“Supercàzzora (pitturata)”

DAI SIMULACRI DI SENSO AL SENSO DEI SIMULACRI

La mia presentazione alla mostra “Supercàzzora (pitturata)”
 di Roberto Guerrini e Luca Tardito.
Galleria “Immaginecolore”, Vico Del Fieno, 21r. Dal 18 /12 al 6/01. Genova

DAI SIMULACRI DI SENSO AL SENSO DEI SIMULACRI
La mia presentazione alla mostra “Supercàzzora (pitturata)” di Roberto Guerrini e Luca Tardito.
Galleria “Immaginecolore”, Vico Del Fieno, 21r. Dal 18 /12 al 6/01. Genova

Nel regno della comunicazione globale e della “società dello spettacolo”, nonché del mondo ridotto a mercato, in questa epoca caratterizzata dall’ industria culturale e dalla cultura di massa, dal progresso continuo di una techné volta a colonizzare e a manipolare oltre ai nostri corpi anche le nostre anime, quindi dalla produzione di merci immateriali come le immagini visive o sonore che viaggiano ininterrottamente attraverso l’etere da un capo all’altro del pianeta per suggerirci sempre nuovi desideri e venderci sempre nuovi sogni, e dalla fine dei metaracconti ideologici o mitologici che davano un senso alla storia universale almeno fino alla metà del secolo scorso, e in cui prevale ormai un’idea

 dell’uomo come produttore e consumatore potenziale di prodotti sempre meno rispondenti ai suoi bisogni primari, la distinzione tra natura e cultura, o, se si preferisce, tra realtà vera e virtuale diviene sempre più ardua, tanto che non sembra nemmeno più tanto paradossale considerare più vero quello che appare sui teleschermi o sul monitor dei computer, piuttosto che gli oggetti percepiti direttamente tramite i nostri vecchi sensi che, come si sa, sono variabili e soggettivi. In questo contesto di immagini virtuali e masterizzabili su disco, di “simulacri” che rinviano solo a se stessi, di manufatti in serie e di riproducibilità tecnica, quale funzione e quale senso può trasmettere ancora un’opera d’arte originale? A questa domanda rispondono con le loro proprie opere, con il loro concreto “fare” (poiein) arte Roberto Guerrini e Luca Tardito, due artisti che, pur con percorsi e scelte stilistiche diverse e personalissime, convergono nel considerare il loro lavoro un’azione di resistenza, oltre che di autorealizzazione e di donazione di sé all’altro da sé, nei confronti della mercificazione imperante dei “prodotti” culturali e del tempo impiegato nel produrli.   Il tempo di lavoro di un artista, infatti, non è monetizzabile, non produce ricchezza (se non interiore), non è misurabile secondo parametri di efficienza o di logica aziendale: è un tempo, per così dire, sottratto al ciclo alienante, e sempre più fine a se stesso, produzione-consumo e consumo-produzione; è un tempo non perso ma guadagnato, anzi liberato, per sé, e per quel “fare che, mentre fa, inventa il suo modo di fare” (Pareyson). Che senso hanno quegli ariosi, assurdi, affastellati e al tempo stesso nitidi Agglomerati architettonici dialettali dai colori mediterranei, che richiamano le fiabesche composizioni di Joan Mirò (o del Lele Luzzati delle calviniane Città invisibili), a cui Roberto Guerrini affida il suo “racconto per immagini” o “Supercàzzora (ragionata)”, se non, appunto, come scrive egli stesso ”il racconto, la sua laica essenzialità, la sua ‘relativa’ direzione (in luogo di verità più o meno rivelate)”? E quale altro senso avranno quei corpi fragili di adolescenti che affiorano alla superficie come attraverso il vetro di un acquario, o quel volto bellissimo di Karin dai contorni sfumati o addirittura cancellati, quasi emergesse alla memoria da lontananze di tempo e di spazio, a cui Luca Tardito ha dedicato tanta amorevole cura?

Anche in questo caso si tratta di racconti per immagini, immagini che raccontano frammenti di una storia interiore non esprimibile che attraverso quelle figure silenziose e assorte nel loro mistero non fugace. Queste opere, quindi, tutto possono essere meno che vuoti simulacri o icone seriali da vendere sul mercato mediatico della cultura di massa:

oltre che a sé stesse, si rivolgono, tramite lo sguardo dei loro autori, al nostro sguardo di spettatori, a cui si offrono   senz’altro fine che non sia quello di   essere contemplate come momenti o episodi di una ricerca o narrazione visiva non consumabili alla stregua di un qualsiasi prodotto immateriale che dura l’espace d’un matin o di uno spot.

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