Quando gli intellettuali dell’informazione si “pentono”.

Accade che le cose si sono capovolte.
La normalità e la regola esigerebbero che un’informazione corretta, onesta e il più possibile completa, la dessero alla gente gli specialisti dell’informazione.
Invece, appunto, le cose si sono capovolte.
Con il genocidio di Gaza e l’esproprio e le violenze protratte in Cisgiordania, è la gente che comincia a selezionare i contenuti e a far intendere che così come vengono proposti non interessano più, per cui se i giornali vogliono essere letti e le tivù accese, devono cambiare.
A mano a mano anche le persone cosiddette comuni, giustamente prese dalle mille incombenze quotidiane del lavoro e della famiglia e con poco tempo per informarsi, hanno sbottato e fatto intendere che non ne possono più di essere imbonite.
In vari modi, anche orecchiando notizie un po’ disordinatamente qua e là, sono però giunte ( e comunque sempre più giungeranno ) a rappezzarle a sufficienza e a metterle insieme in un puzzle che ha una sua valida realtà, nonostante i tentativi orchestrati dai media ( in particolare qui in Italia i più ascoltati TG e i più letti quotidiani ) di sviare, o falsare, o negare i fatti.
Sono andate cioè finalmente a costruire un quadro che vieppiù riflette l’atroce situazione collettiva la quale oltre a provocare terremoti geopolitici, rischia di essere il precedente che sconvolgerà il senso morale e la scala di quei valori che finora sono stati la stella polare dell’Occidente, perché ogni dittatore, despota o guerrafondaio, potrà sempre dire: “L’avete permesso a loro. Dovete permetterlo anche a me”.
E tutto ciò a causa di uno Stato che viene elogiato come il rappresentativo baluardo e la punta di diamante dell’Occidente, quando per chi conosca davvero un po’ la storia, era chiaro fin dall’inizio, e cioè molto prima della Nakba del 1948 con la quale furono scacciati dalle loro case 750.000 palestinesi, cosa fosse il sionismo e dove avrebbe portato un’ideologia basata sul suprematismo etnico e religioso ( vedasi al proposito la propaganda fine ottocentesca e primo novecentesca di Herzl e Jabotinsky ).

Proprio nel dicembre di 1948 in una lettera pubblicata sul New York Times, Hannah Arendt ed Albert Einstein, assieme ad altri intellettuali denunciavano il partito di Menachem Begin, cioè di colui che aveva organizzato l’attentato terroristico all’hotel King David di Gerusalemme e che in seguito sarebbe diventato Primo Ministro, come un “partito politico strettamente affine nell’organizzazione, nei metodi, nel pensiero politico e nell’ascendente sociale ai partiti nazisti e fascisti”.
Precisato che quel partito, denominato “Herut”, associato ad altri simili andò a costituire il “Likud”, cioè l’attuale partito di Netanyahu, non è una notazione da poco rilevare che lo stesso Einstein aveva affermato come la creazione dello Stato di Israele andasse a cozzare contro la “natura fondamentale dell’ebraismo”. Cosa vogliamo dire? Che Einstein, ebreo, era antisemita?
E’ in questo senso dunque che le cose si sono capovolte: invece di essere l’informazione a fornire con obiettività i dati affinché la gente comprenda cosa sta succedendo nel mondo e nello specifico ad un popolo sigillato tra un muro e il mare, riempito di bombe e svuotato di pane, è la gente che riesce per l’evidenza del superamento di ogni limite a capire col solo buonsenso e a tracciare la strada.
Gli intellettuali embedded, resisi conto che si è arrivati ad un punto in cui non hanno più  la credibilità di mantenere la rotta che si erano dati senza anche perdere la faccia, hanno pensato bene di cominciare a cambiare sia la rotta che la faccia.
Perché il tempo di coprire i fatti è finito. Perché i fatti parlano da soli.
Quando a una donna vengono uccisi, carbonizzati in un bombardamento, 9 dei suoi 10 figli, puoi dare tutte le interpretazioni ed escogitare tutte le scusanti che vuoi (vanno per la maggiore il caso imponderabile, l’errore umano, il forte sospetto che un terrorista si nascondesse nel cunicolo sotto casa…), ma i fatti parlano da soli.
E noi saremmo colpevoli se non li ascoltassimo.

Fulvio Baldoino

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