Quale Socialismo?

Quale Socialismo?

Quale Socialismo?

Viviamo un tempo difficile economicamente e socialmente, un periodo di fortissima instabilità istituzionale che investe paesi di ogni continente, con governi traballanti, repentine svolte politiche che si attuano nel giro di pochi mesi, si passa da destra a sinistra  e viceversa in un batter d’occhio.

 Ma comunque si cambi le ricette non sono mai  a tutt’oggi risultate definitive, chi subentra non per merito ma per abbandono dell’altro tampona una falla di chi è uscito mentre si apre altrove una voragine nuova e inaspettata, e il gioco ricomincia a parti invertite.

E’ chiaro anche ai più disattenti che così non è possibile continuare, siamo nel mezzo di una vera e propria guerra di tutti contro tutti, una guerra che si combatte sul terreno della finanza, sulla salita o discesa delle borse, sul morte tua vita mea, una guerra combattuta tra mercati mondiali per il controllo del potere.

Un conflitto senza esclusione di colpi che avventurieri di ogni paese, anche sotto forma di insiemi istituzionali o vicini alle istituzioni, innescano volutamente per interesse anche a costo di soffocare le vite dei cittadini, anche a costo di distruggere stati interi.

L’olocausto greco ne è la dimostrazione oggi più evidente.

Una nuova guerra mondiale combattuta non più sulla bocca del cannone o sulla punta delle baionette ma con la finanza, ma non per questo meno letale.

Nessuno può prevederne gli sviluppi sulla tenuta democratica e sociale, nessuno può prevederne la durata né la fine.

Non ci sono alleanze possibili, non possono esserci patti tra Stati contro altri Stati, proprio perché il nemico, l’avversario è trasversale, è dentro ognuno di loro, è una loro creatura, voluta o non voluta che sia, è una bestia tecnocratica e finanziaria creata che distrugge tutto perchè non è più controllabile.

Ogni alleanza decisa oggi sarebbe distrutta domani per un interesse che si rovescia, per volatilità degli impegni e degli scambi commerciali, per una speculazione alla quale con onestà bisogna dire  che a volte si guarda con favore se  questo serve a sanare le casse pubbliche che interessano.

Muoversi e declinare ricette risolutive in questo quadro sarebbe ed è quanto mai azzardato per chiunque.

Bisogna diffidare di chi ha e propone granitiche certezze proprio perché oggi non possono esistere.

Forse in questa fase difficile del mondo sarebbe meglio avere dei dubbi e delle perplessità in modo da poter aiutare al formarsi di una corazza, una difesa culturale e ideale, per quanto debole e virtuale possa apparire , un punto da cui ripartire e ricostruire una coscienza civica scomparsa.

Ma chi soffre di più questa situazione?

Chi resta steso agonizzante sul campo di battaglia?

Chi muore un poco alla volta ogni giorno dimenticato da tutti?

Sono i più deboli, è la popolazione inerme dell’Italia e del mondo che ogni giorno si arrangia come meglio può spesso vergognandosi di fronte ai propri figli per non poter fare meglio, sono tutti i giovani di ogni continente abbandonati a se stessi ai quali demagogicamente tutti guardano ma che in realtà nessuno aiuta, sono le famiglie bisognose di supporti concreti e non di parole dispensate con troppa facilità, sono i lavoratori, i pensionati, le donne troppo sole nell’accudire una famiglia sempre più precaria.

Ma queste categorie si stanno allargando sempre di più, anche il cosiddetto ceto medio impiegatizio, gli artigiani, le piccole imprese e tutta la piccola borghesia come viene definita nel secolare politichese, è entrata oramai stabilmente a fare parte del gruppo dei disagiati, di quelli che oramai sono sul lastrico. La crisi delle strutture pubbliche disintegrate sull’onda del privatismo interessato di governi senza concezioni morali, diventate un bancomat a cui attingere denari e privilegi, strutture al collasso come il comparto sanitario, quello dell’istruzione, quello giuridico, ebbene tutto questo ha accentuato le difficoltà creando ulteriore disagio e rabbia, tanta rabbia. Rabbiosità e sentimenti rancorosi radicati come sono oggi sono un composto che è in gradi di esplodere in ogni momento. Insomma siamo nell’ 8 settembre del duemila, si è diffuso un concetto quasi anarchico e personalistico, di autodifesa, un concetto diffuso in ogni campo sociale e politico, un concetto che porta a un’antisolidarietà obbligata dagli eventi e quindi allo sfascio complessivo dei cardini democratici.

  Ma il mondo non finanziario, cosa pensa?
 Cosa provano tutti quelli che vivono il disagio della sofferenza ogni giorno?
  Che cosa sanno veramente di quello che succede?
  Quale sono i loro sentimenti?
  Hanno speranze da coltivare o sono sprofondati nella rassegnazione?
  Quanto potranno ancora sopportare la loro condizione di povertà crescente?
  Quali messaggi positivi possono raccogliere e da chi?
  Quando la loro rabbia esploderà?

Non si sa rispondere a queste domande, la politica chiamata a fornirle appare troppo debole colpita a fondo dalle pratiche opportunistiche di chi la utilizza come mezzo per se stesso.
La politica così indebolita ha abdicato alla sua funzione regolatrice, ha ceduto il suo ruolo di mediatrice degli interessi collettivi sotto i colpi del populismo, del razzismo e del conservatorismo più minaccioso e malvagio.

Questa debolezza dimostrata dalla politica ha segnato la linea Gustav tra Istituzioni e cittadini.

Non sarà semplice abbatterla, ma qualcosa si sta muovendo, lentamente, quasi con timore ma inesorabilmente.
Sono i  principi del Socialismo.
E’ l’idea antica che non esiste nella destra che ha governato nel mondo il processo deleterio che ci portato nell’abisso che viviamo.
E’ l’idea antica inesistente nella destra populista e razzista che non ha capito che si globalizzava anche la povertà e non solo le opportunità.
Il Socialismo è l’idea della creazione del lavoro come raggiungimento della dignità dell’uomo e non del suo sfruttamento, è l’idea della solidarietà, della giustizia sociale, del riconoscimento dei meriti, della progressiva contribuzione per il bene comune.
I risultati che giungono dalla Francia dicono che li si è iniziato a capire, risultati che scuotono il senso di potenza delle destre di tutto il mondo, vedremo presto i fatti che seguiranno e se saranno rappresentativi delle aspettative.
Si sta prendendo atto comunque che un mondo diverso è sempre possibile, e lo è oggi più che mai.
Il riformismo, parola proibita in una larga parte della sinistra per molto tempo, ha riacquistato la sua naturale definizione, ha ripreso ad essere il faro a cui guardare per evitare gli scogli, ha sciolto l’enigma che tautologicamente rispecchiava la borghesia nemica del proletariato.
Ma l’uno e l’altro non sono più i movimenti di massa contrapposti, sono entrambi precipitati nella voragine aperta per volontà di loro stessi, per colpa delle loro azioni sbagliate.
Il riformismo, cioè il giusto equilibrio economico e sociale, pilastro del socialismo non solo europeo, sarà un processo ineluttabile per ritornare a vivere serenamente.
Condizioni di vita più eque che non si realizzeranno in poco tempo, ne si vedranno miglioramenti delle condizioni sociali delle popolazioni a breve solo perché qualcuno lancia demagogici messaggi.
Servono invece crescite culturali profonde, lunghe, meditate, discusse, che possano sradicare dal tessuto sociale le radici malate di un modo distruttivo di intendere  la politica, l’economia, l’interesse comune, la solidarietà, il senso civico.
Serve capire che la scuola è la base della formazione della classe dirigente di domani, serve capire che nessuno può essere curato solo se ha possibilità economiche, serve capire che ad ogni torto subito deve seguire la giusta pena.
Serve capire che ogni lavoratore non è uno strumento utile a rafforzare il capitale manovrandolo come un cacciavite solo quando serve e gettandolo quando è usurato.

In ogni caso una cosa oramai è certa e appurata : solo l’ideale socialista potrà darci speranza.

Anche dall’altra parte della barricata lo hanno capito, addirittura lo si sponsorizza e forse anche perché si spera in questo modo di difendere il proprio particulare.

In modo trasversale si auspica da più parti che questa idea del socialismo, democratico, progressista si radichi a fondo,  dal Santo Padre agli Stati Uniti, dall’Africa in rivolta all’oriente in espansione, al mediterraneo continentale europeo.
Se quest’onda di speranze anche in Italia si sta rafforzando significa che un risveglio sensibilmente concreto può dare i suoi frutti.

In ogni angolo del Paese, in ogni provincia nascono e rinascono nuovi e vecchi gruppi, si ritrovano e discutono, si cerca di riorganizzare e riprendere un filo antico declinandolo all’oggi.
Questo è un buon segnale per il futuro, ma è un bene solo se è portato dalla reale volontà di rendere egemoni i principi cardine del socialismo nella società.
Diviene invece un male letale se si cavalcano tali idee per interesse personale o di gruppo, se sotto tali bandiere si celano distorsioni autoritarie, se il culto del personalismo strozza l’interesse collettivo.
E’ già successo, la storia lo racconta.
I nomi e le sigle non sono mai importanti se dietro la facciata si nasconde ben altro, in fondo il partito hitleriano non aveva nel nome anche la parola socialismo? E il buio e controverso periodo staliniano non inneggiava forse al socialismo anch’esso? 
Ma gli estremi sono le eccezioni.
Alla buona fede oggi non bisogna mai voltare le spalle preventivamente o con pregiudizio, abbiamo imparato che bisogna capire, studiare, valutare.
Resta però il fatto che il Socialismo non può riproporsi soltanto con il ripristino di sigle o contenitori vari, non può essere un rassemblemant di uomini e non di idee.
Il rendez-vous localistico ben venga ove nasca, può aiutare ma è da ritenersi marginale e non sufficiente, può essere un mezzo e mai un fine dedito in prospettiva ai bilancini elettorali o dettato dal senso di isolamento creatosi negli anni per singoli o per qualche gruppo.
Se il Socialismo, se le sue idee non sono nella testa della gente, se non sono nella coscienza delle persone nessun contenitore dell’ultima ora e nessuna sigla generalista per convenienza potrà aiutare la corsa delle parole d’ordine progressiste.
Serve preventivamente rendere l’opinione pubblica cosciente di quanto siano importanti i principi socialisti.
Poi verranno i contenitori e le sigle, solo dopo questo passaggio, e a conseguenza di questo si rafforzeranno con nuovi sostenitori, non prima, per questo oggi la frammentazione è dilagante, basta pensare a quanti gruppi si richiamano al socialismo nel nostro paese soltanto per interesse.
La difficoltà è nel provare a cambiare la cultura perché il socialismo è battaglia culturale prima di tutto e non può essere sparpagliato in mille rivoli creando confusione e diffidenza poi difficile da estirpare.
Questo è quello che succede oggi in Italia, sedicenti socialisti a sinistra, a destra, al centro, nell’estremismo addirittura, nei movimenti, nei gruppi religiosi, ovunque.
La capacità per chi crede veramente nell’idea socialista sta altrove.
Sta nella voglia disinteressata di cambiare il pensiero comune oggi distorto nell’apparire, nell’idea che se non hai non sei, nella cultura leaderistica dell’io, sta nella convinzione che cambiare è possibile, sta nella forza di far maturare nell’opinione pubblica una nuova cultura.
Fare partiti e definire sigle anche eclatanti è alla portata di chiunque.
Il percorso principale e preventivo è quindi culturale, reinserire nel pensiero sociale quei concetti solidali che la destra è riuscita a cancellare corrodendo le menti, facendo passare le proprie istanze opportunistiche secondo le quali tutto sarà più bello e tutti staranno meglio se si toglieranno dai piedi tutte le cose inutili.
Non serve andare chissà dove, basta guardare all’Italia dove la destra considerava il Parlamento un fardello senza senso esistenziale, un fastidioso peso da eliminare, la difesa dell’illegalità inserita nelle pieghe dei provvedimenti approvati, la giustizia definita fucina di sovversivi, il potere utilizzato per fini personali e di gruppi ristretti, la difesa dei privilegi di pochi a scapito di tutta la collettività, l’elenco è lungo e angoscioso.
E’ questo che è stato innestato nel tessuto sociale italiano, e questo va estirpato gradualmente, un processo lungo e paziente che va iniziato dove ancora non si è fatto e va rafforzato laddove è iniziato.
Costruire assemblaggi ulteriori oggi dove la concezione dell’arrivismo opportunistico si è solidificato potrebbe produrre il risultato opposto a quello auspicato, potrebbe ottenere il risultato opposto nell’opinione pubblica di ulteriore repulsione.
Ci ritroveremmo con tanti piccoli generalotti localistici e di quartiere, senza autorevolezza e credibilità ai cui ordini ritroverebbero solo se stessi.
La confusione si accentuerebbe e dietro l’angolo un nuovo autoritarismo attende solo che ciò possa avvenire.
E’ la funzione unitaria l’unica in grado di avere la forza politica necessaria e non la frammentazione galoppante, un modo certo per far maturare nuove sconfitte.
Perché allora non spendersi all’interno di ciò che già esiste, perché non rafforzare l’esistente uscendo dalla carboneria, perché non spendersi in quelle sedi politiche esistenti evitando continui distinguo?
Sarebbe allo stato attuale la scelta più opportuna, più saggia e più utile non solo per ritrovare sentieri comuni che la storia ha divaricato spesso, ma per andare insieme verso l’unica via percorribile che si intravede oggi per l’Europa che la Francia ha indicato e della quale l’Italia è un tassello fondamentale.
Giustizia e libertà” questo urlavano in faccia al fascismo i fratelli Rosselli prima di essere massacrati di botte dalle camice nere.
“Pace, lavoro e democrazia” erano le parole d’ordine di migliaia di italiani di ogni età e di ogni classe sociale, uccisi e internati durante la Resistenza.
Ma la giustizia, la libertà, il lavoro, il rispetto della democrazia non sono forse le parole invocate anche oggi? Non sono forse le cose che si chiedono oggi?
E non sono forse queste parole sulle quali girano i cardini del Socialismo?
Ognuno si interroghi se sia meglio rinchiudersi e differenziarsi per interesse di localistiche botteghe o se sia meglio e più opportuno battersi per il bene collettivo.
E’ la seconda opzione che delimita il perimetro socialista, al di fuori di questo recinto è un’altra cosa che oggi non interessa a nessuno.

 

DOMENICO MAGLIO

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