PRIVATIZZARE TUTTO…

PRIVATIZZARE  TUTTO…
ANCHE  LO  STATO!

PRIVATIZZARE  TUTTO…ANCHE  LO  STATO! 

 La panacea che oggi echeggia nei palazzi del potere è: privatizzare (l’altra è crescere). Purtroppo questa parola è spesso associata a un’altra: liberalizzare, che sarebbe ottima se applicata (ma non lo è) ai grandi monopoli, mentre la si applica ai piccoli imprenditori, col risultato di farli scannare tra loro, in una guerra tra poveri che vede abbassare le saracinesche di migliaia di piccole ditte e negozi al dettaglio.

 Ma soffermiamoci sul primo verbo magico: privatizzare, cominciando dalla privatizzazione più subdola e perversa: quella del denaro. Un’operazione sempre condotta in assoluta segretezza; tanto segreta che è soltanto dal 2004 che è stata accidentalmente scoperta e portata a conoscenza del pubblico tramite i canali di Internet ed editori minori.

La moneta cartacea (banco nota) nacque con l’intento di rappresentare niente di più che un’attestazione della sua corrispondenza ad un equivalente in oro nelle casse delle banche di interesse nazionale prima, e della banca centrale, poi. Pubbliche o private che fossero, l’importante era che ci fosse un organo di sorveglianza pubblica che verificasse l’effettiva corrispondenza del denaro circolante con la riserva in oro.

Questo controllo venne via via scemando al crescere del passaggio in sordina della banca centrale da pubblica a privata, assegnando alle banche che avrebbero dovuto essere controllate il compito di controllare se stesse. La confusione pubblico-privato risultò tale che oggi ripugna anche soltanto pensare che i lingotti d’oro della Banca d’Italia, anzi di Bankitalia SpA, per il 95% privata, non siano più una proprietà di noi cittadini, bensì delle banche che sono riuscite a scippare la nostra banca centrale: dapprima, e per anni, in maniera del tutto illegale, in quanto il suo Statuto imponeva che fosse almeno al 50% pubblica (e già ci sembra un paradosso che potesse legalmente essere privata al 50%); poi, con l’insediamento del governo Prodi nel 2006, in piena legalità, grazie ad una legge varata ad hoc per legalizzare l’illegalità, con l’avallo del neopresidente della repubblica, Giorgio Napolitano, che senza remore la firmò.

Ma, si sa, l’appetito vien mangiando, e i banchieri proprietari di Bankitalia mal digerivano che dei documenti tangibili come le banconote testimoniassero un loro debito, sia pur teorico, verso la collettività. Avevano ben presente le corse agli sportelli durante le tempeste perfette del 1907 e del 1929, quando i risparmiatori, diffidando delle semplici ricevute scritturali (e oggi elettroniche) dei loro depositi bancari, vollero avere strette in mano delle banconote avallate dallo Stato. Eh sì, perché, se la fiducia nelle banche vacillava, quella nello Stato resisteva come baluardo di ultima istanza. Il panico del 1907, da cui si uscì solo grazie all’arrivo del Lusitania carico di lingotti d’oro del banchiere J. P. Morgan, servì a giustificare l’istituzione, nel 1913, della banca centrale americana, la Federal Reserve, privata sin dai suoi inizi. La depressione post-1929, di ben più vaste proporzioni, spinse il governo USA a varare nel 1933 il Glass-Steagall Act, che separava con un muro antincendio le banche di deposito da quelle d’affari. In sostanza, proibiva alle prime di giocare coi soldi dei depositanti in operazioni speculative i cui rischi sarebbero ricaduti sulle spalle di questi ultimi.

Ma la memoria, specie in campo finanziario, è molto corta, e nel 1999 quell’Act venne abrogato dal presidente Clinton, lasciando libere le banche di deposito di comportarsi, coi soldi dei loro risparmiatori, come in un casinò di respiro mondiale (salvo subito dopo indossare anche i panni di banche commerciali, per godere dei sussidi del governo, di banche d’affari come Goldman Sachs e Morgan Stanley ). Controlli? 

 Lasciati a quelli che avrebbero dovuto essere i controllati, secondo il classico spirito neoliberista che a regolare il mercato ci pensa la sua stessa “mano invisibile”. Abbiamo visto, a partire dal 2007, i risultati di questa deregulation a oltranza: una nuova tempesta perfetta, nella quale le banche si sono salvate grazie all’intervento dei tanto vituperati Stati, disprezzati in tempi di vacche grasse e invocati quando le vacche diventano magre.

 

E le vacche, fuor di metafora le banche, oggi sono davvero magrissime, nonostante i recenti stress test che le davano in buona condizione (un po’ come Lehman Bros secondo le agenzie di rating fino al giorno prima del crac) ; basta guardare le loro quotazioni in Borsa, dove sono ormai pennystock (inferiori a € 1). Anche se ciò non toccherà minimamente i loro vari CEO, CFO, COO, etc., che giocano coi soldi degli altri, cioè noi.

Completato l’affondo sulle banche, i mai pentiti neoliberisti hanno allora pensato di dare l’assalto diretto agli Stati, cioè a quelle boe di salvezza cui ricorrere dopo aver portato la società civile alla rovina. Dopo di che sul mare non galleggerà più nulla.

Ma si possono privatizzare gli Stati? Certo che si può: basta assumere il controllo delle loro funzioni, cosa che sta avvenendo alla grande, anche sul fronte finanziario, indebitandoli e indebolendoli attraverso l’emissione, contro titoli di Stato, di moneta a costo zero, fatta pagare allo Stato con l’aggiunta di interessi crescenti in proporzione inversa alla loro affidabilità (decisa sempre dai “mercati”). L’interesse è visto, non come una rimunerazione per l’immobilizzo nel tempo di un capitale (sia pur fiat money, denaro virtuale), quanto invece, come nel gioco d’azzardo, un indice di rischio. Del resto, è così che l’hanno sempre considerato banche e usurai, gravando sulla schiena di un debitore o mutuatario quanto più probabile la sua insolvenza (determinando quindi una maggiore probabilità che insolvente diventi: vedi la Grecia, a un passo dal baratro, dentro cui precipiterà tanto più velocemente quanto più alto il tasso d’interesse praticatogli, oggi del 70% (!); e vedi l’Italia, oggi al 6%, e in quotidiana salita).

In parallelo a questi attacchi agli Stati da parte dei “mercati” (sui quali rimando al mio articolo “I giudizi dei mercati” dell’11/09/2011), il mondo bancario, col plauso e il patrocinio dello stesso Stato, sta da anni infierendo sul denaro contante, affinché tutte le transazioni passino attraverso le banche in forma tracciabile, col pretesto delle transazioni in nero e del riciclaggio (sullo stile di tutta la grancassa dell’antiterrorismo dopo l’11 settembre 2001, servita soprattutto a scipparci privacy e libertà d’azione). E il governo prossimo venturo, per bocca del suo ministro ombra per l’Economia, Enrico Letta, si ripropone di proibire l’uso di contanti oltre € 500. Magari ci proibiranno anche di “metterli nel materasso”, onde lasciarci in mano soltanto denaro virtuale, doppiamente fasullo.

Tolto di mezzo il circolante metallico (ultimo barlume di denaro pubblico, senza debito) e cartaceo (gravato da debito con interesse) le banche non avranno più lo spettro della corsa agli sportelli, perché il denaro sarà solo digitale, invisibile, intangibile. Semplice, no? Infileremo le nostre inutili carte di credito in un bancomat e una voce surreale ci dirà “transazione non abilitata”. E lo Stato? Le sue posizioni al top saranno (sono già o già state) occupate da manager della finanza privata, in piena armonia con la prassi consolidata delle “porte girevoli” tra banche ed enti pubblici: che so, come premier Mario Monti, Advisor di Goldman Sachs (in precedenza Romano Prodi, ex Goldman Sachs), al Tesoro, non potendo mettrci un ex alto dirigente Goldman Sachs (in precedenza Padoa Schioppa, ex membro del board BCE), come Mario Draghi (“l’agente tedesco”, come lo chiama Tremonti), magari Gianni Letta (Counselor Goldman Sachs e indicato come possibile futuro Presidente della Repubblica), o suo nipote Enrico; alle Attività Produttive, che so, Alessandro Profumo, ex CEO Unicredit, e via di questo passo.

Emblematico il dubbio su chi avrebbe sostituito Draghi al vertice di Bankitalia: il suo direttore generale Saccomanni o il direttore generale del Tesoro, Grilli. Come se i loro curriculum, privato il primo e pubblico il secondo, fossero equipollenti.

Ecco, tutto questo dice una cosa sola: che la privatizzazione dello Stato è in pieno svolgimento, da decenni. E la famosa lettera di istruzioni di governo indirizzata a Berlusconi dal duetto di Francoforte Draghi-Trichet ne è stata una plateale conferma, senza neppure più il velo della discrezione.

Quanto a noi, semplici cittadini, magari non soppesiamo appieno le conseguenze insite nel maneggiare soldi privati, né conosciamo i curriculum di chi siede nei posti chiave del governo o dello Stato; ma vediamo molto nitidamente, invece, cosa significa la conseguente privatizzazione del territorio, con le coste massacrate dalla speculazione edilizia, le periferie urbane in perpetua espansione per la pluriennale terziarizzazione, il traffico sempre più soffocante per la carenza di servizi pubblici, il patrimonio artistico in degrado perché bene pubblico, lo scadimento della scuola di Stato, e… e… e… 

Marco Giacinto Pellifroni                    25 settembre 2011 

 

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