Qualcosa sulla ottava Operetta: “Dialogo della Terra e della Luna”

L’umanità ha bisogno di crescere.
L’incipit dell’Operetta ci mostra che è ancora fanciulla perché come i fanciulli crede che la Luna sia una persona con le fattezze del viso di una donna, e che naturalmente oda e parli.
Leopardi sta al gioco che lui stesso immagina, risultando doppiamente ironico.
Ci dice che la Luna non è come la pensiamo. Anche perché nulla di noi le importa. Viaggia. Fa i suoi giri. Troppo presa da quello per impegnarsi dando corda alle nostre fantasie.
Strano, detto da un poeta che con la Luna aveva già parlato e tornerà a parlare. Detto da un vero e proprio innamorato della Luna. Bella e indifferente.

Il Dialogo è per un verso in continuità marcata con la coppia di Ercole e d’Atlante e del Folletto e di uno gnomo sulla vacuità fisica ( ma figurativamente morale per l’incrocio di vanità e vuotezza ) della Terra; e per l’altro verso con la coppia del Dialogo di Malambruno e Farfarello e della Natura e di un’Anima sulla illusione della felicità:

Terra – Luna mia bella [ … ]  non ti ho fatto mai parola insino adesso, perché le faccende mi han tenuta occupata in modo, che non mi avanzava tempo da chiacchierare. Ma oggi che i miei negozi sono ridotti a poca cosa, anzi posso dire che vanno co’ loro piedi; io non so che mi fare, e scoppio di noia.

Leopardi, come poi ne La ginestra, pensa ad un “secol superbo e sciocco”, dove il silenzio è dato dai discorsi che non dicono niente.
Non è ovviamente l’unico tema dell’Operetta, e neanche il più importante, che semmai risulta essere quello per cui l’uomo proietta, per un impulso incontenibile, puntualmente su altro ciò che egli è.
 Ha questa prepotenza naturale, eterno Procuste, di commisurare tutto al suo letto.
Non stupisca che alla domanda che la Terra rivolge alla Luna per sapere se è abitata, la risposta sia:

 Luna – [ … ] io sono abitata.
Terra – Di che colore sono cotesti uomini?
Luna – Che uomini?
Terra – Quelli che tu contieni. Non dici tu d’essere abitata?
Luna – Sì: e per questo?
Terra – E per questo non saranno già tutte bestie gli abitatori tuoi.
Luna – Né bestie né uomini; che io non so che razze di creature si sieno né gli uni né l’altre. E già da parecchie cose che tu mi sei venuta accennando, in proposito, a quel che io stimo, degli uomini, io non ho compreso un’acca.

E via di questo passo a canzonare l’antropocentrismo riferendo di chi mentre osserva la Luna, magari  alzandosi sulla punta dei piedi o puntandole il cannocchiale, ha visto fortezze, strade, coltivazioni…; e della Luna pensa che si senta molestata dai cani che le abbaiano contro, che abbia un sesso, che sia fatta di cacio fresco, che le piaccia mettersi in cima ai minareti.
Ma lei, Diana, Artemide, Selene, Ecate, Pandia o com’altro la si voglia chiamare, non sa dei nomi che le affibbiano né degli oggetti che hanno pensato di piazzarle sopra, né della pace e della guerra o di quel che dicono di lei Pitagora ed Orfeo, né delle imprese varie di cui la Terra le va cianciando, naturalmente annoiandola.
La ascolta per l’obbedienza che un’ancella deve alla sua padrona, abituata com’è a satellitarle attorno senza fiatare.Ma siccome tutto ha un limite se si insiste a sproloquiare su cose strampalate, sbotta:

Luna – Perdonami, monna Terra, se io ti rispondo un poco più liberamente che forse non converrebbe a una tua suddita o fantesca, come io sono. Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente da per tutto.
E poco oltre aggiunge: [ … ] in cambio di voltarti a me, che non ti posso intendere, sarà meglio che ti facci fabbricare dagli uomini un altro pianeta da girartisi intorno, che sia composto e abitato alla tua maniera.

Al che la Terra cerca di correggersi, ma confessa che non è facile còmpito:

 Terra – Veramente, più che io propongo, nel favellarti, di astenermi da toccare le cose proprie, meno mi vien fatto.

 Come dire che ognuno di noi non riesce sempre e del tutto a recepire il discorso dell’altro così com’è, e ci mette del suo.
Tuttavia la ulteriore domanda che pone ora è più centrata, meno condizionata dal consueto luogo da cui faceva partire la logica di ogni discorso, cioè da sé. Desidera sapere, senza preconcetti:

Terra – [ … ] sei tu che ti pigli spasso a tirarmi l’acqua del mare in alto, e poi lasciarla cadere?

La Luna questa volta non si spazientisce.
Le risponde solo che non lo sa. E che se provoca le maree, lei non se ne avvede. Come allo stesso modo la Terra non saprà di provocare effetti su di lei ( la Luna ), e magari più grandi, se proporzionati alla sua grandezza, come è quello di privarla della luce durante le eclissi.

A questo punto non ci si aspetterebbe che alla domanda della Terra se intenda i nomi e sappia i significati dei vizi, i misfatti, gl’infortuni, i dolori, la vecchiezza, in conclusione i mali
la Luna risponda, ed anzi esclami, di sì.
Non per gli uomini, abbiamo visto, ma per esseri lunatici, forse invisibili, forse impalpabili. Chissà!  Che comunque di certo ci sono, pieni di difetti e d’infelicità, tal quale i terrestri, e persino di più. Perché essendo transitate alcune comete vicino, e trovatisi Venere e Marte un certo giorno dappresso per la legge delle eclittiche, ne chiese loro, e da tutti ebbe lo stesso responso di una infelicità sparsa dappertutto tra pianeti e stelle, come quella che sola ci accomuna nelle infinite differenze.

Poiché è dunque il sonno il massimo dei beni, dice la Terra, e il commercio di parole ad alta voce potrebbe svegliare chi di norma la notte dorme, ecco la proposta di riparlarsi in altro momento.

La Luna ne è stupita perché, osserva,  da questa parte, come tu vedi, è giorno.

E con questa osservazione provoca una risposta che lascia intendere come ognuno degli esseri del cosmo, continuerà a vedere le cose dal suo punto di vista.
Sulla faccia dell’una è giorno e su quella dell’altra è notte.
Sono una di fronte all’altra. Ma non si affrontano.
Le loro facce sono una chiara e l’altra scura, ma non si osteggiano, non questionano, non dibattono.
Si accettano, così diverse come sono e come appaiono, ancora in cerca di risposte ma adesso consapevoli, almeno, che al prossimo incontro potrebbero benissimo essere l’una al posto dell’altra nel movimento eterno e reciproco dei corpi celesti. E perciò così si salutano:

TerraBuon giorno.

Luna Buona notte.     

Fulvio Baldoino

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