere portoghese Estacio de Sà, che lo chiamò Sao Sebastiano do Rio de Janeiro (fiume di gennaio) in onore di  Sebastiano I, re del Portogallo.

Ma già quello inutile rotta lungo le coste africane, per far giungere le caravelle  fino alla Sierra Leone aveva suscitato malcontenti a bordo delle navi che seguivano l’imbarcazione ammiraglia, la Trinidad.

 Ma come – si dicevano  i capitani spagnoli che Carlo V aveva sguinzagliato come mastini alle costole del Magellano – stiamo qui a veleggiare lungo le coste africane, perdendo tempo prezioso in un continente ormai conosciuto, anziché puntare dritto sul Brasile e poi costeggiare alla ricerca del passaggio verso l’altro oceano. Perdita inutile di tempo e di provviste. Errore inspiegabile e l’ammiraglio sempre enigmatico e chiuso come un’ostrica. Ma quando si deciderà a consultarci una buona volta prima di stabilire la rotta.

La pensava così principalmente Juan de Cartagena, la “conjuncta persona” quasi pari grado del portoghese.

 

Cominciò con qualche segno di ostilità togliendo il saluto della sua nave a quella di Magellano (facevano segnali coi fuochi di bordo). Le lanterne della caravella di de Cartagena rimasero buie. Anche gli altri capitani continuarono ad obbedire ma lo fecero a denti stretti.

 Franco Ivaldo

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