Polenta e cavolo nero: manuale di politica estera in salsa contadina

Polenta e cavolo nero: manuale di politica estera in salsa contadina

La polenta con il cavolo nero non è solo una ricetta, è un atto politico. Nata nei paesi toscani durante gli inverni rigidi, quando il granturco bolliva lentamente nel paiolo e il cavolo nero – sopravvissuto al gelo come un partigiano ostinato – veniva tagliato e ributtato in pentola, essa rappresenta l’arte della coerenza: pochi ingredienti, tanta pazienza, e la certezza che alla fine il piatto sarà caldo, nutriente e condivisibile.

Il segreto? Non farsi ingannare dall’apparente semplicità. Se il mais non cuoce abbastanza, resta granoso. Se il cavolo non viene stufato a dovere, si rivolta con l’amaro. In altre parole, basta un errore e la coalizione del paiolo implode.

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Ora, guardando la politica estera attraverso questo prisma culinario, lo scenario diventa lampante. Da un lato ci sono le coalizioni che, come cuochi improvvisati, buttano tutto nel paiolo sperando che esca un piatto commestibile: un po’ di filo-europeismo, una spruzzata di atlantismo, un ciuffo di filorussismo per insaporire, e via. Il risultato? Una polenta che sa di opportunismo: collosa, indigesta, con pezzi di cavolo ancora crudi.

Dall’altro lato ci sono i cartelli elettorali che puntano sull’antagonismo puro, come se bastasse gridare “il granturco fa schifo” per sostituirlo con qualcosa di meglio. Ma senza mais, la polenta non c’è; senza un programma di base, il piatto rimane vuoto. Alla fine, ci si ritrova con solo qualche foglia di cavolo dispersa sul tavolo: verde sì, ma senza sostanza.

La tradizione della polenta col cavolo nero insegna dunque che la coerenza è la vera cartina di tornasole. Non basta agitare mestoli in aria: bisogna mescolare lentamente, mantenere la fiamma costante e rispettare i tempi. Una coalizione che cambia ricetta a ogni stagione non produce mai un pranzo decente, solo un minestrone mal riuscito.

Un tempo, quando c’era la Dc, il paiolo stava sempre sul fuoco: il mais arrivava regolare, il cavolo non mancava, e tutti sapevano almeno cosa avrebbero trovato in tavola. Oggi, invece, i nuovi cuochi sembrano più attratti dall’idea di improvvisare show cooking che dal servire pietanze mangiabili.

E così, mentre le superpotenze apparecchiano banchetti imperiali, noi restiamo davanti a un paiolo dove la polenta non lega, il cavolo è pieno di spine e il mestolo gira a vuoto. La lezione contadina resta sempre la stessa: senza pazienza, misura e coerenza, non c’è piatto che tenga. Né in cucina, né in politica estera.

Antonio Rossello       CENTRO XXV APRILE

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