Qualcosa sulla sesta Operetta: “Dialogo di Malambruno e di Farfarello”

Testo breve. Brevissimo. Secondo per brevità solo al famoso Dialogo del venditore d’almanacchi.
Breve perché c’è poco da dire e poco da fare: la felicità non si raggiunge. Mai.

Il mago Malambruno si serve dei suoi poteri esoterici affinché qualcuno tra gli spiriti dell’abisso col permesso di Belzebù si rechi da lui in persona e gli procuri la felicità o gli fornisca la formula perché lui stesso possa procurarsela. Ma, vedremo subito, resterà amaramente deluso.
Verrà inviato Farfarello con facoltà di fare, per servirlo, quanto non riuscirebbero tutte le altre creature messe assieme.
Un buon diavolo, Farfarello, in fondo. Disposto anche a scatenare tutto il suo potere pur di accontentare il mago ed evitare per giunta di essere punito dalle di lui magìe.
Però non può e, precisa, non potrebbe nemmeno il suo padrone Belzebù in persona.
Nobiltà, donne, imperi, onori, fortuna. Nonché ricchezze, tante ricchezze ( e Farfarello approfitta parlando di esse per dimostrare che per quel che gli compete non mancherebbe addirittura di prodigarsi per anticipare il futuro fornendogliene più di quelle che si troveranno nella città di Manoa quando sarà scoperta ).
Una prova ulteriore che la felicità è impossibile.
Malambruno a questo punto si arrende. Abbassa la posta e rilancia:

Malambruno – Non potendo farmi felice in nessuna maniera, ti basta l’animo almeno di liberarmi dall’infelicità?
Farfarello – Se tu puoi fare di non amarti supremamente.
Malambruno – Cotesto lo potrò dopo morto.
Farfarello – Ma in vita non lo può nessun animale: perché la vostra natura vi comporterebbe prima qualunque altra cosa, che questa.

L’uomo non riesce a non amare se stesso, e perciò vuole per sé sempre di più e sempre meglio.
Non vi sono limiti a questo volere.
Quella che segue nel dialogo non è quindi una domanda, ma una constatazione che Malambruno fa prevenendo la spiegazione di Farfarello.
Sono parole pronunciate a voce alta come in un “a solo” teatrale, che valgono però per tutti, nessuno della virtuale platea del mondo escluso:

Malambruno – [ La felicità non è possibile ] né anco nei tempi che io proverò qualche diletto; perché nessun diletto mi farà né felice né pago. [ … ] E perciò, non uguagliando il desiderio naturale della felicità che mi sta fisso nell’animo, non sarà vero diletto; e in quel tempo medesimo che esso è per durare, io non lascerò di essere infelice.

Persino i momenti privi di dolore non comportano la felicità.
Sono solo pause vuote che in esordio possono sembrarla a chi stava soffrendo, sicché se non ci fosse il sonno senza sogni o lo svenimento di chi perde i sensi, tautologie temporanee della morte, si potrebbe dire che essa è il miraggio sempre agognato e mai raggiunto dal primo all’ultimo dei nostri giorni.
Meglio dunque il non vivere che il vivere.

E a Farfarello, essere infernale con nome leggero da commedia, non resta che proporre al mago Malambruno l’unica pesante alternativa all’umana disavventura di esistere: consegnargli anzitempo l’anima. Perché lui, se serve, è già lì, pronto per portarsela via.

Fulvio Baldoino

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