Quando tocca alla fantascienza metterci in guardia

Quando tocca alla fantascienza
metterci in guardia

Lo scenario da incubo di un mondo in cui ha prevalso
l’ideologia progressista

Quando tocca alla fantascienza metterci in guardia

Lo scenario da incubo di un mondo in cui ha prevalso l’ideologia progressista

 Nel cinema e nella letteratura la fantascienza scivola spesso nel phantasy, nella favola per adulti, nell’evasione; ma qualche volta, soprattutto se c’è di mezzo Edward G. Robinson, risulta più efficace di qualsiasi argomentazione ex hypothesi.

In un pianeta sovrappopolato, con le risorse alimentari esaurite, soffocato dall’inquinamento, controllato da un’oligarchia che vive in un mondo a sé protetta da pretoriani che tengono a bada le masse frustrate, depresse, affamate e in endemica rivolta dopo che la spirale consumistica ha portato al collasso il sistema produttivo, l’omicidio di un membro di quella oligarchia apre la strada alla scoperta di una verità terrificante: l’industria monopolistica che produce l’alimentazione base della popolazione,  consistente in gallette di plancton, ha sostituito il plancton di cui ormai il mare è privo con proteine ricavate dai cadaveri. 


È la trama di un film del 1975, 2022, i sopravvissuti, che si ricorda per una delle più vigorose interpretazioni di Charlton Heston nei panni del poliziotto corrotto che si ribella al sistema e tenta, pagando con la morte e forse inutilmente, di denunciarne i crimini. 

Un film cupo, duro, asciutto, la rappresentazione di un popolo ridotto a massa amorfa di consumatori senza più niente da consumare, in cui è scomparsa di ogni forma di sovranità e di democrazia,  controllato da una casta di burocrati al servizio delle élite che detengono il potere, provvedono al rifornimento alimentare e incoraggiano l’eutanasia. Sono le conseguenze di un’esplosione demografica incontrollata e di un consumismo selvaggio: esaurimento delle risorse energetiche, desertificazione, inquinamento,  sconvolgimento del clima.

Uno scenario che a distanza di tanti anni appare spaventosamente profetico. La voce suadente del potere occulto si presenta oggi nelle sembianze dei buonisti da salotto e dei loro scagnozzi  che vogliono abbattere i confini, mescolare l’Europa con l’Africa, fare una pappetta di islam e cristianesimo,  invertire la tendenza al contenimento delle nascite con la massiccia immissione di popolazioni africane ad alta prolificità. Sognano masse di produttori eternamente giovani, pagati quanto basta per consumare, e una crescita esponenziale di produzione, consumi e bocche da sfamare;  e per svecchiare la popolazione  incoraggiano la dolce morte con la clinica svizzera al posto del Tempio della finzione cinematografica, mentre sotto sotto preparano la strada alla rivoluzione alimentare sostenendo il fanatismo di animalisti e vegani.  Non saranno cadaveri quelli che ci vorranno far mangiare ma un pensierino alle alghe ce l’hanno fatto e già si sono accinti a cucinare insetti, con la segreta speranza che si accorci la speranza di vita, ovviamente non la loro.   

Sognano questo, i buonisti, ma non accadrà; il genio, o il demone, interno alla natura umana non consentirà che accada. Del resto non ci sono alternative all’ottimismo, alla fiducia nell’omeostasi del sistema   e nella capacità umana di governare il cambiamento. È un po’ come per l’esistenza individuale: non c’è altra possibilità di sopravvivenza se non esorcizzando l’imminenza della morte, anche quando la prospettiva temporale è obbiettivamente ridotta; perché se la prospettiva temporale viene interiorizzata si compromette la progettualità, le cose perdono di importanza, passa la voglia di vivere.  Razionalmente, è un’ovvietà riconoscere che, come tutto ciò che ha avuto un inizio, il nostro mondo avrà una fine; ma c’è una razionalità di grado più elevato, che ci spinge a vivere “come se” il mondo dovesse durare per sempre. E, in questa prospettiva, il catastrofismo va combattuto con le sue armi, affrontando i possibili scenari futuri e identificando le loro cause e i loro prodromi nel presente.

La catastrofe è, infatti, il blocco dell’omeostasi, la rottura dell’equilibrio o meglio della capacità di riequilibrarsi del sistema. E al primo posto fra le cause che rischiano di farlo inceppare ci sono le “ideologie”. Brutta parola, l’ideologia, inventata da Destutt de Tracy nel 1796  per la sua concezione del funzionamento della mente e passata poi a indicare i princìpi e le dottrine che ispirano partiti e movimenti politici. Che però di fatto non sono né princìpi né dottrine, che hanno in sé una loro flessibilità e razionalità, sconosciuta alle ideologie. Queste somigliano più alle posizioni per partito preso, al tifo sportivo, alla partigianeria, alla faziosità: sono punti di vista e atteggiamenti irremovibili, rigidi, irriflessi, indifendibili ma anche inattaccabili – non c’è bisogno di citare Popper -, sbandierati e difesi acriticamente, come dogmi.

E fra le ideologie più perniciose c’è quella dell’accoglienza, che impedisce di guardare spassionatamente al fenomeno dell’immigrazione illegale. Che sia un fenomeno guidato ormai non lo nega più nessuno. C’è in tutta l’Africa mediterranea e sub sahariana una rete di informazione e incanalamento che mette capo alle organizzazioni “umanitarie” europee e sono fisicamente identificabili, basterebbe volerlo fare, i soggetti che a vario titolo sono coinvolti nel traffico. C’è l’appoggio smodato, scomposto, impudente dei vescovi e del Vaticano; c’è la connivenza imbarazzata e imbarazzante della sinistra europea e in particolare italiana; c’è l’omertà  della stampa e l’inazione dell’Unione europea di cui non si capisce la ragione se non ipotizzando una regia esterna. Ma c’è anche l’evidenza incontrovertibile che il fenomeno non ha niente a che fare con i mali, reali, dell’Africa: quelli non sono minimamente scalfiti dalla migrazione, anzi semmai ne sono aggravati. 

Apertura delle frontiere e accoglienza indiscriminata nella prospettiva – irrealizzabile, per fortuna, anche perché i primi a non volerla sono propri i “migranti” –   dell’omogeneizzazione e col mito – direi l’illusione – della multiculturalità, col corollario della massificazione della produzione e dei consumi.

Sicuramente, al di là dei problemi contingenti relativi alla sicurezza – dalla prostituzione alla spaccio di stupefacenti ai furti alle rapine agli stupri – il fenomeno della migrazione illegale comporta due conseguenze di medio termine: l’aumento demografico e l’abbassamento del costo del lavoro. L’innesto di una subpopolazione giovane produce anche un’impennata, seppure settoriale, nei consumi e un incremento di posti di lavoro nei servizi, in particolare in ambito sociale ed educativo. Non c’è bisogno di un economista per capire che si tratta di un boomerang perché ciò che viene messo in circolo è solo una parte di ciò che viene sottratto alla ricchezza complessiva del Paese e allo stato sociale. Ma quello che mi preme rimarcare è l’inversione di rotta rispetto al cammino segnato dall’evoluzione scientifica, tecnologica, politica e sociale del ventesimo secolo. Meccanizzazione, robotizzazione, informatizzazione, specializzazione, attività lavorative meno muscolari, meno ripetitive, meno cieche e che richiedono maggiore formazione, capacità decisionale, intelligenza e creatività.


Questo era il sentiero tracciato, il futuro dell’Occidente. Più spazio al negotium, durante e dopo l’età “attiva”, lavoro meno oneroso e più gratificante, meglio remunerato e con una forbice più ristretta fra le retribuzioni, con conseguente diffusione del benessere e accessibilità dei centri decisionali politici economici e culturali. Insomma un cammino per trovare, o ritrovare, condizioni di maggiore giustizia, maggiore uguaglianza, maggiore autonomia.  Che passano attraverso il contenimento della pressione demografica, prima causa, di inquinamento e devastazione dell’ambiente. Se in Italia la popolazione invecchia non è un male: è segno del miglioramento delle condizioni generali di vita; se il numero dei morti supera per qualche decennio il numero dei nati non è un male: sarebbe auspicabile un equilibrio intorno a cinquanta milioni di abitanti (negli anni Trenta del secolo scorso gli italiani erano circa 40 milioni); se i consumi si raffinano e cessano di crescere non è un male, perché la crescita non può durare all’infinito. Invecchiamento, contenimento delle nascite, raffinamento dei consumi sono aspetti diversi di una società fortemente caratterizzata da identità, autoconsapevolezza, orgoglio nazionale e individualismo, nutrita di studio, di memorie, di riflessione interiore: agli antipodi rispetto alla società massificata, anonima, guidata da pregiudizi e stereotipi – fra i quali oggi imperversa quello del disperato che fugge (ma chi lo insegue?) e rischia di annegare per raggiungere la Terra Promessa -, nella quale tutti i valori sono ridotti a merce; non solo l’accoglienza ma anche l’amicizia, la bellezza, l’amore, la stessa fede religiosa sono merce di scambio, strumenti politici, paraventi per fini ignobili. Io non ho avuto il dono della fede ma nei confronti del credente provo rispetto e forse anche un po’ di invidia. Ma sull’uno e l’altra ha prevalso la pena quando ho visto contaminare il dramma della Passione con la torbida tratta dei migranti e mi si è presentata nella mente la scena quotidiana dei giovani di colore che in tarda mattinata cominciano a sciamare in bicicletta in attesa del pranzo o degli spacciatori nordafricani padroni di interi quartieri. Il giorno dopo, la strage nello Sri Lanka: due parole di circostanza, stop. 

Perché la strage di cristiani richiederebbe una risposta e non dico necessariamente una risposta  di vendetta ma una risposta di pietà che scuotesse il corpo tutto della Chiesa. Ma vorrebbe dire rivendicare la specificità della fede, la Passione, il mistero di dio che si fa uomo e assume su di sé le colpe dell’uomo; e tutto ciò apre un abisso con l’Islam, per il quale l’umanizzazione di dio è una bestemmia. E allora meglio sorvolare, in nome dell’omogeneizzazione, dell’accoglienza, di una pappetta, che salvi il potere secolare, gli scranni e il patrimonio.

Di questo passo la Chiesa farà la stessa fine della sinistra e ce ne faremo una ragione. Perché, nonostante le sirene della globalizzazione l’umanità non si farà ridurre alla massa anonima e informe destinata all’inedia in un pianeta desolato. La difesa dei confini, che non è arroccamento all’interno dei propri confini, va di pari passo con la tutela della maternità consapevole e il contenimento delle nascite, che sarebbe vanificato senza la capacità di reggere alla pressione demografica esterna. E siccome non ci sono muraglie cinesi che tengano, chi ha a cuore le sorti della civiltà e la difesa della pace dovrebbe preoccuparsi di scongiurare l’alternativa fra quella massa anonima e informe e un conflitto planetario dal quale l’Africa uscirebbe annientata. 

p.s.

Mi giunge la voce garrula di una talecronista Rai “L’Italia sale sul podio dell’accoglienza”, esulta la ragazza, “nel 2018 siamo stati secondi solo alla Germania!”. Ma, dico io, Foa cosa ci è andato a fare all’emittente di Stato, a riscuotere lo stipendio?

 Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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