Quale istruzione renderebbe vincente il popolo italiano?
Se l’apprendista era sveglio, aveva fretta di diventare imprenditore autonomo e assumere apprendisti, e si licenziava anche prima di diventare maggiorenne. Serviva un ricco salario per indurlo a rinunciare a lavorare in proprio e restare a produrre per l’artigiano che gli aveva insegnato il mestiere.

Il popolo italiano ha sempre pensato che i lavoratori dipendenti della scuola, cioè i Professori, non avessero alcuna difficoltà a formare soggetti autonomi, datori di lavoro, produttori di profitti onesti per sé, salari per i lavoratori, e tasse per lo stato.

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Ma nella classifica nazionale e forse anche mondiale delle buone intenzioni, occupa di diritto il primo posto, aver pensato che i professori al pari degli Artigiani fossero in grado di formare giovani con vocazione a l’autonomia imprenditoriale.
Non è andata così. Nemmeno con una sfilza di laure e master la scuola italiana riesce a formare imprenditori. Professionisti ne sforna a vagonate ma imprenditori manco uno.
Al meglio produce precari nella scuola o nella pubblica amministrazione, o cervelli in fuga, o maratoneti dei concorsi per dipendente pubblico: 3000 per contendersi un posto di infermiere.
Secondo Umberto Eco il problema italiano sono le specializzazioni. Sapere tutto di poco anziché poco di tutto è utilissimo e produttivo per sé, ma letale per la collettività. Diceva:
hanno sempre conoscenze più vaste
dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti. Più cose uno sa, più le cose non gli sono andate per il verso giusto».
Forse è il caso che la classe dirigente incominci a riflettere se la scuola italiana sforna “vincenti o perdenti”. Perché se forma validi professionisti specializzati e “vincenti”, impoverisce l’Italia di soggetti “perdenti”, (come li definiva Umberto Eco) con un’ampia cultura e una visione complessiva della realtà, indispensabile per fare impresa e per governare bene lo Stato senza rischio default per scarsa produttività, o guerra civile per ingiustizie sociale.
Franco Luceri da il rebus della cultura