PERCHE’ LO FACCIO

 PERCHE’ LO FACCIO

PERCHE’ LO FACCIO.

 Qualche settimana fa una mia collega, in occasione degli auguri, mi rinnovava la solidarietà e la condivisione con le posizioni espresse nei miei articoli, ma con tono sconsolato o peggio arreso mi chiedeva “ Purtroppo non serve a niente, ma perché lo fai?”

E’ la domanda che mi sono sentita fare più volte e non nascondo che talvolta me la sono posta anch’io.

Perché scrivere, denunciare le criticità di alcune situazioni, perché “perdere” del tempo che potrei dedicare ad altro, magari di più vantaggioso o più appagante?

Perché esporsi, inimicarsi persone, realtà politiche, gruppi di potere o delle istituzioni nel denunciare che forse, esercitando quel potere, il loro dovere non l’hanno assolto con quell’onestà , con quella correttezza e trasparenza che tutti avremmo voluto?

Perché lo faccio, in una società dove nessuno fa niente per niente e io mi trovo spesso a passare la notte a finire di scrivere quel pezzo che voglio sia corretto, giusto, efficace e documentato il più possibile, magari utile a chi lo legge?

E’ vero, perché lo faccio in una realtà come quella savonese dove quando c’è da sostenere una battaglia importante come quella ambientale o come quella del consumo di territorio e della sconsiderata cementificazione, sono sempre gli stessi cittadini a farlo, mentre la stragrande maggioranza resta a casa incollata alla tv o a far altro che meglio tiene lontani dalla realtà in cui si vive, indebolendo la battaglia stessa?

Perché credo nella democrazia partecipativa, quella persa proprio disinteressandosi di ogni cosa.

Perché quando vedo ciò che altri fanno con maggior impegno del mio, con più rischi, con più dedizione allora mi dico che questo è il minimo che io possa fare.

Perché voglio essere d’esempio per i miei figli che, quando vedono la loro madre scrivere o partecipare a questa o quell’iniziativa, capiscano che non ci si può girare dall’altra parte e anche se altri lo fanno  questo non importa.

Perché anche una persona sola può cambiare il mondo.

La realtà mondiale è sempre più complessa e i bilanci, sotto diversi profili, diventano sempre più difficili, ma se cominciamo dalla nostra micro – realtà forse è ancora possibile  cambiare qualcosa.

Se non altro noi stessi.

Se consideriamo il modo in cui chi detiene il potere sta affrontando la crisi del sistema nel nostro tipo di civilizzazione ancora organizzata nello sfruttamento illimitato della natura, nell’accumulazione illimitata di beni per una parte della popolazione e la conseguente creazione di una doppia ingiustizia: sociale con le disuguaglianze  ed ecologica con la destrutturazione del sistema ambientale  che ci dovrebbe garantire la salute e la vita,  saremmo folli se non criminali, anche nei confronti delle generazioni future, se  non ne prendessimo coscienza e nel nostro piccolo non cambiassimo qualcosa.

Anche una persona sola può cambiare il mondo!

Se prendiamo come punto di riferimento gli ultimi dati sul riscaldamento globale e le conseguenze che questo sta portando al pianeta ma anche alla nostra micro-realtà possiamo dire, senza esagerazione, che siamo alle porte di un “abisso ecologico”.

Eppure pensiamo all’ampliamento di una centrale a carbone, con maggiore combustione di una fonte fossile che sappiamo essere deleteria per l’aumento di CO2 e quindi per il pianeta stesso e deleteria per la salute del territorio e di chi lo abita.

Continuiamo imperterriti a servirci dell’automobile per percorrere pochi chilometri e intasare spazi cittadini che potrebbero essere utilizzati in modi più intelligenti, solo per la miopia e l’ignoranza di chi non vuole cambiare.

Pensiamo ancora alla combustione di rifiuti e mal tolleriamo la loro differenziazione, troppo faticosa per il nostro tran tran quotidiano, dove il menefreghismo e l’individualismo  sono gli sport più esercitati.

Se finora non si sono prese le misure necessarie per cambiare il corso delle cose, se l’economia speculativa continua a proliferare e l’allarme ecologico viene ignorato o per lo meno non preso nella giusta considerazione, è anche per questo nostro modo di essere, di non sentirci parte di una comunità , di un territorio i cui mali dovrebbero vedere il coinvolgimento maggiore da parte di chi lo abita , se non un cambio di mentalità che porti ad un sistema di vita diverso e migliore.

In altri luoghi del pianeta, d’Europa o anche del nostro Paese è già accaduto e questo  sta contaminando altre realtà territoriali, perché tutti siamo consapevoli che a livello mondiale , dai grandi della Terra, poco ci si può aspettare . Il Trattato di Kyoto è quasi morto, poco o nulla ha risolto e la sua efficacia, nell’ultimo documento stilato a livello mondiale, è stata rimandata al 2015.

Cosa ci si può aspettare da chi detiene il potere mondiale se mentre dichiara «Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta e questo problema deve essere affrontato urgentemente da tutti i paesi», non lo sta affrontando?

Non possiamo più aspettare che le decisioni siano prese dall’alto, da chi non è più in grado di prenderle, da chi ha fornito prova non solo d’inettitudine ma spesso di connivenza con chi continua a trarre profitto da questa catastrofe e dobbiamo cominciare a cambiare noi, dal basso. Anche poco per volta, con piccole cose che diventeranno grandi e importanti, se condivise.

Non possiamo continuare a essere schiavi di un’auto per comprare il pane, accompagnare i nostri figli a scuola, posteggiarla davanti al bar o al giornalaio e magari lasciarla in moto, solo per non usare le gambe.

 Non possiamo continuare a sperperare energia elettrica, che negli uffici, nelle scuole  e spesso anche nelle nostre case, viene consumata inutilmente e che continua a essere ottenuta da fonti fossili, ignorando le potenzialità delle fonti alternative.

Non si può continuare a costruire, cementificando colline, coste marine e tratti di mare sottraendo e dissestando il territorio perché diventi profitto solo per speculatori.

Non si possono continuare a conferire rifiuti indifferenziati, giustificando scelte di ampliamenti di discariche che infinite non potranno essere e che apriranno la strada a una dannosa combustione.

Non possiamo permetterci di essere un così cattivo esempio per i nostri figli, continuando a banchettare e a rimpinzarci in tavole che stanno affondando e dire agli altri che non sta succedendo nulla o che, in fondo, noi da soli non possiamo fare nulla.

Non è così.

Non è solo Latouche a denunciare la falsa promessa che sostiene e alimenta la crisi e cioè l’obiettivo della crescita materiale illimitata (l’aumento del Pil), realizzato sulla base dell’energia fossile e con il flusso totalmente libero dei capitali, specialmente quelli speculativi, perché non tiene in considerazione i limiti del sistema-Terra.

Un Pianeta limitato non sopporta progetti illimitati che non possiedono sostenibilità.

Quando si parla di sviluppo sostenibile, non si tiene conto che è un concetto contradditorio perché è lineare, sempre crescente, che prevede il dominio della natura e la rottura dell’equilibrio eco-sistemico.

I potenti della terra non arrivano ad alcun accordo sul clima perché le potenti multinazionali del petrolio e del carbone influenzano politicamente i governi e boicottano qualsiasi misura che faccia diminuire i loro lucri e per questo non appoggiano le energie veramente alternative.

Cercano di aumentare ogni anno il Pil anche in tempo di una crisi economica che non è estranea a questo  modello che di fatto non funziona più e siamo proprio noi, nel nostro micro-cosmo a farne maggiormente le spese. La crisi occupazionale, le maggiori spese da sostenere, l’incidenza sempre maggiore di tassazioni, lo svilimento culturale, ci devono portare alla conclusione che non possiamo continuare a vivere tutto questo nell’assoluto menefreghismo e nell’individualismo ossessivo.

Per questo continuo a scrivere, perché credo nel riscatto dell’intelligenza, soprattutto quella” emozionale”, senza la quale per il filosofo francese Patrick Viveret in Por una sobriedade feliz «la ragione strumentale senza l’intelligenza emozionale ci può portare perfettamente alle peggiori barbarie».

Se non incorporiamo l’intelligenza emozionale alla ragione strumentale-analitica, non sentiremo mai il grido degli affamati, il gemito della Madre Terra, il dolore delle foreste abbattute e la devastazione attuale della biodiversità, nell’ordine di quasi centomila specie l’anno” (E.Wilson).

Per questo lo faccio, per lo stesso motivo per cui  anche nel mio lavoro di docente mentre insegno architettura e ambiente, voglio trasmettere la convinzione che non solo dalla sostenibilità  del progettare deve venire la cura, ma anche dal  rispetto e l’amore per tutto quello che esiste e che vive.

Perché credo in questa piccola grande rivoluzione della mente e del cuore, che lo faccio.

ANTONIA BRIUGLIA

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