PER COSA (O PER CHI) PAGHIAMO LE TASSE? II°
Oggi partirò con un salto ancora più indietro nel tempo rispetto all’articolo precedente, anche se non c’è un punto iniziale ben definito. Parliamo di almeno 5 secoli fa.
Gli antenati degli odierni banchieri sono gli orafi, i quali disponevano di robuste casseforti, per proteggere i loro valori. Di queste casseforti cominciarono ad usufruire i cittadini, naturalmente dei ceti più agiati, per mettere al sicuro i loro ori. Per ogni deposito, gli orafi facevano una valutazione e rilasciavano una ricevuta con il valore della stima: le note del banco, o banconote. Poco per volta, queste note assunsero il valore di moneta, documentando il credito verso l’orafo, redimibile in qualsiasi momento.

Laboratorio orafo in una antica stampa. L’attuale mondo bancario affonda qui le sue radici
Col tempo, gli orafi si resero conto che solo una sparuta frazione dei depositanti veniva a riprendere possesso di quanto depositato: una media inferiore al 10%. Allora -pensarono- possiamo emettere più banconote rispetto a quelle corrispondenti ai valori in giacenza, essendo improbabile che ci sia una contemporanea richiesta di riscatti che superi quel 10%, e le prestiamo a interesse. Il mondo però è pieno di imprevisti negativi, come guerre, invasioni, razzie, epidemie; e in quei casi si genera un’improvvisa richiesta di ricupero dei propri averi, portando allo scoperto la disonestà degli orafi.
Nel loro progressivo cammino verso lo status di banchieri, il meccanismo non cambiò molto; venne semplicemente ufficializzato, quasi fosse una prassi accettabile. Il meccanismo prese il nome di riserva frazionaria, ma era un’aperta ammissione che le banche hanno una minima riserva (accantonamento) a copertura dei prestiti erogati.
A questo punto sorge una domanda: dove nasce il denaro che usiamo ogni giorno, con sovrastampato un valore? Ormai dovremmo intuirlo: solo una minima riserva (frazionaria) ne copre il valore dichiarato; per il resto è denaro fiat: nasce dal nulla.

Caravaggio. L’usuraio Matteo riceve l’illuminazione che lo convertirà. Il confine tra prestito legale e usura s’è fatto negli anni sempre più evanescente
Non è una scoperta da poco: fino al 2005 nessuno lo sapeva. È in quell’anno che inopinatamente il segreto svanì.

PUBBLICITA’
Ma i media, sempre solleciti a difendere i “poteri forti”, si guardarono bene dal divulgarlo, lasciando che la gente continuasse a ritenere che le banche fossero, come da Statuto, intermediari del credito, ossia meri prestatori dei soldi dei correntisti. In realtà, una limitazione ce l’hanno: per creare soldi ex novo hanno bisogno di debitori. In altre parole, i soldi li creano all’atto stesso di concedere un mutuo o un finanziamento. Nel momento dell’erogazione del nuovo prestito, esse scrivono sui loro registri la somma prestata come un loro credito nei confronti del mutuatario. E il gioco è fatto. Su tale importo praticano gli interessi, abbinati alla graduale restituzione del capitale.
Alla scadenza finale, alla banca sono entrati in cassa il capitale + gli interessi ricevuti durante l’arco del prestito. Se il mutuatario non rispetta le scadenze, dopo un certo numero di rate, la banca si appropria del sottostante che il mutuatario aveva ipotecato a garanzia del prestito, in genere un alloggio.
Il gioco è molto squilibrato: il mutuatario deve fornire una garanzia concreta: un alloggio di valore molto superiore al prestito; mentre alla banca, per erogarlo, è bastata la suddetta riserva frazionaria, ossia un accantonamento variabile dal 2 all’8%, a seconda di diverse variabili. Se il mutuatario non riesce a pagare il debito perde la casa. Se la banca fallisce, perché la somma a garanzia risulta troppo esigua rispetto al volume dei prestiti, il mutuatario è garantito dal circuito interbancario, ma solo fino ad un certo importo.

Il grafico si ferma a metà 2023. Aggiornato al 1° trimestre 2024 il totale sale a $ 315 trilioni (di cui ~ $ 100 trilioni di debito pubblico), ossia oltre il 333% del Pil mondiale. In teoria, il mondo intero dovrebbe lavorare per quasi 3 anni e mezzo solo per ripianare il debito. Cifre che dimostrano l’inadeguatezza e l’insostenibilità del vigente sistema monetario [VEDI VEDI VEDI]

[Inciso: mentre la moneta digitale viene creata dalle banche commerciali e le banconote dalla Banca Centrale, a debito e interesse, le monete metalliche sono coniate dallo Stato, libere da debito e interesse. Per gentile concessione degli usurpatori allo Stato, ma entro rigidi limiti].
E sul fronte fiscale, come si rapporta la banca vs l’Agenzia delle Entrate?
Le banche si limitano a pagare le tasse sugli interessi, da loro considerato unico introito, come abbiamo appena visto.
Ma che dire del capitale, che a loro costa la semplice digitazione di un numero su un computer, senza alcuna fatica o spesa? Visto che in tot anni il capitale torna sul conto debitore che la banca aveva acceso contestualmente all’accensione del mutuo, non si vedono fondati motivi per non considerarlo un utile (dando ormai per assodato che non viene affatto “nullificato”). Quindi andrebbe tassato.

Se i ragionamenti fatti in queste pagine si avvalessero di moneta fisica, anziché digitale, sarebbe più agevole smascherare la “dimenticanza” delle banche di non considerare come utile ex ante il denaro che viene erogato in un mutuo o finanziamento; e ancor più l’asserzione originale di “nullificare” le rate dei mutui man mano che vengono pagati dai mutuatari: si può depennare al tocco di un tasto sul PC qualsiasi importo, ma non sostenere di distruggere banconote, salvo cadere nel ridicolo.
La situazione è ancora più chiara nel caso di inadempimento del mutuatario, per cui la banca si intesta la casa. È un bene fisico, di cui la banca si ritrova proprietaria sulla base di un prestito creato dal nulla. Eppure, anche la casa diventa di sua proprietà, esentasse.
L’attuale sistema fiscale sarebbe completamente stravolto, se anche i redditi reali delle banche venissero tassati, adeguandosi alla normativa in vigore per cittadini e imprese. Le banche rispondono che se dovessero pagare le tasse anche sul capitale, dovrebbero poi gravarle sugli utenti. Un discorso che farebbero volentieri anche le imprese, chiamate a pagare le tasse fino all’ultimo euro di utile. In verità, anche le aziende, specie se multinazionali, sono molto abili a sottrarre buona parte degli utili, ricorrendo ai paradisi fiscali, europei in primis [VEDI]. Di questa evasione si parla apertamente, anche nella stampa mainstream. Non si parla invece del volume indefinito di soldi che escono dall’Italia, e dal resto del mondo, come redditi occulti delle banche. [VEDI]

Un testo fondamentale, giunto alla sua 6^ edizione (la prima è del 2005), per comprendere più a fondo quanto contenuto nel presente articolo
C’è infine una notevole differenza tra debito pubblico e debito privato.
Mentre al privato o azienda che non paga le rate viene pignorato il bene posto a garanzia, non ci si aspetta che uno Stato rimborsi il capitale prestato, che alla scadenza viene coperto con l’emissione di nuovo debito equipollente. In sostanza, il debito pubblico non sarà mai ripagato, almeno per intero, alle banche spettando, di fatto, solo l’introito degli interessi.
Da quanto sin qui detto possiamo trarre la conclusione che ci sono, a dispetto della logica più elementare, due grosse anomalie nel sistema monetario e fiscale presente: la natura privata del denaro e l’esenzione delle banche dalle tasse sul patrimonio che esse accumulano durante la restituzione dei vari prestiti a privati e imprese.
I Padri Fondatori americani avevano visto giusto. Mentre noi siamo ciechi. O troppo presi dagli impegni per sbarcare il lunario e pagare tasse che altri, in doppiopetto, dovrebbero pagare.
Marco Giacinto Pellifroni 26 gennaio 2025