Quando l’informazione non si distingue …
QUANDO L’INFORMAZIONE NON SI DISTINGUE DALLA PROPAGANDA
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QUANDO L’INFORMAZIONE NON SI
DISTINGUE DALLA PROPAGANDA
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In campagna elettorale, si sa, i contendenti non vanno tanto per il sottile in fatto di correttezza e di scrupolo scientifico nello sciorinare promesse, “carte dei valori”, programmi, analisi demoscopiche più o meno attendibili, ricostruzioni storiografiche ad usum Delphini, valutazioni etico-politiche in bianco – o meglio – in rosso e nero; al punto che persino le cifre, le tabelle, le percentuali, le statistiche che dovrebbero rappresentare la situazione reale in cui versa l’elettorato (destinatario primo e ultimo, non dimentichiamolo, delle proposte dei vari e variati soggetti che agiscono sulla scena politica e mediatica nazionale) non sono esenti dal sospetto di essere – come volgarmente si dice – taroccate. L’impiego strumentale dei sondaggi, usati per confermare la presunzione di vittoria o per incoraggiare chi sta risalendo la china, è ormai una prassi talmente scoperta che non vale neanche la pena di soffermarcisi più di tanto. Ma, se così stanno le cose, come potrà il povero cittadino elettore che non sia già schierato a priori discernere l’affermazione vera dalla falsa, il giudizio fondato da quello arbitrario, l’esagerazione propagandistica dalla constatazione obiettiva, e infine orientarsi a ragion veduta nel ginepraio di liste e di simboli – tra cui molti inediti – che anche questa volta, malgrado la vantata “semplificazione” del quadro politico, troverà sulla scheda elettorale? E, questione ancora più inquietante, che uso verrà fatto del suo voto (ammesso che decida nonostante tutto di esercitare anche questa volta il suo fondamentale diritto-dovere democratico) a scrutinio ultimato e a proclamazione del vincitore – se ci sarà – avvenuta? In questa situazione fluida , infatti, e obbligati – dopo il fallimento dell’estremo tentativo di Marini – a votare con questa porcata (definizione di uno dei suoi autori) di legge elettorale, pensata machiavellicamente dalla maggioranza di centro-destra per arginare il danno quando si profilava una sua sicura sconfitta alle ultime elezioni politiche, è alta la probabilità che non esca dalle urne una maggioranza chiara e netta, e che comunque si riproduca una situazione di stallo al Senato analoga a quella che ha reso così travagliata e perigliosa la navigazione del secondo governo Prodi. Dunque, alla fine, tanto rumore e tanto dispendio per nulla? No, almeno un risultato queste strane elezioni anticipate lo avranno: i due partiti maggiori, liberatisi dalle ali (e dal piombo che ne impediva il volo verso la “modernizzazione”) potranno finalmente collaborare per le necessarie riforme, prima di tutto per quella costituzionale. E poi? Diamine! Poi si tornerà subito al voto. In un quadro politico semplificato e con nuove regole condivise? Così dicono, o meglio, così dicevano poco tempo fa il Cavaliere e il suo antagonista. Ora che infuria la campagna elettorale, i toni smorzati degli inizi hanno ceduto il passo alle iperboli, ai sarcasmi, ai gesti plateali amplificati dalla cassa di risonanza dei media (il programma dell’avversario stracciato tra gli applausi del Popolo della Libertà), alle accuse di apologia del fascismo riguardo alla controversa candidatura di Ciarrapico (“Berlusconi mette la camicia nera”. L’Unità dell’11/03). Come succede in queste occasioni i colori retorici si sprecano. Soprattutto, è ovvio, il rosso e il nero: “Rosa Bianca? No, rossa. Casini slitta a sinistra” (Il Giornale dell11/03); “I giorni neri di Fini e Berlusconi” (L’Unità del 12/03), e si potrebbe continuare. Ma c’è un limite all’uso di questi artifici verbali? Il limite dovrebbe essere quello dell’onestà intellettuale e della decenza: non tutto dovrebbe essere permesso agli opinionisti fiancheggiatori di questa o di quella parte politica. Prendiamo l’editoriale di Vittorio Feltri su Libero del 12/03. “Dagli al Ciarra fascista. I rossi invece…”, in cui già dal titolo si evince lo schema dicotomico dell’argomentazione, e vediamo se i suddetti limiti vengono rispettati. La tesi di Feltri, in sintesi, è questa: perché tanto clamore per la candidatura di un ammiratore dichiarato del Duce? E poi chi è che si scandalizza? “Gli ex fascisti passati all’antifascismo per convenienza, si presume”. A chi alluda il direttore di Libero non è chiaro: “Sulle prime pagine dei giornali sono apparsi titoloni simili a quelli cui si ricorre per annunciare la guerra mondiale. E non vi dico i commenti degli editorialisti di pronto intervento: torrenti di retorica e di luoghi comuni di norma sprecati soltanto nelle ricorrenze resistenziali. In sintesi: manganellate al fascista o almeno una bottiglia di olio di ricino per rinfrescare la memoria dei tempi eroici”. Qui Feltri usa proprio la figura retorica che imputa agli “editorialisti di pronto intervento “vale a dire l’iperbole, e la usa, mi si passi il bisticcio, in modo iperbolico. Inoltre: quali ex fascisti dovrebbero rinfrescarsi la memoria dei tempi eroici? Feltri non lo dice. Chi ha orecchi per intendere, intenda. Ma il fulcro, l’asse portante della sua orazione pro Ciarra è l’equiparazione tra camicia nera e camicia rossa: “Benissimo, la camicia nera è abolita insieme a chi osa indossarla sia pure idealmente o accidentalmente. Veltroni e Napolitano E allora cosa ne facciamo di quella rossa?” A questo punto ci si aspetterebbe la chiamata in correità dei “comunisti” Bertinotti, Giordano, Mussi e Di liberto testé confluiti nella Sinistra Arcobaleno ma pur sempre sospettati di nutrire sentimenti nostalgici per il vecchio Partito comunista. Macché: la camicia rossa a cui pensa Feltri è il democratico riformista Walter Veltroni: “Ciarrapico viene preso a calci nel didietro mentre Walter Veltroni è promosso dal Pci (?) a sindaco di Roma e ora candidato premier; e il suo compagno di partito, Giorgio Napolitano, siede da un biennio sul trono del Quirinale e rappresenta tutti gli italiani, compreso chi, come me, da un comunista che ha fatto la guerra fredda contro gli americani (il corsivo è mio) non si sente affatto rappresentato. Morale: bando ai fascisti, largo ai comunisti.” Bando ai fascisti, largo ai comunisti? E’ questa la morale del presidente Napolitano, di Veltroni, di Fassino, di D’Alema, di Franceschini, di Rosy Bindi? Se così fosse non ci troveremmo nell’Italia di oggi ma in quella del 1945- 46, addirittura prima del referendum istituzionale! Forse Feltri non ricorda che i fascisti sono già stati messi al bando dalla Costituzione repubblicana, cioè da quella legge fondamentale in cui i comunisti italiani, insieme ai socialisti, ai democratici cristiani e a partiti laici come quello liberale si sono riconosciuti e che hanno lealmente difeso contro i tentativi golpisti e contro la lotta armata delle brigate rosse; quindi affermare (tanto più dopo la Bolognina e la caduta del muro di Berlino) che “camicie nere e camicie rosse devono essere trattate nel medesimo modo” è compiere un’operazione mistificatoria e truffaldina. Franco Turigliatto e Marco Ferrando Perché allora Feltri la compie? Non tanto, credo, per difendere “er Ciarra” quanto per rimediare a un clamoroso autogol del Cavaliere. E’ questa la sua morale? La fedeltà al capo perinde ac cadaver ? E se pensa veramente che Veltroni sia una camicia rossa, di che colore sarà mai la camicia di Turigliatto e di Marco Ferrando, nipotini dichiarati del bolscevico Lev Davidovic Trockij? La morale di Ferrando ha, se non altro, il pregio della semplicità: il suo programma si compendia nello slogan “Se ne vadano tutti governino i lavoratori!” Non è geniale? Particolare secondario: una volta al potere, su chi governeranno i lavoratori? Sui disoccupati? Non disperiamo, l’importante non è vincere ma partecipare. Un “vecchio” articolo (del 2008)
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