Piccolo è bello

fuori l’Italia dall’Ue

I risultati delle elezioni per il rinnovo del parlamento dell’Ue non hanno sancito l’avanzata delle destre né, per quel che riguarda l’Italia, il trionfo di Giorgia Meloni ma il de profundis della democrazia.

Nelle elezioni politiche del 1968 l’affluenza alle urne fu del 92,9%. La Democrazia cristiana si affermò alla Camera con quasi 12 milioni e mezzo di voti – il 39%  dei voti validi – seguita dal Pci con poco più di 8 milioni. Quantomeno sotto il profilo della partecipazione e della rappresentanza quella sì che era democrazia. Ma nonostante la chiara, inequivocabile indicazione della volontà popolare l’opposizione ricorreva alla piazza per contestare la legittimità del governo in nome di una concezione non numerica ma politica e ideologica del popolo, identificato fittiziamente con la classe operaia. Quel che contava era la capacità di organizzare la protesta: chi restava in silenzio e se ne stava a casa doveva cedere il passo a chi faceva  sentire la sua voce e si scontrava con le istituzioni e con il potere. E se non bastava bisognava incutere paura. Così sono arrivate le brigate rosse.

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Insomma: quando in Italia la gente andava a votare e si realizzava il primo requisito di una democrazia l’opposizione comunista non riconosceva il risultato senza nemmeno poter ricorrere all’argomento dei brogli al quale si appellava Matteotti nel 1924, sovvertendo così l’ordine democratico. Un andazzo che è continuato finché, con la progressiva disaffezione dell’elettorato, al diminuire della partecipazione al voto è cresciuta la competitività dei post comunisti.

Democrazia si dice in tanti sensi fino al punto che se ne perde il senso. I media lo danno per scontato e non si preoccupano di verificarlo preferendo definirlo emotivamente per contrasto con i regimi autoritari del presente e del passato. Di fatto sostituiscono il concetto di democrazia con i diritti  e le libertà, a loro volta dal significato tutt’altro che univoco, tant’è che degradano in privilegi, licenza e dittatura delle minoranze.  Si tende così a perdere di vista la stella polare di un potere legittimo: maggioranza e uguaglianza, ognuno vale come chiunque altro; principi alla base delle istituzioni nell’antica Roma, nelle poleis greche, nelle tribù germaniche come nel medioevo cristiano finché il popolo non venne ridotto a una condizione servile.

Democrazia è autogoverno e sovranità, senza la quale è pura finzione. L’Italia è uscita lacerata da una guerra che non la riguardava (la partecipazione alle guerre degli altri è una nostra prerogativa), con una sovranità compromessa dall’invadenza della Chiesa e dalla sudditanza nei confronti dell’ “alleato” americano.

Incapace di opporsi alla violazione dei suoi confini orientali imposta dai vecchi nemici e dai falsi amici ha però avuto la fortuna di poter contare su politici formati in un clima culturale ed etico che garantiva loro competenze e decoro: furono loro che consentirono all’Italia di recuperare uno spazio di sovranità.

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Ma è bastata una generazione per lasciare il posto alla deriva di cui patiamo gli effetti. Uno smottamento che con tangentopoli ha avuto una brusca accelerazione e ha visto  i partiti trasformarsi in comitati d’affari. Il partito più radicato nella società italiana, che  era anche la palestra degli uomini destinati a dirigere le istituzioni e  l’economia, ne è uscito distrutto  e con esso la democrazia. Adesso l’affermazione delle due donne che guidano governo e opposizione rappresenta la fine, anche formale, della dialettica politica  e il suggello di un regime che di democratico non ha più niente. Non solo perché manca loro la legittimazione popolare visto che il consenso si aggira per la trionfatrice intorno al 14 % e per l’altra che la tallona sull’11% ma perché le scelte del governo non corrispondo in alcun modo alle esigenze della maggioranza degli italiani. Gli italiani sono nettamente contrari alla partecipazione dell’Italia al conflitto russo-ucraino; sono nettamente contrari alla fornitura di armi all’Ucraina; sono nettamente contrari  alle sanzioni contro la Russia. Lo sono gli elettori di destra come quelli di sinistra e lo sono soprattutto  quelli che per protesta o disgusto non sono andati a votare. Il governo con la complicità dell’opposizione sostiene attivamente la causa ucraina, fornisce armi all’Ucraina e commina sanzioni alla Russia. Le parole di Tajani:  “nessuna ostilità contro la Russia” sono di un’ipocrisia sconcertante. Gli italiani sono esasperati per la presenza degli immigrati illegali che occupano interi quartieri delle nostre città: è un’invasione in piena regola e il governo non fa nulla per arginarla; l’opposizione dal canto suo la considera una risorsa. Gli italiani non possono contare sul requisito fondante dello Stato: la garanzia dell’incolumità e della proprietà ma  le forze dell’ordine latitano o sono del tutto inefficienti e i giudici devono fare i conti con leggi che tutelano ladri e stupratori; governo e opposizione non si pongono il problema: la sicurezza dei cittadini non li riguarda. Il sistema formativo e quello sanitario sono al collasso e dal governo solo chiacchiere e menzogne mentre l’opposizione contribuisce fattivamente al degrado della scuola e sulla sanità è incapace di formulare proposte serie, preoccupata com’è di difendere l’aborto, che nessuno mette in discussione, e di garantire gli interventi per il cambiamento di sesso.  Insomma il nostro regime non è espressione del popolo, non interpreta il volere del popolo, non fa niente per il bene del popolo. E lo chiamano democrazia.

A questo punto il modo migliore per rendere definitivo il distacco fra governo,  politica, istituzioni e popolo è quello di sostituire lo Stato nazione con un ordinamento sovranazionale, uno Stato burocrate  con un sistema di relazioni orizzontali fra gruppi di potere  e completamente privo di  feedback e di relazioni verticali con i popoli. Governo di destra e opposizione di sinistra non solo non contrastano la progressiva perdita della sovranità nazionale ma si adoperano per una più solida struttura  dell’Ue correggendone le storture – un parlamento che a dispetto di Mattarella non conta nulla,  un Consiglio e una Commissione con competenze mal definite. Se e quando dovesse conseguire  una perfetta coerenza istituzionale con tanto di ministeri dotati di poteri decisionali e una difesa (ma da chi ci si deve difendere?) comune gli italiani, come tutti i cittadini dei Paesi sciolti nel calderone del superstato  sarebbero ridotti a sudditi. Sudditi del potere finanziario di cui quel superstato è espressione e strumento.

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A destra e a sinistra, con qualche sfumatura diversa, si sostiene che nel mondo globalizzato non c’è posto per gli staterelli, le nazioni vanno sostituite con più ampie comunità (con quale criterio vengono identificate resta un mistero), lo Stato nazione è un anacronismo e un vaso di coccio nei rapporti internazionali. E poi sotto sotto aggiungono: l’Italia è talmente indebitata e il suo debito è in gran parte in mano all’Europa che isolata farebbe la fine dell’Argentina ai tempi del default.

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È falso. Uno Stato piccolo e coincidente con la Nazione può consentire la realizzazione di un autentico regime democratico, con la garanzia di partecipazione, di rappresentatività e di controllo da parte dei cittadini. Immagino la valanga delle obiezioni, finanziarie, commerciali e militari. Sulle ultime la risposta è netta: la guerra non è un’opzione che ci riguarda, nessuno Stato al mondo costituisce una minaccia per il nostro Paese. E, se vogliamo dirla tutta, nessuno Stato al mondo minaccia l’Ue, semmai voci anacronistiche di guerrafondai si levano proprio dall’Unione europea. Quel che manca è  la disponibilità ad impegnarsi per la guida del Paese della parte sana della società civile, che realizzi davvero quel rivolgimento culturale e politico che Grillo aveva evocato senza essere in grado di progettarlo seriamente. Se i numi tutelari della Patria ispirassero le persone giuste il recupero della sovranità monetaria, di una coerente collocazione internazionale e una sferzata d’orgoglio ci farebbero tornare ad essere padroni in casa nostra, degni dell’eredità del nostro passato e in grado di guardare al futuro senza apprensione.

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