Potere, opinione pubblica e responsabilità dei media

La retorica della democrazia

Democrazia si dice in tanti sensi, nessuno dei quali corrisponde a qualcosa di concreto. L’espressione in sé sta a significare potere del popolo, realisticamente traducibile in potere della maggioranza, un potere che è praticabile, a dir tanto, al livello di un condominio. La stessa democrazia diretta che avrebbe contraddistinto le città-stato greche è una finzione storiografica che non si è mai realizzata nemmeno nell’Atene di Pericle. Il potere decisionale è sempre nelle mani di un individuo o di un gruppo di individui che, se va bene, sono soggetti al controllo, formalizzato o meno, di parti minoritarie o maggioritarie interne al sistema sociale.  Semmai si può porre la questione di come quell’individuo o quel gruppo di individui è arrivato a disporre del potere decisionale. L’hanno ereditato, se  ne sono impadroniti con la forza, sono stati incaricati da una parte della società civile, quella parte è minoritaria o maggioritaria?  E quella parte era in condizione di esprimere una scelta libera da pressioni esterne e da condizionamenti interni?  E, ammesso che lo fosse, una volta effettuata la scelta aveva gli strumenti  per revocarla?  In ogni caso.  anche se maggioritaria, se non esprime la totalità dei membri della comunità  significa che ci sono degli esclusi che subiscono il potere della maggioranza. Il popolo, infatti, non è un organismo o una totalità ma una somma di individui, ciascuno dei quali è l’immagine dell’intero popolo ed è, in quanto tale, detentore di una piena sovranità e non di un frammento di essa,  una sovranità che cessa di essere tale se conculcata sia pure in un singolo individuo.  Il potere del popolo, quale esso sia, fosse anche solo potere di delega o di controllo, è comunque esercitato non dal popolo ma da una sua parte.

Il sistema sociale implica la condivisione di strumenti, come la lingua e un bagaglio di  conoscenze e di memorie collettive che determinano un sentimento  di appartenenza e di identità più o meno marcato e deve disporre di canali di informazioni in grado di  togliere dall’isolamento i singoli individui o i gruppi che si formano al suo interno  e renderli soggettivamente partecipi, seppure passivi, del sistema stesso al quale oggettivamente appartengono. Questa funzione è essenzialmente esercitata dai mezzi di comunicazione di massa, in inglese mass media o semplicemente media. Quindi in pratica i media sono un collante sociale e ciò che chiamiamo opinione pubblica dipende da loro. Come dipendono da loro certe koinài ènnoiai, conoscenze comuni date per assodate, com’è per l’appunto un concetto sostanzialmente vuoto quale quello di democrazia. Accade così che in un contesto sociale quale quello in cui siamo inseriti,  il singolo individuo, che, anche se riunito in gruppi, non conta nulla, assolutamente nulla, si convince di essere parte attiva, polìtes, cittadino, come tale in grado di esprimere il centro decisionale e di controllarlo

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Vuota retorica autoreferenziale di un Occidente  guidato da consorterie,  da gruppi familiari e da organizzazioni spesso indistinguibili dalla cosiddetta criminalità organizzata. Nel caso del nostro Paese il potere è saldamente nelle mani di una nuova aristocrazia – una aristocrazia beninteso alla rovescia -, della quale fanno parte a pieno titolo i signori dell’informazione, un’aristocrazia che si è col tempo compattata col mondo dello spettacolo, della finanza e della “classe dirigente” cresciuta all’ombra dei partiti e dei sindacati. È da quel potere che dipende il centro decisionale, apparentemente frutto della volontà popolare e del rito delle consultazioni elettorali, il cui esito in realtà non lo sposta di un micron.

Ma almeno in America, sia pure attraverso astruse alchimie, le elezioni non si riducono ad una farsa – quelle dell’Ue vanno oltre il ridicolo – e costringono il sistema di potere a rinnovarsi continuamente imboccando percorsi alternativi soprattutto nella politica interna. Eppure proprio gli  Stati Uniti ci hanno offerto in questi mesi un saggio di ciò che è veramente un regime democratico e di come viene inteso l’esercizio  della volontà popolare. Quando il gruppo ristretto che con in testa Obama, la moglie  e la decrepita Nancy Pelosi controlla dietro le quinte il partito si è sentito minacciato, è uscito allo scoperto per far fuori  Biden che non poteva funzionare nemmeno come burattino, per  puntare sull’appeal della sua vice di colore.

Se la democrazia è solo un gigantesco imbroglio bisogna tornare a Hobbes, puntare sul potere assoluto della legge, sulla separazione fra status – la posizione nella piramide sociale   e politica. Il Grande Leviatano precede politica e forme istituzionali e irrompe nella storia per garantire ai singoli individui libertà, proprietà e incolumità.  Con tutta la retorica sulla democrazia siamo arrivati al punto che per la politica il diritto alla sicurezza si esaurisce in una enunciazione di principio   e quello alla proprietà è continuamente messo in discussione.. Si straparla di diritto al lavoro, di diritto alla salute, di diritto all’aborto, di diritto alla libertà sessuale quando il lavoro, se è vero lavoro, non lo può garantire nessuno – al massimo lo Stato può garantire un reddito, – la salute la può garantire solo il padre eterno per chi ci crede, lo Stato può e deve garantire le cure ospedaliere e non lo fa, l’aborto non è un diritto ma spesso una dura e dolorosa necessità  che attiene alla sfera privata e alla libera scelta della donna, la libertà sessuale l’hanno minacciata i preti e la morale borghese ormai per fortuna finiti nella pattumiera della storia. E ricordiamo che frutto della democrazia furono anche Hitler e il regime nazista – con tutto ciò che ha comportato di controllo poliziesco, persecuzione delle minoranze, sterminio degli ebrei.

L’assolutismo e l’impersonalità della legge sono condizioni che rendono possibile l’esercizio della politeia  e il corretto funzionamento dell’arte  del governo;  ma il loro soggetto, il corpo sociale, per porsi come tale necessita di una rete di comunicazione. Da essa dipendono il suo mantenimento nel tempo e la possibilità se non di esprimere quantomeno di controllare chi regge il timone. Il sistema dell’informazione è la cinghia di trasmissione che collega potere e società a patto che non sia emanazione del potere stesso. Per evitare che ciò accada serve un circuito di retroazione che non c’è. O meglio, teoricamente esiste ed è rappresentato dai lettori-destinatari che esercitano attivamente la loro funzione acquistando i giornali o seguendo gli altri mezzi di diffusione di notizie. Ma pubblicità e sovvenzioni statali vanificano questa funzione,  che nel caso dei nuovi media,  di fatto non può esercitata perché  le emittenti private in qualunque momento – come accade ora in Italia – possono allinearsi al servizio pubblico, che è in realtà uno strumento del governo. Insomma: il sistema dell’informazione nel momento stesso in cui  assume il ruolo di tramite trasforma questo ruolo in quello di manipolatore senza che niente possa impedirlo..

Accade con la stampa quello che è già accaduto col sindacato o con i partiti. Il sindacalista è originariamente un lavoratore che si fa carico di rappresentare i suoi colleghi davanti al padrone e ne rivendica i diritti. Svolge questa funzione  perché si è conquistato fiducia e simpatia, non soffre di timidezza,sa  parlare, regge bene il confronto con la controparte. Poi accade che esercitando questo ruolo il suo status cambia, non si sporca più le mani e va a cena col padrone. E sull’evoluzione dei partiti meglio tacere.

Con l’informazione la stessa metamorfosi ha conseguenze anche più gravi perché è da essa che dipendono l’opinione pubblica e in ultima analisi la coscienza, gli atteggiamenti, l’identità stessa di un popolo e la possibilità per i singoli individui di orientarsi nel mondo.

Ma se i media veicolano solo notizie addomesticate come può l’uomo della strada sottrarsi alla morsa del pensiero unico?  Può farlo, in teoria, attingendo al mare magnum di internet;  sennonché,  misteriosamente ma non troppo, la quasi totalità delle opinioni e delle informazioni che collidono con quel pensiero  è scomparsa dalla rete. E se, tanto per fare un esempio, il nostro uomo della strada volesse chiarirsi le idee sulla Crimea e capire se è territorio russo o ucraino e a questo scopo si affida  al suo cellulare e fa la sua brava ricerca, immediatamente e con grande evidenza  la sua curiosità viene soddisfatta.” La Crimea è indubbiamente ucraina”  Ne prende atto ed è improbabile che vada a controllare gli argomenti sui quali poggia questa conclusione: se lo facesse troverebbe questa motivazione surreale:“Giuridicamente la Crimea appartiene senza dubbio all’Ucraina perché così ha voluto la Russia regalandogliela nel 1954”; proseguendo troverebbe: “la sua popolazione è a maggioranza assoluta russa” ma “lo è da meno di un secolo e a seguito delle persecuzioni di Stalin”  Non si sa se ridere o arrabbiarsi: per l’autore di queste scempiaggini siamo ancora ai tempi in cui la Corsica con tutti i suoi abitanti poteva essere venduta dai genovesi alla Francia!  Il pensiero unico non è solo retorica e falsità ma è anche indifferenza alle contraddizioni: si crogiola sui sacri principi, come quello del diritto all’autodeterminazione dei popoli, per poi schernirli tranquillamente quando non fanno più comodo.

Pierfranco Lisorini

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